Tempio Pausania, Passerà? Certo che passerà e torneremo anche a vedere le rondini a primavera.

Tempio Pausania, 19 nov. 2017-

Quando ricalco le stesse orme del passato, quando rifaccio gli stessi sbagli e volo con le fantasie della mai finita infanzia, ho davanti a me gli spettri delle paure, quel senso di impotenza che travalica l’appartenenza a questa generazione dei capelli radi e bianchi per sfociare nelle consuete pratiche giornaliere, ritmi e battiti anomali di chi perde la via maestra per essere sballottato tra le grandi e piccole difficoltà dell’oggi. Penso che, se fossi stato un ragioniere della mia quotidiana esistenza, tante cose non mi sarebbero sfuggite di mano, ma sono nato carneo ed istintivo, senza la fredda lucidità di chi pondera prima di agire, di chi esamina prima di parlare, o resta muto prima di esprimere una minima osservazione critica.

Guardo ogni giorno il mondo attorno a me, vedo tanti pacchetti di carne che si agitano o si addormentano, seguendo orizzonti di sogni impossibili o immersi nella loro apatica miseria, frutto più del distacco che di impotenza della nostra umanità. Non lo so se tacciono perché non hanno nulla da dire o perché ne avrebbero troppe, ma non trovano nessuno ad ascoltarli. In questi anni, impoveriti per tutti e pilotati dentro presunte logiche di socializzazione virtuale, ho riflettuto molto su cosa ci sta accadendo. Da una parte, dinamiche di rabbia ci indurrebbero alla rivoluzione, dall’altra ovvie considerazioni sulla pochezza delle nostre tasche, ci portano ad arrenderci ed accontentarci del minimo indispensabile, sempre che ci sia.

Ne parlo col mio collega, anch’egli irritato dalle derive sociali dei nostri tempi, le povertà in crescita esponenziale e l’assoluta e spasmodica voglia di andar via, enucleare se stessi da queste radici che sono state sempre vita e attaccamento, affidarsi al vento per decidere se andare a levante o ponente, o farsi piroettare nel convulso maestrale che pulisce l’aria e ghermisce come unghie di aquila il nostro volto rugoso. Concordiamo sul restare comunque, cercare vie di mezzo per essere sempre attenti e critici ma allo stesso tempo far sentire disinteresse, in apparenza. Che ruolo sarebbe questo? Di gente sfiduciata che vorrebbe cambiare il mondo ma sa che non spetta a lui. In fondo è vero, non spetta a noi cambiare il mondo, pur se spinti da generosa e altruistica vocazione al prossimo, saremmo solo pochi, velleitari e patetici, malinconici rivoluzionari retrò, con la maglia del Che e le Timberland, vestiti di jeans senegalesi ma col giubbotto Armani originale. Questo siamo poi, acqua e fuoco, duali in ogni cosa o aspetto della vita, figli della contraddizione e alla ricerca spasmodica dell’effetto shock che stupisca o colpisca l’interesse degli altri.

Intanto, aspettiamo che passi, perché hanno detto “passerà” e potremmo rivedere anche le rondini questa prossima primavera, magari sul ciglio del baratro di Monte Pinu, che verrà forse aggiustato Col tiepido sole di aprile potremmo ripassare la lezioncina della nostra esistenza conflittuale. Con una birra e un panino, le sole cose che potremmo permetterci, faremo festa, aggrediti come foglie dal vento e frastornati da queste dissertazioni serali tra ciò che abbiamo pensato di costruire e le macerie che attorno a noi ci raccontano un’altra storia, una altra beffa di questa inspiegabile ma bellissima vita. L’infanzia la scorderemo, con essa le fragorose e spensierate giornate senza nulla ma  illuminato di futuro, ci saranno solo vecchie foto ingiallite dalla noia del tempo e appena riscaldate dalla poesia della speranza, quella che non muore mai ma vacilla…eh,se vacilla!

Confusi e felici, come la canzone tristissima di Carmen Consoli o “L’ultimo bacio” sempre della stessa autrice, ascolteremo “mille violini suonati dal vento” mentre le rondini sopra di noi ci ricordano che è passata, si è passata. Lo aveva detto il TG anni fa mentre noi distratti stavamo sorseggiando la nostra birra e addentando il panino, perché quello ci siamo permessi allora.

Generazione di fenomeni, tutti con la maglietta dell’anno di nascita addosso a distinguerci per qualcosa di inesistente da chi ci sta accanto, come se bastasse un anno a determinare cosa abbiamo dato e fatto o cosa ci hanno permesso di fare. Ci vuole altro, ci vuole orecchio ad ascoltare i richiami disperati di questa giungla di pacchetti di carne che ci chiedono una mano. E dividiamo questo panino, dai. Dove non si mangia da soli, si può e si deve non mangiare in due.

Antonio Masoni

 

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