La mia avventura a Milano, al tempo del covid, di Rita Brundu. 1^ parte.

“La mia avventura a Milano” è una storia sanitaria,  legata a filo doppio con la salute. Il primo aspetto, infatti, è un soggiorno sanitario in un Istituto milanese di riabilitazione, il Don Gnocchi, un periodo di recupero della funzionalità della persona che racconta questa storia. Il secondo aspetto, invece,l è l’essersi trovata, suo malgrado, a vivere il suo ricovero durante il fragore dell’epidemia da coronavirus che ha gettato nel terrore all’inizio la Lombardia e il Veneto per poi espandersi a tutta Italia. Abbiamo suddiviso il racconto di Rita Brundu, collaboratrice del blog, in due parti. Per poter meglio entrare nel vivo della sua storia, piena di emozioni e ironia ma anche di qualche momento di angoscia prima del suo definitivo ritorno a Tempio. Dal giorno delle sue dimissioni al rientro a Tempio passano 8 giorni.

La mia avventura a Milano… al tempo del covid. 

Antonio, a sorpresa, ha anticipato questo mio scritto. Ovviamente, come da lui ipotizzato, ho intenzione di picchiarlo…anche per l’esagerata apologia fatta nei miei confronti!

Tramite un amico di Facebook scopro, a Milano, un Centro d’eccellenza nella riabilitazione motoria. Non ho dubbi, compilo immediatamente la domanda ed…eccomi a Milano. L’edificio è mastodontico, ed è situato praticamente di fronte al famoso stadio di San Siro. Non ho difficoltà ad ambientarmi e, comunque, non perdo il vizio di scrivere indirizzando una lettera alla Direzione dell’ospedale volta a smussare determinate criticità che rilevo all’interno della struttura. Sono soddisfatta poiché viene accolta con entusiasmo dai medici, dagli infermieri e ovviamente, dagli altri degenti. La vita si svolge tranquillamente, come in un normale centro di questo tipo.

Lo stadio di San Siro

Finché, il 21 Febbraio risuona la preoccupazione di un focolaio a Codogno. Dov’è Codoogno, mi chiedo?? Ma i tanti milanesi vicino a me fugano subito i miei dubbi: vicinissimo a Milano. Erano le prime avvisaglie dell’espansione, qui in Italia, del coronavirus. Fino a questo momento, aveva preoccupato solo la Cina. Ma i primi focolai, guarda caso, si hanno proprio in Lombardia, tanto che dieci comuni vengono dichiarati zona rossa. Anche qui al Centro comincia ad esserci fibrillazione e cominciano ad essere bandite le persone provenienti da tali paesi. Nei reparti vengono affissi dei cartelli con i nomi dei dieci Comuni  “incriminati”, tutti non molto lontani da Milano. Ma la situazione sembra interessare solo quelle zone, e a Milano si continua a condurre la vita frenetica e attiva di sempre.

I primi casi e la situazione che precipita

Dopo alcuni giorni, però, si denunciano due casi di Coronavirus nell’ospedale Sacco di Milano e la situazione inizia a mettere in allarme. Ma non più di tanto; infatti il Centro continua la propria vita di routine. Dopo pochi giorni la situazione comincia a precipitare e anche in ospedale cominciano le prime restrizioni: se prima le visite erano permesse la domenica dalle 10,30 alle 18,30 e i giorni feriali dalle 16 alle 18…adesso è concesso entrare solo un’ora al mattino e un’ora di sera. Ma è, comunque, ancora una situazione abbastanza tranquilla, anche se fastidiosa, e la città di Milano continua la vita di sempre.

San Siro di notte

Questo si nota anche dall’ospedale, che ha proprio di fronte lo Stadio di San Siro, dove c’è tanta vita e afflusso di persone. Quest’ ultimo, di notte, è bellissimo…illuminato come un presepe e con un video enorme che si vede perfettamente anche a distanza. La notte del derby un elicottero controlla per almeno un’ora l’impeto dei tifosi, mentre passa e ripassa in un giro vorticoso che ha sempre lo stesso tragitto e fa tremare i vetri dell’Ospedale.

