Tempio Pausania, La Gallura: «Non è vero che sia stata penalizzata dalla riforma», Arru contesta la verità

Tempio Pausania, 16 dic. 2017-

In questi giorni l’assessore ARRU, intervistato sulle conseguenze della recente riforma della rete ospedaliera sarda in Gallura, ha opposto le sue ragioni a stati di fatto che denunciano ogni giorno mancanze di personale, tempi biblici per l’erogazione dei servizi sanitari e mancanza dei presidi, che vengono riportate da organi di stampa o per denuncia di sindacati e amministrazioni civiche. In prima battuta, e lo abbiamo anche scritto, si era percepita che la valutazione della riforma era da interpretare meglio  di quanto non dicesse la carta e che troppe cose erano state lasciate senza un indirizzo preciso. La certezza insomma che quanto scritto sulla carta fosse seguito da una reale corrispondenza nei fatti, non c’era. E così, purtroppo, sta accadendo. Olbia esplode, a Tempio la situazione è ben lontana dall’essere considerata accettabile e a La Maddalena si riaccende la preoccupazione attraverso la voce dei cittadini che lamentano disservizi.

« Non è vero che ci sono stati tagli selvaggi, accorpamenti e cure dimagranti, Stiamo pagando il sottodimensionamento dei posti letto per acuti in Gallura al quale abbiamo dovuto adeguarci così come stiamo pagando i ritardi sull’entrata in funzione del Mater Olbia », ha risposto l’assessore alla stampa.

Ospedale Giovanni Paolo II di Olbia – foto galluranews
L’ospedale Paolo Merlo di La Maddalena 

Crocevia della sanità pubblica, e questo appare paradossale, è dunque anche il fatto dell’apertura di una struttura privata attraverso la quale si raggiungerà, si dice nel palazzo, la piena integrazione dell’offerta sanitaria completa per tutta la popolazione gallurese.

La realtà, come sempre, non è fatta di parole o di promesse, qui in gioco ci sono interessi collettivi mostruosi per importanza e possibilità di avere cure accettabili senza doversene andare fuori. La sanità sta morendo letteralmente da queste parti. 

Inviterei le forze politiche, le organizzazioni sindacali, i cittadini tutti ad esaminare e rispondere ad un quesito. Perché è giusto fare manifestazioni, scendere in piazza, protestare, scioperare, gridare giustizia, ma si deve ragionare su altri versanti.

Da quando, per vostra conoscenza, la pericolosa perdita della sanità pubblica è iniziata? Fino a quali anni potevamo dire che in Gallura esisteva una capillare distribuzione dei presidi e del loro qualificata operatività? Badate bene, però, non voglio portare il cieco all’osteria, ossia che la pensiate come me per forza, rispetto le opinioni e accetto con rispetto anche  pareri opposti. 

