Tempio Pausania, “Non se ne esce, ma ci sono e ci vorrei stare”, le malattie invalidanti, rare o frequenti che cambiano la vita.

Tempio Pausania, 17 feb. 2017-

Non ci si pensa mai ad alcune malattie che sembrano appartenere ad altri mondi, non al nostro, opulento e cronicamente ignorante. Poi, casualmente, ne incontri una, dal nome esotico e duro come un pugno allo stomaco, una di quelle sindromi che non sai se il suo nome sia una marca di shampoo o l’ennesima scoperta scientifica dell’eterna giovinezza.

Si fa prima a definire una malattia dalle  conseguenze visibili su corpo e viso piuttosto che a risalire alla sintomatologia dei bugiardini, testamenti di parole tecniche e poco adatte alla nostra, mia per primo, cronica ignoranza in materia.

Un problema neurologico“, che ti debilita, ti toglie muscolatura, ti costringe a lunghi periodi di “fermo”, insomma una specie di allettamento che, col tempo, volge alla scarsa deambulazione, all’uso limitato di arti, mani e piedi.

Si chiama Sindrome di Churg-Strauss, e non sto lì a prendere i dati di internet che ciascuno si andrà se vuole a leggere ma che non aggiungono nulla all’impatto devastante che si ha quando si incontra un amico di vecchissima data (anni che non ci si vede) e che ti racconta che lui è tra quell’ 1su 200.000 di popolazione mondiale che ne è afflitto.

I segni sulle mani mi colpiscono, dita deformate, quasi uno scavo che congiunge il pollice con l’indice della mano destra ti fa sembrare che manchi un pezzo di carne e pelle in quel punto.

Non è così, è la malattia autoimmune – mi dice – che pian piano ti consuma“. I vecchi ricordi del tennis ci distolgono per un attimo dalla conversazione improntata a quella strana malattia. ” Sai che voglia che avrei di stare su un campo da tennis e non accontentarmi che ora mi ci portino in macchina ad assistere alle partite dei miei figli. “

Ti capisco, caro amico, ma non riesco ancora a capire quanto dolore tu abbia dentro e cosa senti quando ascolti il tic-tac della pallina che attraversa il campo. Non oso chiedertelo, sarebbe pura cattiveria che si scontra con la mia amarezza nell’averti trovato così, dopo che hai avuto anche tu la vita segnata.

Vado in pensione – dice – e mi ritrovo con questa malattia. Una cosa ti dico, non andarci mai in pensione, sembra un destino che non si riesce mai a godersela come si dovrebbe, arriva puntuale qualcosa che te la distrugge”

Guardo il commesso in cassa che ha ascoltato la nostra chiacchierata, mi guarda e fa un cenno di assenso. “Chi non ha diritto alla pensione già lo sappiamo dove sta, a quelli altro che pensione….!”.

Il chiaro riferimento ai privilegiati della politica che senza batter ciglio si intascano migliaia di euro ogni mese senza far nulla è sempre attuale, quasi un precetto di qualsiasi discussione in qualunque posto, dal bar al supermercato. Come non  essere d’accordo?

Eppure lo sai Antonio – mi dice l’amico – dopo otto mesi senza muovermi da un letto d’ospedale, alla ricerca di una corretta diagnosi di questa malattia rara, con un futuro che non c’è se non nella mia forza di volontà,  ho ancora voglia di esserci e lottare. Non esiste una cura specifica ma solo farmaci immuno depressivi che mi evitano conseguenze tragiche“.

Una strana giornata ieri. Al telefono, di mattina mi ha chiamato un altro amico per parlarmi di artrite reumatoide, di sicuro con un’alta incidenza rispetto all’altra, ma con gravi conseguenze anch’essa. Esistono delle cure biologiche nuove che pare siano efficaci ma, ed era questo il motivo della chiamata dell’amico, non sono disponibili perché costose e con problemi ad essere reperite in farmacia. Un problema sicuramente contingente, che sarà risolto ma che costringe l’ammalato a spararsi quantità industriali di cortisonici dagli effetti devastanti sulle ossa. In alternativa non c’è altro, a meno che non si preferisca patire dolori lancinanti.

Una giornata a contatto con queste malattie, in questo mondo di cronica ignoranza che mi invade e che mi rende inabile a tutto, tranne che all’ascolto. E ascoltare è una medicina molto preziosa per chi ha voglia di raccontarsi. Lo capisci quando la moglie richiama il marito a coprirsi per il freddo.

Sai, non posso ammalarmi, non devo prendere freddo“. Accenna ad un passo svelto ma illusorio, ha bisogno di sostegno.

Un abbraccio amico mio, che dirti. La sola cosa che riesco a pronunciare, dopo baci e abbracci reciproci, non la sente più. E’ già rintanato nella macchina. “A presto, speriamo

Antonio Masoni

 

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