Tempio Pausania, E.N.A.P., la storia di una realtà diventata macerie. Il racconto di Giovanni Debidda

Tempio Pausania, 23 mar. 2018-

Parlare di Scuola professionale ENAP, è dire di una splendida realtà della città che ora è opalescenza, nebbia, distruzione e tristezza. Scriverne non è semplice perché oggi sarebbe descriverne le macerie mentre il suo passato è pieno di ricordi piacevoli, di attività che erano sbocchi occupazionali quasi certi, di tanti ragazzi che in circa 40 anni di vita sono passati da quelle aule, dalle officine, dai tavoli di tornitura, dall’apprendimento degli elementi oggi fondamentali di elettronica, dalla conoscenza e dall’apprendistato di un mestiere.

Lo abbiamo fatto con un ex docente, Giovanni Debidda, 73 anni di cui 32  in quella scuola e ancora gli occhi lucidi a parlarne, a ricordare nomi di alunni, di insegnanti, di uno splendore che era anche orgoglio per questa città.

Giovanni è un appassionato di elettronica, materia a cui ha dedicato sia la sua vita lavorativa che la sua spiccata vocazione che fa il paio con la musica, l’amica di sempre e di cui è uno dei massimi esperti di questa città.

«Giovanni, iniziamo questa narrazione da te, da quando è iniziata la tua avventura in quella scuola».

«Intanto partirei da come era organizzata la scuola. Era a finanziamento della Regione Sarda ma affidata ad un ente privato, chiamato ENAP ma inizialmente ANAP che era sempre privata originaria di una società toscana. Come qualsiasi scuola privata che ha  una gestione propria, aveva dei costi che erano sostenuti in questo caso dalla RAS ma aveva indipendenza e autonomia gestionale. Io entrai nel 1971 dopo un a attività svolta in propria di elettrotecnico specializzato, anni nella Zanussi per la cui società ho lavorato prima di mettermi in proprio come riparatore. Avevo aperto un negozio a Tempio e uno anche a Calangianus e lì ho in parte formato la mia professione. Poi fui chiamato per una sostituzione direttamente dal direttore dell’ENAP, che è sempre stato Giovanni (noto Nino) Manconi, che fu anche sindaco di Tempio, impareggiabile nelle soluzioni dove viene richiesta immediatezza e capacità amministrativa seppure non provenisse dal settore tecnico».

« Quanti ricordi ti legano a quella scuola è facile immaginarlo, ma hai episodi legati all’insegnamento e magari qualche nota particolare da dirmi?».

« Sono tantissimi i ricordi, ricordo uno per uno ogni allievo, alcuni li ho visti trasformarsi in professionisti eccellenti e tutt’ora li sento. In particolare uno che si è affermato e che lavora a San Teodoro, un ragazzo di straordinarie capacità che viene riconosciuto oggi a livello regionale come uno dei migliori. Di poco piacevole ricordo invece uno strano comportamento che vedevo in classe i primi tempi e strani rapporti venutisi a creare tra ragazzi di parti distanti dell’isola. Perché, è bene precisarlo, nella scuola di Tempio, che aveva una gemella a Carbonia dove era la sede principale dell’ENAP, anche questa chiusa, arrivavano da tutta la Sardegna, dal cagliaritano perché Tempio aprì prima di Carbonia, così come dall’Ogliastra, Sassarese e ovviamente Gallura. Vidi una mattina uno strano segno rosso sul collo di un ragazzo che mi insospettì alquanto. Gli chiesi di farmi vedere per intero il collo e si capì subito che era il segno di una corda che gli avevano stretto. Seppi poi che in convitto stava accadendo qualcosa di molto grave, due fazioni geograficamente distanti, e certamente anche culturalmente, si erano dichiarati guerra minacciando impiccagioni. Immediatamente la cosa ritornò normale e tutto fortunatamente si era risolto al meglio senza altri rischi. Chi insegna sa che possono accadere anche questi comportamenti che oggi, forse, sono anche peggiorati con fenomeni di bullismo nell’adolescenza. I miei allievi erano motivati a farcela e quasi tutti ci sono riusciti».

« Poi, siamo  quasi alla fine della tua esperienza, arrivò la mannaia Soru che decise di chiudere queste scuole così come altre realtà che godevano di autonomia per accorpare, tagliare, modificare».

