Tempio Pausania, Perché i sindacati sono in crisi. Dati e numeri di una emorragia inarrestabile.

Tempio Pausania, 26 mag. 2018-

Prendo come fonte un articolo pubblicato lo scorso anno da un quotidiano on line per evidenziare una tendenza incontrovertibile in atto da diversi anni, cioè la crisi dei sindacati. 

fonte tiscali on line (maggio 2017)

di Nicola Porro

Come sempre avviene il primo maggio, i sindacati si impossessano della festa del lavoro. Li capiamo: grazie alla retorica del primo maggio, viene garantito il lavoro. Il loro, quello dei sindacalisti. Ecco tre motivi per cui non c’è nulla da festeggiare. E soprattutto quando parlano è bene sapere chi rappresentano.

1) Il declino numerico dei sindacati. Abbiamo cercato i numeri ufficiali sui siti dei tre principali sindacati. E per loro ogni anno è un’emorragia. Per la Cgil i dati, che abbiamo trovato, sono riferiti al 2015, per gli altri due al 2016. La Camusso nel 2015, secondo un documento interno, avrebbe perso 700 mila iscritti. A fine anno si sono perse per strada circa 200mila tessere. Il totale fa 5,4 milioni, di cui la metà pensionati.

La Cisl (dati 2016) ha 4 milioni di iscritti di cui poco meno della metà pensionati (1,8 milioni). La Uil(dati 2016) ha 2,2 milioni di iscritti, di cui attivi solo 1,36 milioni. In sintesi, i tre sindacati perdono ogni anno consenso e circa metà dei loro iscritti non lavora.

2) I sindacati, come si vede nelle tabelle pubbliche, sono relativamente forti sul lavoro dipendente con punte nella pubblica amministrazione (uno su due è iscritto), ma debolissimi sui nuovi lavori e sui giovani.

In Italia la disoccupazione giovanile è più alta della media europea (1,9 milioni di giovani tra i 25 e i 34 non ha lavoro, pari al 26 per cento contro una media europa del 15 per cento), e i nuovi lavori (atipici) hanno tassi ridicoli di sindacalizzazione.

Secondo una ricerca dell’Università di Bari il 95% dei giovani di un campione rappresentativo di studenti (15-20 anni) sa cosa sia il sindacato ma il 75 per cento ha escluso il proprio impegno diretto in uno di essi. Il nuovo mondo non parla la lingua della Camusso.

3) I loro clamorosi fallimenti nel proteggere anche le categorie che dovrebbero essere più protette.

a) 2010 caso Pomigliano. La spaccatura tra Cgil e Cisl e Uil su referendum Marchionne. Landini (cgil) diceva che i due sindacati avversari si comportavano da sindacati gialli collusi col padrone. Il referendum alla Fiat di Pomigliano alla fine passò. Oggi ha ripreso ad assumere, fare investimenti, ridotta la Cig e la Fiom avrebbe perso (fonte Cisl) la metà dei suoi iscritti.

b) 2016 caso Almaviva. Il giudice del lavoro con una sentenza ha scritto che le divisioni all’interno della Cgil hanno cagionato la rottura della trattativa con l’azienda e il licenziamento di 1666 dipendenti. Nella filiale di Napoli dove le rappresentanze sindacali sono state unite sono stati mantenuti gli 800 posti di lavoro.

c) 2017 caso Alitalia. I tre sindacati confederali hanno sponsorizzato un referendum, che la stragrande maggioranza dei dipendenti ha bocciato, avviando l’azienda verso l’amministrazione straordinaria.

Ma chi rappresentano davvero Cgil, Cisl e Uil? La Camusso ha detto il primo maggio del 2017 sul Fatto che “la gente non è più rassegnata alla flessibilità”. Sbaglia la gente, i giovani, i lavoratori contemporanei conoscono la flessibilità.

I dirigenti sindacali, al contrario, non conoscono la flessibilità: vivono, nascono e finiscono la propria carriera nel sindacato. O in Parlamento.

