«La paura del contagio non doveva impedire questo intervento»

La paura del contagio è uno degli aspetti che caratterizza l’epidemia da coronavirus. Comprensibile e anche corretto avere cura e attenzioni quotidiane che impediscano di venire a contatto con potenziali infetti. Una collettiva e legittima apprensione ci induce ad evitare quanto possibile che questo accada. Immaginate però cosa succede se anche davanti alle prove che una persona sia immune dal contagio, ci si tiri fuori da compiti e ruoli professionali che invece ci dovrebbero spettare?
Come dire che, poste in essere le sole forme di tutela possibili, mascherina e guanti, distanza, un medico o un infermiere non svolgano il loro mestiere per la predetta paura.
Fortunatamente, non succede così e sappiamo tutti come i sanitari siano esposti per necessità altrui e per quel compito che si son scelti ma che anche noi abbiamo dato loro. 
A volte, però, le cose non vanno come pensiamo e una delle istituzioni migliori che si conosca, la Protezione Civile, un corpo di volontari, pur davanti a quelle prove di paziente immune da virus, scelgono di non volersi esporre. Il fatto accade dopo le dimissioni di un paziente dal reparto di Ortopedia, interessato, come scritto ieri, dal primo caso di paziente positivo al Covid-19.
Lo lasciamo immutato, così  come il figlio della persona dimessa, lo ha trasmesso al blog.

«La paura del contagio su mio padre risultato negativo al tampone e agli accertamenti biologici»

«Buongiorno Antonio, sono Mario Loche e ti scrivo da Pisa per metterti al corrente di un fatto increscioso che ha  coinvolto la mia famiglia a Tempio.
Mio padre, Tonino Loche, si trovava sino a ieri ricoverato presso l’ospedale Paolo Dettori, nel reparto di Ortopedia, per un serio infortunio accadutogli un mese fa circa. Ieri, come se non bastasse, il reparto è stato chiuso per un paziente positivo al covid19.
È stato approntato il protocollo sanitario del caso e sono stati effettuati il tampone e la ricerca di anticorpi nel sangue per tutti i ricoverati e immagino per tutti gli operatori sanitari e non. Il reparto è stato chiuso per poter poi procedere ad una capillare disinfestazione.
I pazienti per i quali potevano essere anticipate le dimissioni, tra cui mio padre, sono stati mandati a casa, gli altri sistemati presso altri nosocomi. Proprio al momento delle dimissioni, è stata fatta una richiesta di trasporto sanitario agli operatori della Protezione Civile.  Si doveva far sì che mio padre raggiungesse la sua dimora nel miglior modo possibile.
Questa richiesta è respinta per “paura del contagio” da parte di operatori della Protezione Civile. Hanno omesso, vigliaccamente, di fare il proprio dovere celandosi, pavidi, dietro al rischio contagio. Le dimissioni sono ufficializzate dopo i risultati negativi degli accertamenti biologici, risultati negativi».

«Ma quale paura?»

«Di quale contagio avevano paura gli “operatori” della protezione civile che avrebbero dovuto essere comunque in grado di prendere tutte le misure necessarie per tutelare la propria salute? Gente che sino all’altro ha operato fianco a fianco con “Zio Tonino”, come lo chiamano, che ha  avuto solo da imparare e che deve molto a mio padre.
Si sono chiusi nella sede e non sono usciti neanche per dargli una mano a salire in macchina. Io sono un operatore di Polizia, ogni giorno impegnato in questo periodo e ho imparato da mio padre che il ruolo che abbiamo scelto non ci da opzioni diverse dall’operare per gli altri, soprattutto in situazioni come queste.
Mio padre a Tempio lo conoscono in tanti e chi lo conosce sa che da Vigile del Fuoco prima e da volontario poi, non si è mai tirato indietro davanti a niente. Ha soccorso terremotati, quando ci fu l’incendio di Curragghja non avemmo sue notizie per 48 ore perché era in servizio e non c’erano telefonini. Si è infilato sotto a massi di granito pericolanti per estrarre un cavatore che ci era rimasto sotto con le gambe. Ha affrontato fiamme in appartamenti per tirare fuori gente che da sola non ce l’avrebbe fatta e centinaia di altri interventi in cui la sua vita era a rischio  quasi quanto quella degli altri.
Lui mi ha insegnato che c’è un solo limite al tentativo di salvare una vita e si pone quando è verosimile che il tuo sacrificio sia vano per te e per gli altri. Se gli chiedi perché lo abbia fatto, nonostante il rischio, ti risponde che era suo dovere. Non c’era possibilità di tirarsi indietro perché, se no, avrebbe tradito la sua missione».

«Disonore per la divisa che portano e la missione a cui si sono dedicati»

«Ora gli operatori ieri hanno disonorato la divisa e soprattutto tradito la missione a cui si sono dedicati. Facile fare i soccorritori in tempo di pace, più coraggio ci vuole nelle vere situazioni di emergenza, qui si vedono i codardi. Che la vergogna li marchi per sempre, perché questo meritano, essere additati come vigliacchi e, se fossi in loro, toglierei definitivamente la divisa lordata dalla loro viltà.
Scusa lo sfogo, ma penso che mio padre non meritasse un trattamento del genere.
Cordialità, Mario Loche».

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