La sedia vuota.

La sedia vuota è l’assenza che diventa presenza, ricordo e memoria di chi manca. Tutti a Natale abbiamo qualcuno che ci manca, nessun Natale fa eccezione, ogni famiglia ha una sedia vuota da lasciare al tavolo.

RSA di Padru

Oggi son stato a trovarti, come ti avevo promesso. Lo faccio raramente e forse mi hai anche rimproverato, dal tuo mondo ovattato, quando al terzo compleanno non mi hai visto. Viso sereno, occhi che si muovono a cercare volti cari, parole che non arrivano, non possono arrivare. Muto momento interrotto solo dalle mie parole e dai tuoi occhi che sembrano volermi dire chissà cosa.

«Sai chi sono?». I tuoi occhi si chiudono e si riaprono subito. E’ il tuo cenno che sai chi hai davanti. Ti liscio le labbra e muovi un cenno di sorriso. La pelle rasata, in struttura sono tutti solerti e sorridenti, oggi in modo speciale. Sei, col tempo, diventato la mascotte del nucleo D, quell’odioso sistema, necessario quanto inquieto, di distinguere e separare le persone in una RSA come in un ospedale.

Suona sempre quella macchina che ti nutre e di idrata, accorre la prima delle infermiere che oggi sono di turno. Sistema tutto, sorride e fa gli auguri a noi. E noi a lei, consci che anche lei ha a casa qualcuno che l’attende. Magari anche al suo tavolo ci sarà una sedia vuota. Nessuno fa eccezione.

La dinamica vicina di stanza, con la madre 92enne da accudire, entra ogni momento a vederti. Lei è la nostra fonte quando non possiamo essere da te. Ci chiama, ci rassicura, ti accarezza, ti bacia.

Come non volersi bene dentro una realtà come quella, dove ogni incontro è abbraccio di reciproca forza e solidarietà. Qui non esistono rivalità o distanze, si è tutti amici e compagni di sventura.

In ogni casa c’è una sedia vuota.

«Scendiamo a prendere un caffè?». Marco mi invita a scendere al piano d’ingresso, il tempo di un caffè. Nella grande sala mensa qualcuno mangia, accanto un familiare che fa compagnia in questo giorno da sedia vuota. Carrozzine che vanno e vengono, qualche accigliata paziente ha anche un vaffanculo con cui omaggiare la tristezza della sua vita. E’ simpatica, la voce dura e aggressiva di chi ha pagato un prezzo troppo alto a malattie o incidenti. Chiede aiuto per farla camminare quella sedia coatta, con le ruote grandi.

« Datemi una spinta, per favore».

Falla correre o volare, falle spiccare il volo per sedersi anche lei alla tavola di Natale. Falle vedere la vita dall’alto, regalale un attimo estremo che la tiri via da quei giardini che nessuno sa.

Nick, al nostro ritorno, sa che dobbiamo lasciarlo. Forse i suoi occhi hanno imparato a scandire il tempo e conosce orari per visite e per la loro fine. Ha il volto luminoso, lo ha accarezzato la madre con una crema idratante. Brillano ancor di più i suoi occhi verde scuri. Che ogni volta diceva di averli verdi e io gli dicevo…scordateli! Così, per prenderci in giro a vicenda come migliaia di volte.

Accanto al letto, i disegnini dei nipoti, figli di cugini. Gli hanno scritto, e hanno chiesto “Torna Nicola, ti aspettiamo!”. “Ti auguro un Natale fantastico”. Nick adorava i nipoti e i bambini, e tutti adoravano e adorano lui.

Un destino insensibile non gli ha dato figli così come mai si è legato ad una compagna.

Buon Natale Nick. A casa il tavolo non è grande ma quella sedia vuota, che ci sia o no, sarà sempre vuota. Da tre anni è la tua. Ti voglio bene.

 

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