Tempio Pausania, per una rilassante attesa delle prossime elezioni comunali.

Tempio Pausania, 9 luglio 2014-

C’era una volta nell’antica terra di Grasgjlia (attuale Gallura) un castello diroccato che incuteva paura tra la gente del posto. I Grasgjlesi (i galluresi dell’antichità) erano un popolo mite, dedito alla pastorizia e all’ignoranza e, come capita nella peggiore delle tradizioni, si divertivano solo in rare occasioni, in particolare durante lu bocacarri (Carnevale in lingua di Grasgjlia, parola di origine latina che deriva da carnem levare) in cui impazzivano letteralmente per le maschere buffe che da soli, con perizia e tanta passione si costruivano. Il castello era abitato da vecchi nobili, di origine incerta e abbastanza funerea, che nessuno aveva mai visto. Erano sempre accorti a non farsi scoprire e, per meglio occultare la propria identità, non erano mai usciti dal castello. Solo qualche bucjata (canzone) di tanto in tanto ne scandiva l’esistenza.
Un buleddu (uccellino) era solito svolazzare sul torrione alto del castello rallegrando quel malefico antilumu (ombra) spezzettato da un cuecù (ululato) che si ariccjaa (ascoltava) mentre i castellani erano segretamente rinchiusi nelle loro stanze castriate (coatte).
Un buleddu cantorru affantatu (uccellino canterino innamorato) annunciava il sorgere del sole ma loro erano sempre al buio.
C’era, narra la leggenda, una data fatidica. Era il 13 settembre, giorno in cui la famiglia aveva fissantatu (deciso) di uscire dal castello per rivelarsi al popolo zotico e idiota che non vedeva l’ora (era cieco per forza!) di sapere chi fossero quei nobili del castello diroccato. Qualcuno azzardò che si trattasse di fintòmini (attori) o finzunne (attrici) che, tipo grande fratello, non dovevano uscire per contratto dalla casa sino all’ora ipsilon (la X si dice troppo spesso).
Li lingati (le voci) dicevano anche che si potesse trattare di un mincjum (una stupidata), ossia di una sceneggiata per far cadere in trappola i grasgisilesi sempre più ruffi (strambi) che credevano che quei nobili potessero sovvertire le sorti della loro vita trasformandola, magari, da faticosa a semindustriale, con forti ricadute economiche sul prezzo dei ravanelli.
La storia non può essere chiusa perché siamo ancora al 9 luglio, e il Brasile ha subito un pitrallu (dolorante) e scarratu (sconvolgente) zunnami (disastro) calcistico dai tedeschi. E poi c’è agosto e dopo agosto c’è settembre che ne ha sempre 30, TUTTI GLI ALTRI SON NESSUNO. Indi per cui poscia, lu bau (il cane) alza la coscia e…..
Se son rose, roseranno, amici…..e speriamo che alla prima scornacchiata d’acqua li campanelli non perdano il loro tinno.
Cordialmente, Antonio Masoni.

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