Tempio Pausania, Che poi, non è che l’educazione sia un librone da studiare!

Tempio Pausania, 27 dic. 2017-

Qualcuno si ostina a parlare di educazione. Quel grandissimo ed indigesto libro di parole non scritte che rappresenta il modello a cui ispirarsi e verso cui convergere nel “cammin della nostra vita”. Che poi è la “selva oscura” che frega, il posto dove ci si ritrova e dal quale uscire viene abbastanza difficile. Che poi, non è che da piccoli eravamo dei santi, ma il pensiero di fare qualsiasi azione che superasse appena il limite del  vetro rotto col pallone, era così pesante che diventava censura emotiva, si aveva paura di oltrepassare quella soglia. Sento sempre parlare di educazione come se fosse un modello unico di principi e valori, quando al limite è solo uno il modello che non va nemmeno copiato: dicesi rispetto, si chiama responsabilità, vuol dire sapersi comportare sempre e senza che nessuno ce lo debba per forza indicare.

Era già stato tutto scritto, sin dalla notte dei tempi. Esistono le persone, le relazioni tra esse, e adattarvisi è la cosa migliore. Quanti hanno visto un ragazzo o una ragazza uscir fuori dalle poche regole non scritte? Praticamente ogni giorno, direi. In sostanza, il principio dell’educazione come modello comportamentale non esiste affatto. E’ già innato, è un carattere, non a caso ereditario, che è insito in ognuno di noi. Così come ogni bimbo nasce alcalino, e diventa acido appena la sua alimentazione cambia, altrettanto è la natura dell’essere umano, ha in se dalla nascita tutti i mondi possibili e poi, quando conosce l’altro modo e mondo, sa adattarsi benissimo, non certo per sopravvivere ma per autoregolarsi, con milioni di distinguo, al pensiero corrente.

Ai tempi attuali, fa eccezione conoscere ragazzi che abbiano esclusiva purezza d’animo, ci si accontenta che abbiano quei famosi sani principi con cui sono nati e che magari hanno perduto “nel cammin della loro vita”.

Il ruolo di un genitore, in fondo, non è complicato dal punto di vista dell’educazione. Possiede tutti gli strumenti per trasmettere i suoi principi senza mai dire una sola parola ai figli. Quindi, quale educazione? Mi si venga a dire che “da l’ascia esci l’asciola”, stupenda frase gallurese che indica il “talis pater, talis filius” e condivido appieno, ma non ditemi che i genitori debbano modellare i figli a qualche strana creatura difforme da essi, perché l’opera la vedo assai complessa.

Ho visto genitori insegnare tutto senza dire una sola parola o mai dare un minimo buffetto ai loro figli e ho visto altrettanti genitori percuotere i figli per delle malefatte. Risultati assolutamente sovrapponibili, diversi nella forma, uguali nella sostanza. Chi ha sbagliato e cosa?

Appoggiando la mia riflessione sulla frase gallurese di poc’anzi, non ci sono principi assolutistici e inequivocabili su cui poggiare la difficile istruzione educativa, perché l’educazione come materia di studio è secondo me inesistente, e non parlo di educazione civica che è la pietra miliare a cui spiccare il volo. Che poi, da grandi, i figli diventino bulli, da qualcuno hanno assorbito quel deleterio messaggio delle prevaricazioni nei confronti del prossimo. Ma non si nasce cattivi, né bulli, né violenti, né vandali. Lo si diventa, quando la visione della vita assume per ciascuno i connotati del disagio, o magari si perde il desiderio di essere rispettosi e responsabili a causa di qualche azione subita. Non è un fenomeno che possiamo risolvere con mezzi di sorveglianza, anche se diventano indispensabili per certe variabili impazzite, né lo risolviamo assumendo toni minacciosi di vendette squadristiche o ronde. Il rimedio sarebbe peggiore del male. Esiste una linea di confine tra agire per il bene e agire pensando di fare del bene con la coercizione e le restrizioni o peggio le punizioni. Ieri ho scritto del bisogno di apprezzamento, ossia della sofferenza che ci scagiona non ricevere consenso per qualcosa che diciamo o facciamo. In casi come quelli di ieri notte, può esserci esattamente la stessa cosa, solo che questi balordi magari vogliono essere disprezzati, per loro quasi una ricompensa non potendone ricevere altre. Un modo come un altro per ribadire che in questa vita, ci stanno anche loro e hanno un ruolo che non ci piace affatto ma è pur sempre un compito. Ora, i compiti si fanno a scuola e in casa, normalmente vanno anche corretti e giudicati. Quindi, se costoro hanno fatto i loro “compiti”, gli stessi si devono correggere e giudicare. Non certo con le missioni punitive o i famosi “calci in culo”, ma provando a inserirli in un nuovo pianeta nel quale sono nati, come tutti noi, ma che hanno momentaneamente abbandonato.

Esistono i modi per farlo, solo che non devono attendere troppo, perché da grandi essere ricordati come quelli che dieci anni prima hanno devastato una piazza, una stazione, i giochi per bambini, le panchine, magari tutto ben evidenziato in una fedina penale sostanziosa, non è che darà lustro alla loro vita. Inoltre, i minori non restano minori per tutta la vita. E poi, cosa racconteranno ai loro figli? Che hanno vissuto come Superman o Robin Hood perché hanno dovuto combattere contro le forze del male, il Generale Zod o lo sceriffo di Nottingham? Tisana va!

Antonio Masoni

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