Tempio Pausania, Raccontami di quel viaggio dentro l’oscurità ed il mistero.

Tempio Pausania, 30 giu. 2017-

La vita porta a volte davanti alle oscurità della mente, un convulso viaggio verso qualcosa che non possiamo prevedere, né intuire e nemmeno capire. Cosa ci sia dietro una perdita di coscienza, quella specie di tappo nel convulso viaggio della mente, spesso è ignoto come ignoti sono i meccanismi scientifici che sovrastano quelle complicate connessioni neuronali che attendono alla nostra azione, al nostro sentire, parlare, ascoltare, muoverci, capire. Tutto è dentro quell’ammasso che si chiama cervello, con le sue circonvoluzioni, le sue diramazioni, le sue nascoste sinapsi che ci rendono vivi e in grado di esserci o ci fanno stare sotto un grande albero che ci ricopre di ombre e mistero. In quel giardino che nessuno sa.

Un mio amico, un giorno, mi disse che nella fase di distacco temporaneo dalla realtà, per la perdita della coscienza o per un coma profondo, si vive una realtà parallela, dove nulla ha senso e tutto è distacco dal senziente. Mi disse che lui, a causa di un coma profondo, ha vissuto un’altra vita, come se il sogno che stava elaborando, fosse una vera nuova e fantastica avventura. Lui rivide le persone care decedute, luoghi ignoti che poi scoprì essere veri e lontani, e tante altre stranezze che mai si possono collegare con il mondo che aveva sempre vissuto, visto, conosciuto.

E mentre sono lì che osservo quel giardino sfiorito e spento, e a malapena ne sento il respiro e ne valuto  i beep che lo circondano, penso ancora a quel fantastico racconto di quel vecchio amico, ritornato tra i vivi.  Osservo ancora e ancora quel corpo che respira e basta, e penso a quanti viaggi sta compiendo in quel momento, quante stranezze starà osservando e in quanti universi sconosciuti avrà viaggiato. Lo valuto con tenerezza, lo accarezzo e quei pochi movimenti alle mie sollecitazioni, li considero progressi, forse ce la farà, forse un giorno mi racconterà tutto di quel viaggio nell’oscurità. Lo spero, lo vorrei, lo chiedo a qualche dio di passaggio, a quello che non ho mai pregato od a quell’altro che sono io, il mio riflesso allo specchio, la mia coscienza, il solo che può darmi le risposte che cerco, facendomi recuperare energie sopite e dandomi la forza necessaria a superare ogni difficoltà.

Li cerco tutti questi presunti salvatori e, mentre osservo quella pianta arida, ne richiedo l’intervento, anzi lo pretendo accampando diritti inalienabili dell’uomo, quello alla vita che viene fuori quasi come una pretesa perché in fondo si tratta di un giovane uomo, come se ci fosse differenza anagrafica nel diritto a vivercela fino in fondo questa vita.

Passa il medico, gli chiedo qualcosa. Noto nel suo sguardo, prima che nelle parole che mi dice, che questo destino, come quello del giovane 33enne immobile da più tempo, disteso addormentato con la mamma che gli tiene la mano e gli parla, non è nelle loro mani, seppure esperte e capaci. La rassegnazione non è scienza, mi ribello a questo sconforto.

“Non vuole che si aspetti la rifioritura del giardino senza almeno provare ad innaffiarlo?”. Ti guarda, capisce cosa vuoi dirgli, sorride e allarga le mani in segno di attesa.

Si è mosso, risponde alle sollecitazioni, ai miei pizzicotti. Un risultato, penso. Mi dissuade l’infermiera, dice che sono solo reazioni involontarie. Ma no, penso, non è involontario, sono io che ho stimolato la sua pelle. Allarga le braccia anche lei, sorride. Due sorrisi in una volta sola….non saranno troppi? Capisco, vado via, torno a casa, restare non serve più. Forse domani, si sveglierà. Un giardino, dopo queste desiderate piogge di ieri e di oggi, avrà beneficio, penso. Si, sarà certo così. Domani, dico a me stesso, sarà un giorno nuovo, certo un nuovo giorno, un altro piccolo mattoncino per poter iniziare a rivedere la luce del sole.

Dai, forza, ce la deve fare. Lui è forte e sarò il primo, o l’ultimo, a cui racconterà del viaggio nell’oscurità, quel mondo che nessuno ha mai visto ma che qualcuno ha avuto la sfiga di vivere. Oggi è costretto al silenzio, alla perdita della sua vitalità, alla totale apatia, al digiuno degli occhi. Quando si risveglierà, sarà bello poter ascoltare di quel viaggio nei meandri oscuri della mente.

Quanta tenerezza in un corpo assente, mentre lo saluto anche stavolta col groppo in gola, senza che nessuno avverta la mia delusione. Un cenno di saluto anche al solerte personale sanitario, immerso anch’esso in quella realtà di assenza. Magari anche un urlo  improvviso, un risveglio atteso, potrebbe restituire a quel lavoro la gratitudine che ricevono da me, o da altri parenti che se ne tornano a casa mesti o speranzosi, a seconda dei casi.

Mi aspetta il viaggio di ritorno, mio figlio accende la radio, lo faccio guidare. Parlo con lui, ma né io né lui abbiamo la percezione di cosa accadrà, domani, dopo domani, fra una settimana, un mese.

Mentre si ascolta musica, con la testa ritorno a quel letto, a quel giardino arido, a quelle reazioni “involontarie” alle mie sollecitazioni.

Fuori c’è ancora il sole, c’è di nuovo il sole come i giorni scorsi. Le nuvole però appaiono in lontananza, minacciose.

Mi auguro che piova ancora, il giardino ha bisogno di acqua.

Antonio Masoni

 

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