Tempio Pausania, A proposito della devastazione nella Stazione ferroviaria, a cura di “Zaum”, gruppo culturale Tempio-Milano.

Tempio Pausania, 18 ott. 2017-

Ricevo e pubblico molto volentieri questa disamina attenta e altamente istruttiva sulla devastazione avvenuta la notte tra il 14 e il 15 ottobre alla Stazione ferroviaria di Tempio. Ringrazio Giancarlo Orecchioni che l’ha inviata a nome della associazione Zaum di cui fa parte.

I nuovi Lanzichenecchi, il malessere sociale e il complesso d’inferiorità

Incursione ribelle e distruttiva nella Stazione ferroviaria liberty di Tempio Pausania

 

La Stazione Ferroviaria

Centottant’anni fa, era il 1837, Tempio Pausania è stata elevata al rango di città dal Re di Sardegna Carlo Alberto. La storia e le antiche origini del luogo si intravvedono ancora oggi nel tessuto sociale – all’interno della nostra città e fuori di essa – in un susseguirsi di eventi che, dalle prime forme di frequentazione e popolamento del territorio, nelle varie epoche preistoriche e prenuragiche, si sono alternati fino ai vari periodi storici e culturali passati e recenti: da quello romano a quello giudicale, da quello catalano e spagnolo alla breve permanenza austriaca, fino a quello sabaudo, al Regno d’Italia e non ultima per importanza sino alla nostra Unità culturale, linguistica e sociale come Stato repubblicano, unitario indipendente e sovrano. Tuttavia, senza, perdere la nostra identità culturale e sociale nell’isola e nella nostra Gallura.

Di queste epoche e di questi grandi periodi storici – noi cittadini sardi e galluresi – abbiamo ricevuto in eredità non solo le varie ossature architettoniche, quindi stratigrafiche del luogo, e le loro opere – il nostro locus amoenus – ma anche quella intellettuale e culturale, anima e nostra primaria essenza; luogo accogliente, per i residenti e per i turisti, circondato inoltre da antichi boschi e da un suggestivo paesaggio, ancora incolume, anche se in passato ferito per via dei numerosissimi e brutali atti incendiari, i quali hanno lasciato morte e nera distruzione. Quest’anima intellettuale e culturale della città, che aleggia ancora nell’eredità di ognuno di noi, certo di chi oggigiorno ne è consapevole, è stata forgiata, intagliata e plasmata – restando impressa – da illustri uomini nati o solo vissuti per varie vicissitudini lavorative nella nostra città.

Focalizzandoci almeno sul secolo scorso e parte del nuovo, insigni e celebri protagonisti della cultura sarda, locale e nazionale hanno lasciato e continuano a trasmettere i loro segni ben visibili nella storia della nostra città, contribuendo alla valorizzazione del nostro spazio territoriale. Poeti come l’idilliaco Don Gavino Pes, il musicologo Gavino Gabriel, gli ammiratissimi e celebri tenori operistici Bernardo De Muro e Giovanni Manurita, il pittore Francesco Menzio, lo studioso e poeta professor Giulio Cossu, politici, avvocati, lo scrittore e storico Manlio Brigaglia tra i contemporanei, e il cantautore genovese Fabrizio De Andrè. E non ultimi, ma solo per età, giovani e meno giovani studiosi intraprendenti, creativi, dinamici e laboriosi – il più delle volte sconosciuti ai cittadini locali – che utilizzando le varie arti danno lustro alla città, in un mondo refrattario e ribelle alla cultura; uomini che hanno raccontato e raccontano il nostro luogo dall’interno e dall’esterno attraverso il loro pensiero diluito nelle loro opere intellettuali.

