14 febbraio 2004, dieci anni dalla morte di Marco Pantani. Il ricordo.

Un mio pensiero per qualche lacrima di ricordo di un grande campione.

“Cara madre,

Chi lo avrebbe detto che sarebbe finita così? In quella stanza di quel maledetto residence di Rimini mentre tutto stava tornando a posto! Mi sarei rimesso in sella e…certo non sarebbe mai stato come fu nel ’98. gli allori del Giro e le imprese del Tour…quando facevo il vuoto dietro di me. Mi bastava quel gesto. Il cappellino girato sulla testa, visiera dietro e la scia del mio sudore diventava fuoco nelle gambe che mulinavano rapporti a tutti impossibili. Mi voltavo dopo cento metri e li vedevo sparire nel tornante, ne sentivo i respiri affannati e l’aria che diventava rarefatta nei loro polmoni. Che momenti!! Dio! Potessi tornare indietro di 10 anni e per una volta ancora risentire le urla e le lacrime dei tifosi che riscattavano con quelle imprese le loro sfortune, il lavoro misero, la iella di una vita senza allori e piena di soli dolori e delusioni! Quel mio nome Marco che diventò il nome più diffuso tra i genitori del tempo da dare ai figli. Ero l’idolo della gente che conosce la fatica e le difficoltà della vita, il loro entusiasmo scomparso nella quotidianità malinconica in provincia.

Ora sono anche un film. Proprio ora  lo stanno proiettando in sala. Ti vedo madre che piangi e che ancora ti affanni a cercare il perché della mia morte, di quel Marco Pantani sempre avvolto da oscurità senza senso, che è stata solo destino. Quel Pantani che veniva sottratto alla propria vita per quei valori elevati del sangue. Certo non erano le tue piadine che lo avevano fatto diventare denso e ricco di ossigeno, giusto e perfetto per correre con più riserve degli altri! Certo, era illegale per chi ancora crede che il mio ciclismo possa essere uno sport “senza aiuti”.

Vedi madre, io sono stato divorato dal sistema o per meglio dire dal Circo mediatico, legato alla bicicletta dove conta poco lo sport ma è importante solo la vittoria, dove in ogni angolo delle roulotte si nascondevano sangue, siringhe e magiche “bombe” come le chiamava il Campionissimo, quel Fausto Coppi a cui mi sono sempre ispirato.

Dai mamma!! Smetti di piangere. Sono morto senza una causa. Bello però che a casa mia siete passati prima voi e abbiate portato via le mie cose e la mia inseparabile bici.

Qui la vita ristagna. Leggo ogni tanto e qualche volta pedalo nei miei sogni. Sempre sull’Izoard o sul Galibier mentre Fausto e Gino mi prendono i tempi di recupero dopo una ripetuta. Dai mamma! Basta lacrime e goditi il film. Quello sono io, tuo figlio. Marco. Goditi lo spettacolo, ciao Mamma.”

Rimini, 14 febbraio 2014

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