« Questa credo sia la più grande amarezza della mia vita, anche se  ero in pensione da 2 anni, ho assistito alla fine di questa scuola e con essa anche la speranza per tanti giovani di avere un lavoro quasi certo, una scuola molto formativa e che preparava alla professione e alla vita. Sapere, a distanza di 13 anni circa che è stata depredata, saccheggiata, rovinata , fa male, molto male. Era un fiore all’occhiello credimi, funzionava benissimo, era sempre col massimo degli iscritti ai vari corsi, elettricista,  elettrotecnico, meccanico, saldatore, tornitore, oltre 120 iscritti ogni anno, un convitto dove si stava bene, si mangiava benissimo e ci si appassionava a quella che sarebbe diventata la professione una volta che si terminava il corso di studi. Senza contare che l’indotto che ne derivava era una buonissima ricaduta nell’economia della città. Mi piange il cuore sapere che non ci sarà più e che è alla mercé del vandalismo a cui, purtroppo, non viene meno nulla quando le strutture vengono chiuse e abbandonate».

Un attimo di commozione negli occhi di Giovanni, normale per chi ha dedicato la sua vita a quella splendida attività che è l’insegnamento, lo stesso che fu dei genitori e per cui si sentiva portato per indole e per il suo temperamento altruista.

« Cosa è rimasto in te di quegli anni? Rifaresti tutto del percorso intrapreso?».

« Rimane tutto, le facce dei ragazzi, i colleghi splendidi che ho avuto, da Carlo Paglialunga che è un carissimo amico, al mio maestro Bastiano Spano, ad ogni singolo episodio vissuto, alle soddisfazioni ricevute dal progresso dei miei allievi, a quello che sono oggi, affermati e seri lavoratori, a quelle aule e alle officine attive, alla passione nello stare in quel luogo. Certo che rifarei tutto, dal principio, magari adeguando il tutto allo sviluppo frenetico e pazzesco della tecnologia che noi  seguivamo, passo passo. Essere passati dalla macchina da scrivere ai computer in questi anni, richiederebbe altri dettami dell’insegnamento. Ma, ogni giorno che passa il mio pensiero corre a quella scuola, là ci stanno i migliori anni della mia vita, il cuore e la gioia di aver fatto cosa ho sempre voluto fare. Potessi dare un consiglio ai giovani, gli direi di frequentare una scuola come quella, anche se oggi in Sardegna non ne esistono più ma ci sono gli Istituti Tecnici Industriali che funzionano bene. Una professione, un mestiere ai nostri tempi sono sempre richiesti specialmente in questo ambito dove teoria e pratica vanno di pari passo. Gli sviluppi esistono e anche le occasioni di lavoro prima o poi arrivano».

Oggi questa struttura versa nelle condizioni dell’ennesima cattedrale nel deserto. Il reportage fotografico non ha bisogno di commenti e non basta l’amarcord di Giovanni per poter rintuzzare la ferocia di queste immagini. Parlano da sole, e si uniscono alle mancate risposte di chi dovrebbe fornire una spiegazione (la regione Sardegna) su come si possa lasciare un bene pubblico in queste condizioni.

« Per chiudere Giovanni, cosa ne è stato del materiale presente nella scuola?».

« Ho saputo che le macchine per saldare e per tornire sono tornate a Carbonia, dove stava la sede principale, il resto è macerie e depredazioni, atti vandalici e ogni sorta di schifezza che dopo la chiusura si è verificata. Si sapeva di un riutilizzo per ospitare extracomunitari ma in quelle condizioni non è possibile. Si tratterebbe di interventi molto costosi per riattare l’intera struttura. Spero che qualcosa si possa fare ma sono scettico che ci si riesca». 

Saluto Giovanni che mi mostra orgoglioso il suo contatore geiger per rilevare radioattività che lui stesso aveva costruito da un kit d’asemblaggio e che tutt’ora usa. Mi parla ancora dei libri, dei suoi lavori in dispensa che hanno aiutato decine di studenti a masticare meglio il linguaggio dell’elettrotecnica che insegnava, di quell’inaspettato regalo di un americano che gli diede un libro da dove ha attinto interesse per la lingua inglese che oggi parla correttamente, della sua sfrenata passione per la musica americana, del pianoforte che suona benissimo e di tutte quelle note in comune che io e lui abbiamo per la comunicazione.

Grazie Giovanni per questo prezioso racconto e per la tua amicizia che sai essere corrisposta. Una pacca sulle spalle e vado, consapevole di saperne di più ma dentro di me, come nel cuore di Giovanni, un’altra amarezza che  scappa  dalle sue parole e dalle foto che subito dopo ho scattato nella scuola.

Antonio Masoni

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