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Il pezzo di un giornalista, anche se Porro lo si può collocare tra quelli di parte, è però spietato nella elencazione dei numeri ed anche sulla base di semplici riflessioni di cui ogni giorno ci si accorge. 30 anni fa, la presenza sindacale all’interno di un’azienda era di tutt’altra forza e penetrazione, capace di assumere posizioni a favore dei lavoratori, stabilirne le priorità e far si che la proprietà, sia essa privata che pubblica, quanto meno rimodulasse determinate decisioni, oggi si naviga a vista e alcune grosse battaglie vedono bandiere ma poca se non nulla incisività nelle istanze.

Prendendo, come esempio, il nostro territorio, da anni sono in corso grosse battaglie che hanno sempre visti schierati i sindacati ma come forma più simbolica e malinconica che sostanziale e determinata. Non me ne vogliano alcuni amici che operano dentro le dinamiche sindacali, ma assistere alla depauperazione incessante di servizi e aziende, leggere comunicati sindacali che non spostano di un centimetro il tiro della lotta, fa pensare alla debolezza della forza sindacale, come se ” si, ci dobbiamo essere ma più per sensibilità e comunanza coi lavoratori che per capacità di incidere nelle istanze”.

La Sanità ne è un esempio lampante. Certo, c’erano, ci sono stati sempre e ci saranno, con le bandiere e quant’altro ma alla fine, in sede di discussione e di concertazione con la controparte in regione, avete mai sentito qualcosa se non meri comunicati stampa che si perdono nelle pieghe della correttezza linguistica o poco più. Potrebbero rispondere che ” Non abbiamo iscritti, chi dobbiamo tutelare?”, nel senso che la moria in atto di tessere ne giustificherebbe l’atteggiamento passivo ma allora avrebbe poco significato la difesa della classe lavoratrice che non ha un lavoro e che sta vivendo la peggiore crisi mai conosciuta.

Un sindacato non può vedere solo la sua penetrazione nei lavoratori che perdono il lavoro ma dovrebbe essere propositiva nel promuovere la lotta alle cause che stanno provocando la sua mancanza e lo sconquasso dello stato sociale a tutto tondo. A cosa serve rifiutarsi di comprendere che la radice del male è solo una e sta da una parte sola, in quei poteri sovranazionali che stanno dirigendo il traffico da 20 anni e che hanno raggiunto l’acme della pericolosità con la classe politica attuale che ne è stata complice?

E’ vero,  un sindacato non è solo quello che ci aspettiamo,  presente sempre nelle vertenze di un territorio, ma è anche assistenza, e disbrigo di pratiche che con loro risultano formulate perfettamente. Nella mia visione dello sfascio in corso, ho pensato che nei sindacati ci fosse ben altro, una chiara posizione per capire e divulgare le cause del male e non una semplice solidarietà che, a leggere i numeri dell’articolo, sta esaurendo ogni efficacia. 

L’ultima volta che ho visto una riunione sindacale nel mio lavoro, è stata forse 10 anni fa col rappresentante che ascoltava i lavoratori, prendeva nota e poi rimandava ad una successiva istanza nell’assessorato di competenza o presso il datore di lavoro con cui discutere delle richieste. Ora, se penso al nostro ospedale e alle continue perdite di servizi e figure sanitarie, mi chiedo se mai siano stati promossi incontri con l’assessorato e se qualcuno di essi abbia mai dato un risultato. Non ne chiedo tanti, ma uno solo e che sia stato veramente frutto della loro mediazione.

Il sindacato somiglia sempre più ad un’appendice del sistema, che se ne allontana nella forma ma poco o nulla nella sostanza. Resto in attesa di leggere soluzioni alternative a questo impoverimento generale attraverso azioni energiche, che vengano istituite delle task force di lotta vera e non di posizioni “pacatamente” conflittuali.

Un sindacato deve spingere, unire e combattere sul campo, assieme alla gente e più della gente. Non serve essere un bastone per camminare meglio ma un caterpillar per opporsi alla stessa forza del nemico…e quest’ultimo non si trova nei palazzi noti ma in stanze con i bottoni da dove vengono manipolate e controllate le scelte della politica e del nostro futuro.

Alzare l’asticella, please!

Antonio Masoni

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