Tra i protagonisti della cultura sarda e nazionale il pittore Giuseppe Biasi, al pari degli altri già citati, ha valorizzato la nostra città realizzando su commissione una serie di dipinti che ancora, dai primi anni Trenta, sono esposti e ben visibili nelle alte pareti della sala d’aspetto dei viaggiatori della Stazione ferroviaria. Opere di un ingente valore culturale – prima che economico – che, al pari dell’intera struttura, hanno rischiato, per mano di un gruppo di vandali minorenni, forse in-consapevoli, di svanire, dissolvendosi per sempre durante la scorsa notte del 14 ottobre (2017). Ed è proprio per questi tragici eventi che noi non scriveremo per eufemismo e per circonlocuzioni, ma per quel che segue vogliamo essere lucidi e realistici osservatori senza trovar attenuanti.

La devastazione è stata barbarica, un vandalismo sociale, senz’altro, non inatteso: spietata per i preziosissimi vari arredi della storica biglietteria e della sala d’attesa, del bar dell’amico Marco Muntoni (noto cantore delle tradizioni popolari), dell’ottocentesco telegrafo, e di altri importanti elementi della struttura modernista in stile Liberty (attribuita all’ingegner Maroni) dati in parte alle fiamme, le quali hanno lambito per pochi centimetri i dipinti del pittore Biasi. L’incursione notturna, dell’incivile e rozzo gruppetto d’amici, è terminata con l’utilizzo maldestro – come un gioco infantile – di due autobus di linea frutto, sicuramente, di un logorante e ingurgitato e ingozzato abuso di alcol e droga (secondo quanto riportato dall’agenzia ANSA).

Questo è il sintomo di un disagio, di una discrasia, di un’insoddisfazione liquida che aleggia in primo luogo e nel primo luogo sacro: la famiglia. Il luogo che dovrebbe essere, al contrario, lo spazio del dialogo, della quiete e dell’amore; un intimo spazio nel quale, in particolari circostanze, si nasconde, distaccata dalla realtà, quella stessa violenza – verbale o fisica – messa in atto dai nottambuli indomiti pubertari. Certamente, non si vuole generalizzare: perché non esistono famiglie perfette ed esseri umani perfetti; per il fatto che avere cattivi genitori non significa diventare cattivi ragazzi. Genitori che, in questa amara circostanza, sono stati privi di responsabilità verso se stessi, verso i loro figli e verso la comunità; in taluni casi famiglie, forse, sfortunate ed incredule dell’operato randagio dei loro figli. Famiglie alcune volte emarginate e purtroppo non inserite, pienamente, all’interno di una società civile; famiglie che vorrebbero farne parte ma non riescono ad inserirsi e scagionare pienamente la loro realtà dei fatti. Inoltre, figli con un eccesso di libertà, scambiata da loro stessi come emancipazione; figli come cani sciolti, perché già esclusi dalle proprie famiglie e dalla società che li emargina e sicuramente li emarginerà ancor di più; ragazzi disincagliati dagli obblighi della loro età; ragazzi con una doppia faccia: quella bianca per assecondare e quella nera per assalire, distruggere, sostenere e appoggiare il vile branco: la sola famiglia che già in tenera età accoglie; masnada che sopprime, il più delle volte, tenere anime innocenti di bambini con feroci, ignobili e spregevoli atti di bullismo. Frotta di prepotenti che singolarmente mugugnano, bofonchiano senza agire: singoli lagnoni senza spina dorsale.