Ma passa appena qualche giorno e gli infettati del coronavirus aumentano anche in questa città, apparentemente intoccabile. I provvedimenti al Centro continuano ad essere sempre più restrittivi e, a questo punto, al suo interno può entrare solo una persona per paziente in tutto il giorno. San Siro resta sempre illuminato, ma scompaiono gli spettatori e…le sue luci stridono sempre di più con il buio che si prospetta per l’arrivo del misterioso virus.

La mia avventura a Milano…si blinda il Don Gnocchi.

La situazione precipita, il Centro vieta qualsiasi visita; medici, infermieri, tutte le persone giunte dall’esterno devono dotarsi di mascherina e guanti. Anche a noi degenti è vietato uscire fuori dalla Struttura; la sensazione è di essere in tempo di guerra, anzi peggio, perché dobbiamo tenere la distanza anche tra di noi. Quindi, anche socialmente ci sentiamo soli. Anche Milano comincia a fermarsi poiché il suggerimento del Premier Conte è “Stare a casa”. Il piazzale di fronte all’Ospedale comincia a svuotarsi, mentre prima pullulava di auto e di gente. La mia compagna di camera, milanese, mi dice che il figlio tassista ormai sta a casa per mancanza di clienti. Anche altri suoi concittadini, in contatto con parenti e amici, mi dicono che la città si è svuotata; noto nelle loro parole angoscia e smarrimento nel descrivere una visione del tutto inconsueta della loro città così attiva e laboriosa. Infatti Milano, con la chiusura della maggior parte dei negozi e attività, è sempre più spettrale: un paradosso per la capitale dell’economia italiana.

A me, intanto, comunicano le dimissioni, e prenoto il primo volo per la Sardegna. Lo trovo e sono contenta di tornare a casa.  In Ospedale c’è panico: il personale riferisce di persone care decedute; il bar all’interno della struttura chiude; le infermiere passano per il controllo e la temperatura dei pazienti due volte al giorno; gli addetti alle pulizie passano e ripassano per disinfettare…compare un’angoscia palpabile che assorbo anch’io.  Come se non bastasse mi arriva dall’aeroporto il messaggio che…il mio volo è stato annullato! Anzi, sono stati annullati i voli di tutta la settimana.

La mia avventura a Milano…allo zoppo la spina!

E il mio cellulare, improvvisamente, non dà più segni di vita!! Cosa può capitarmi ancora?!? Erano 40 anni che non facevo visita a Milano, e quando è che mi viene in mente di tornarci? Ma sì… al tempo del coronavirus!! Devo attingere a tutte le mie nozioni di psicologia per restare calma e, con molta ironia e con un fondo di speranzosa verità, chiedo al Primario del reparto di procurarmi il numero di telefono di Berlusconi perché possa, col suo aereo privato, portarmi in Sardegna…in fondo siamo vicini di casa. Il Primario mi risponde, con altrettanta ironia, che potrei approfittare del Centro Velico della Maddalena per tornare in Sardegna… a barca a vela! Comunque sono nervosa…voglio il mio cellulare!! Ne ordino un altro, ma tarda ad arrivare…allora ne ordino un altro ancora da Amazon. Dato il mio carattere estroverso ed esplosivo, tutto l’ospedale viene a conoscenza della mia situazione e trovo conforto in ognuno dei suoi componenti, che fanno a gara per darmi un aiuto.

Intanto, le restrizioni aumentano in modo esponenziale e anche in camera da pranzo veniamo allontanati sempre di più l’uno dall’altro, e qualcuno è costretto a mangiare da solo in camera. Penso che, probabilmente, non saremo contagiati dal coronavirus ma, sicuramente, soffriremo di depressione. Ma anche in questo caso bisogna rilevarne, sarcasticamente, l’aspetto positivo: ci sarà tanto lavoro da fare per psicologi, psicoterapeuti, psichiatri. (fine 1^ parte)

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