Tempio Pausania, Quell’albero, quei viali, quel lavoro, questa città.

Tempio Pausania, 11 dic. 2018-

Perché non basta mai l’amore verso qualcosa o qualcuno, non è abbastanza dedicare il proprio tempo per un silenzioso atteggiamento per la propria città, per la gente che la vive. Ci vuole coraggio, quando pure viene meno la passione, e tutto si accuccia dietro l’assenza, a voler dimostrare che la stessa sia rispetto, e non nasconda dissonanze croniche di chi pensa di dover per forza esaltare se stesso e il suo modus operandi. Non tutti siamo uguali, non sempre accettiamo quanto ci viene detto, cosa che diventa subito  insopportabile e non digeribile. Così esco, prendo la mia reflex di due soldi ed esco. Ad incontrare la notte con questo strano libeccio che muove i fiori rossi e bianchi, come il suono del canneto percorso dal vento. E’ silenzio ovunque, qualche sparuto passante che si tiene le mani in tasca a proteggersi mentre osserva i ragazzi che assemblano con certosina cura ogni piccolo fiore dentro una rete bianca. Quanto amore in quei gesti, quanta cura e pazienza, quanta fatica a stare piegati sulle ginocchia con la schiena scoperta dal movimento. Osservo e non parlo, cosa c’è da dire? Scatto foto qua e là, tanto per mantenere copiosa la scalcinata riserva  anche di queste giornate, impagabili per chi sta lavorandoci da giorni, toccanti e emozionanti per me che ci sbatto sopra la mia fanciullesca anima romantica.

Sono poesie quei gesti, scritte dal silenzio di chi crede nella propria città, al punto da dedicarci giornate e nottate, senza soste e senza una paga. Non cercano consensi, non hanno bisogno di questo, penso che a loro basti guardare gli occhi stupiti di chi apprezza questo fiabesco mondo natalizio tempiese.

Un salto in piazza, ad osservare la quercia rinata dalle sue ceneri, ha avuto una seconda possibilità e gli è stata data perché è un valore, anche se secca e perduta per la sua fase produttiva. Le lucine sono stelle e i lampioni tante lune che la ubriacano di ricche colorazioni, attorno il buio, su di essa i riflettori della ribalta, quelli della protagonista della recita natalizia.

Spesso vengo tacciato di doppio giochismo, quasi che avessi due vite da vivere, una di chi da anni fa questo lavoro di informazione senza avere in cambio una scaglia di sottobosco, ed un’altra  da falso giullare che sta dentro diverse scarpe. La chiamano incoerenza la mia, perché non so tacere dinanzi allo sberleffo per troppa gente che pena e si commuove come un bambino mentre osserva un volontario che sistema un fiorellino di plastica su una rete  bianca. L’altra versione dice che parlo sempre bene o male di qualcuno. Al più ne scrivo, ma come tutti voi ho licenza di opinare, non voglio convincere nessuno né ho presunzioni di avere ragione. Scrivo per me, perché farlo  mi aiuta a sopportare meglio momenti contrari che accadono. Se questo è essere ruffiani, vi lascio alla vostra dissonanza.

“Il fiume racconta leggende mentre veloce va al mare….bisogna venirci di sera – canta Guccini – con l’anima oppressa dal pianto….”, meravigliosa e triste canzone che stanotte era mia, dondolante tra la piazza e la piazza, a roteare gli occhi su questi lavori, unici, originali, che piacciano o meno, l’autentica sorpresa che è già un bel regalo che ho ricevuto. In fondo basta poco, e non c’è nulla da valorizzare che la storia non abbia già fatto. Ogni pietra di questi luoghi è valore, ogni minuto speso per rendere diversa la città è valore, il sorriso dei volontari che da forza come un corroborante energico, è forza e valore. E ho visto ragazzi sorridere, divertiti mentre stanno realizzando il nostro Natale, attenti a non sciupare nemmeno uno dei 100.000 fiori costruiti con pazienza e abnegazione. E il fiume notturno  bianco e rosso si dipana in questo stupendo percorso sino a quella pianta della speranza che troneggia nella piazza, illuminata da mille lune riflesse di questa città che stanotte era più bella.

Romanticherie da fanciulli le mie, retaggi di quel tempo che fu che oggi era ancora una volta mio, con tutte le contraddizioni di un’età adulta che mai sarà compiuta del tutto. Qualcuno azzarda nel dire che chiunque provi sempre una emozione, non invecchierà mai. Forse è vero.

Lo dedico a te questo pezzo di notte tempiese, a te che queste melodie del libeccio tra i fiori rossi e bianchi non le puoi ascoltare.

Vorrei che i tuoi occhi stanotte vedessero attraverso i miei, per regalarti un sorriso, quello che hai spento da mesi. Vedessi quanto è bella Tempio. Tu però non puoi vedermi, non parli, non sai. Posso solo dirti di quelle gocce che bagnano il mio volto, non è pioggia. Sto pensando a te, mi succede ogni giorno. Non posso darti altro che un pensiero e l’immaginario che racconta questa notte.

Antonio Masoni

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