Dico la mia. Il Dettori, ad esempio, nel 2007 fu dichiarato DEA di 1° livello (assessore Nerina Dirindin) e in quegli anni, vuoi perché ancora c’era qualche vacca grassa in circolazione, le risposte erano eccellenti, l’ospedale aveva quasi tutte le qualità e i servizi necessari e il personale era sufficiente a coprire turnazioni. I presidi c’erano tutti e, per quanto mi sforzi a ricordare, i cosiddetti sprechi erano contenuti, A meno che non vogliamo considerare sprechi avere dotazioni sanitarie  e risposte immediate alle domande. Successivamente, l’apice negli ultimi 3 anni, è iniziata la primaria riduzione di personale, chiusura di ambulatori fondamentali, perdita di professionalità e austerity a tutto spiano. Il motivo? La sanità pubblica, come tutto lo stato sociale, doveva essere ridimensionato, adeguarsi alle ristrette condizioni dettate dalle normative italiane che, a loro volta, erano state imposte dall’Europa, quella Europa dei popoli che non c’è mai stata. La spesa pubblica subisce un tracollo generale in tutti i settori, avanza la disoccupazione, non c’è lavoro e si continua a puntare drammaticamente sulla tassazione per compensare le perdite. Come definire questo? Ci arrivate, basta cominciare a capire cosa sia il tremendo pareggio di bilancio e cosa voglia dire pagare il debito pubblico solo con le tasse. Uno stato che perde la sua sovranità monetaria non può fare spesa pubblica senza aggravare il quadro complessivo dello stato sociale.  Seguono, senza tregua, chiusure  di scuole, finanziamenti sempre più esigui ai comuni, riduzione all’osso della spesa. Le conseguenze sono quelle di oggi, povertà triplicata, lavoro inesistente, comuni costretti ad attendere i finanziamenti europei, visti come soluzione senza minimamente considerare che essi sono solo le nostre tasse che tornano indietro. Circuito chiuso, nessuno sbocco, nessuna possibilità di crescita, e tracollo drammatico dell’economia che risponde attraverso la competitività estrema, quella che non lascia spazio a tutti ma può darne solo a pochi. Chiudono le attività commerciali, l’industria manifesta la stessa debolezza rispondendo con licenziamenti, quando va bene cassa integrazione, e in ultima istanza la chiusura. Crolla il settore dell’artigianato, l’edilizia non ha chanche per gli stessi motivi; si racconta: “Non ci sono più soldi in circolazione”. Perché non ci sono soldi? Perché non è l’Italia che li emette, come avveniva ante euro negli stati sovrani, ma la BCE che fa un po’ come lo slogan ironico di Guzzanti: “….facciamo un po’ come cazzo ce pare”. Bruxelles pigia un bottone, oggi lì e domani là,  in un solo click decide chi e come e invita i governi dell’Europa, oramai inesistenti e del tutto privi di autonomia, ad eseguire ordini. L’Italia non è più uno stato sovrano e deve assoggettarsi al ruolo di colonia dei rapaci  capitalisti che hanno facce ignote, sono multinazionali, sono i cosiddetti ricchi, appena l’1% della popolazione mondiale che detiene quasi tutta la ricchezza del pianeta.

In Italia, si pensa ancora ai governi di destra o di sinistra, o ai 5stelle, come se questi, aldilà di qualche minimo cambiamento del paradigma inteso come variazioni ed iniziative della pancia degli italiani, certo non possono cambiare le regole del gioco. Eravamo sudditi, restiamo sudditi di Bruxelles. Se si ragionasse meno con la pancia e di più con questi pochi elementi, forse si capirebbe che non sono i privilegi della politica, compresi i vitalizi, non è l’immigrazione, non è l’Italia che truffa il problema, non sono la corruzione o lo stipendio dei parlamentari o degli onorevoli, ma la mancanza della nostra moneta sovrana che d’incanto risolverebbe tutto. Se in Italia ci fosse il lavoro per tutti, la sanità che funziona ovunque, ospedali, scuole, se la povertà non fosse una conseguenza di quanto accade ma un problema secondario che si può serenamente e efficacemente risolvere, a noi che cosa ci frega dei dolori addominali che provoca vedere la politica opulenta e sonnolente? Pensateci!

Personaggi come Arru, additati come esecutori della morte della sanità pubblica, non dico che verrebbero scagionati ma sicuramente non esisterebbero nemmeno. Il problema è uno e uno solo. Cambiamenti non ce ne potranno essere se non si capisce che solo la politica che torna indietro a prima dell’entrata nella trappola UE può rispondere a questa strage in atto. Solo ripristinando di fatto la Carta Costituzionale cambierebbe tutto questo correre a cercare soluzioni che non ci sono o pensare, qui i Sardegna, alla zona franca come rimedio. La si vada a vedere cosa è la zona franca in quei paesi dove vige. Tassi elevatissimi di disoccupazione, mercantilismo di neo schiavisti che arrivano, depredano e vanno via, lasciando sul campo miseria e povertà. Però la benzina costa meno e l’IVA non la paghiamo più. Il dito e non la luna insomma.

Olocausto senza guerre e senza armi. Il futuro è ancora possibile se uscissimo fuori da questa contesa tra destra e sinistra e si pensasse che la battaglia è unica e il nemico è sempre lo stesso.

Antonio Masoni

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