Tempio Pausania: Tempio docet. Giudicare, sentenziare e diffamare.Vizi e devianze dei galluresi.

Tempio Pausania, 15 maggio 2014-

La società moderna ci ha insegnato che esistono diverse forme di pensiero, da quello politico a quello religioso, dal modo di vivere alla scelta di morire come si vuole. Tristemente, da pseudo sociologo, mi sono spesso chiesto a chi e a che cosa giova andare fuori rotta o percorrere strade impraticabili e pericolose e alla fine sono giunto ad una conclusione che tengo per me e per i pochi intimi che fanno parte della mia vita. Credo fermamente che un pensiero standardizzato sia deleterio per il vivere civile e una vita senza qualche strambata (termine velico che indica un cambiamento di rotta, da cui l’aggettivo strambo) sia alla fine una vita senza sussulti e senza emozioni. Ergo, penso che nella vita bisogna essere ogni tanto fuori linea evitando di commercializzare la banalità come presunta normalità. Non che a essere banali ci si perda qualcosa, anzi forse da un lato è anche positivo. Una persona banale non è detto che sia anche stupida; è solo una vita che vuole vivere senza patemi e senza contraccolpi.

Mi nasce una riflessione da questo mattino di maggio, alla luce di qualcosa che ho letto e sentito, riferito al dilagare a Tempio delle maldicenze. Vero è che ci conosciamo un po’ tutti e che l’esigenza di sentirsi rumorosamente protagonisti di questa mentalità da paesotto ci porta a divulgare, giudicare e sentenziare su ogni episodio accaduto. Resto perplesso quando una vox populi diventa luogo comune del pensare degli stolti e degli ignoranti. Una notizia letta su un giornale diventa verità, una cosa sentita al TG diventa verbo e ciò che ci ha riferito l’amico compiacente, e sempre informato su tutto e tutti, diventa incontestabile più di una legge della costituzione. Tanto basta per additare il malcapitato per pagare, con sovrapprezzo, un reato che non si sa manco se è stata commesso o espiare moralmente, lui e la famiglia, una gabella paragonabile ad un lutto.

Sbandierare verità e accusare è un mestiere infamante e infame. Ci si sente padroni del mondo quando si è in possesso di un fatto di cronaca che, alla bisogna, manipoliamo per infangare e rendere lercio chi non conosciamo nemmeno, chi non sappiamo come viva e come faccia sesso o tratti il proprio cane. Non conta chi e che cosa, conta solo ciò che ha scritto il giornalettaio di turno o il conduttore impettito di un finto telegiornale lottizzato o l’amico che sa sempre tutto. L’infamia corre come il vento, e il malcapitato, di cui ancora non sappiamo nulla, è oggetto ripetuto di sassaiole e vituperio, alla mercé del pubblico ministero della strada, quello delle allegre comari o allegri compari che continuano incessanti a sbattere il mostro in prima pagina, dediti al passaparola reiterato e sempre con aggiunta di dettagli che “solo loro conoscono” perché glieli ha riferiti sempre l’amico compiacente che è sempre informato su tutto e tutti.

Cambiare questa mentalità è cosa ardua e allo stesso tempo vana soprattutto pensando a chi in vita sua lo ha sempre fatto e ha educato persino i suoi figli a farlo. Abbattere un pregiudizio è come costruire un grattacielo nel deserto, inutile e senza senso. Difendersi però è possibile: quando viene qualcuno da noi a riferirci un “me lo ha detto il tale”, mandatecelo a quel paese, quello del tunnel senza luce, e se dovesse perseverare nelle accuse sentite al TG o lette sul giornale, dategli trenta denari come compenso. Ci si ricordi infine che: “chi è senza peccato…..non ha nemmeno vissuto”.

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