Giovani studenti e non che, privi di cultura e di sensibilità e di amore per la cosa pubblica, non volano e non hanno volato con la fantasia creativa all’interno dello storico spazio, costruito anche per loro. Recalcitranti ragazzi, amanti della noia, nauseati forse della loro stessa vita che, attraverso il loro violento, crudele e feroce segnico gesto, hanno cercato a loro modo l’antidoto e il contravveleno alla loro inetta vita; un urlo forse d’angoscia contro un classe politica assente, inadeguata, irresponsabile e oligarchica, che sventolando quotidianamente e falsamente una bandiera democratica, non dà voce al popolo, e di certo non aiuta gli ultimi nella cosiddetta piramide sociale: le stratificazioni più attardate, o meglio abbandonate a se stesse nel nostro Paese, diventato per molti un locus terribilis, un locus horridus; una classe politica che non è d’esempio per una serenità individuale orma per un benessere collettivo; ragazzi immaturi, probabilmente, senza autostima, incerti del futuro, dove la loro violenza incontrollata è lo specchio reale della loro condizione a volte di inferiorità; inadeguatezza alla vita che viene diminuita o addirittura annullata attraverso un’esplosione di rabbia repressa, come valvola di sfogo, – se non altro temporanea –, distruggendo così il bene comune. Gesto che può trasformarsi ora anche in un urlo angosciante d’aiuto. Un aiuto che non va sottovalutato – perché strato sociale della nostra quotidiana realtà – bensì ascoltato dalla magistratura, da tutte le autorità cittadine, dai servizi sociali, dalle forze dell’ordine, e non ultimo dai cittadini: questo per essere fulmineo disintossicante soccorso; ma in primo luogo punito in modo severo secondo le attuali norme vigenti: norme che dovrebbero essere inflessibili anche sui minorenni. Regole irremovibili e severe per difendere i territori, e difenderci da questi nuovi lanzichenecchi, questo per essere così da ammonimento. Regole irremovibili e severe per tutelare, salvare e proteggere il nostro patrimonio culturale ed umano a volte così fragile e in numerosi casi nazionali anche mal gestito. Un patrimonio che senza il nostro aiuto (come collettività) non può difendersi, perché non ha voce per difendersi. Un patrimonio che ahinoi viene violentemente e drammaticamente profanato: come avvenuto di recente – lo scorso 7 agosto – nelle due chiesette campestri di Mezaustu e di La Trinità, nelle quali altri arredi e le sacre statue hanno subito la stessa ira distruttiva della Stazione, come il folle e sacrilego gesto da parte di ignoti fuorilegge di aver dato alle fiamme il corpo statuario e sacro della madre di Gesù: la Madonna. Un patrimonio violato, per chi ha memoria corta, anche dai recenti lanci delle immondizie – effettuati da adulti di varie estrazioni sociali – nelle campagne prossime alla città. Un futuro incerto e caduco senza una giusto sistema terapico. Un presente decadente sarà il passo per un futuro declinante, senza una consapevolezza morale, storica e culturale. Per questo è necessario comprendere da quali impulsi possano essere stati animati, infervorati e guidati questi atti violenti.

Oggi la Stazione e la nostra città hanno perso il colore intenso e la bellezza diffusa, e una nube di incertezza aleggia fra tutti noi. Questi ragazzi – oggi adolescenti ma tra qualche anno adulti – hanno svuotato e ferito la memoria di un luogo d’incontri e di scambi tra le persone. Un luogo (la Stazione) che lo scorso 27 luglio, grazie alla disponibilità della Regione Sardegna, della Pro Loco di Tempio Pausania, e dell’amico Marco Muntoni gestore del bar attiguo, ha ospitato la prima esposizione Zaum del fotografo-artista Gianmario Pedroni, prima di una serie di eventi culturali che si sarebbero susseguiti con altri e vari incontri.

Concludendo e auspicando in un ripristino del luogo barbaramente ferito – attraverso un professionale restauro – che la storica città di Tempio Pausania possa riavere la sua antica stazione, il suo storico gioiello architettonico e culturale, patrimonio di tutti. Rattristati, amareggiati e preoccupati noi del gruppo culturale Zaum apriamo le nostre braccia alla città di Tempio e della Gallura colpita dalla peste virulenta – sperando non similmente diffusa – dell’attualissima gretta ignoranza e della realissima attuale diffusa illegalità, non solo presente in questo nostro Bel Paese.

Gruppo Culturale Zaum

Milano – Tempio Pausania

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