Tempio Pausania, Tre anni fa, morti che attendono giustizia e la burocrazia che uccide ancora. 18 novembre 2013, una ricorrenza caduta nel baratro come tre di quelle vittime.

Tempio Pausania, 18 nov. 2016-

Il 18 novembre 2013 è stata una data che nessuno dimentica, non è possibile scordare qulla giornata, quelle vittime sepolte o trascinate via dalla furia dell’acqua, oggi uccise un’altra volta, quasi vuoti a perdere in attesa di essere riciclati con le solite ricorrenze  e anniversari che da tre anni si susseguono senza fine. Attese vane di giustizia, ancora rimandata, seguendo trafile e passaggi di una burocrazia che vieta, impedisce e rende sterili dinanzi a qualcosa che la giustizia umana avrebbe già condannato. Tutto tace, sepolto come quelle due autovetture ancora dentro il fossato, che hanno partorito tre morti e una sopravvissuta. Familiari che si affannano nel tribunale, che seguono col dolore ancora dentro passerelle di indiziati, di avvocati, di giudici che attendono pure loro una decisione. Una strada che ha fermato non solo la vita di tre persone ma anche la speranza che un giorno si possa ancora passarci, estenuante rimpallo di competenze, Anas, Procura, e poi ancora rimandi e blocchi. Una ennesima assurda vicenda della realtà italiana che altrove sarebbe stata risolta in pochi giorni. Studi geologici, strade alternative, studi di fattibilità, progetti, esperti che esprimono contrastanti opinioni sulla soluzione.

Sono passati tre anni, un paese che ci ha abituati a non vedere mai la risoluzione di un qualsiasi problema, stanziamenti di soldi che non possono essere spesi perché…c’è sempre un perché a tutto.

L’assurdità dei patti di stabilità, i vincoli di bilancio imposti dai rapaci di Bruxelles all’Europa dei tonti, che non permette nemmeno di ricostruire una città che sta con il naso per aria a fiutare la minaccia di pioggia, allarmi continui di dissesti idrogeologici, insicurezze che rasentano la paura in persone che hanno vissuto e ancora vivono quella tragedia di tre anni fa. Siamo in Italia, lo si dice sempre. A proposito dei terremoti, delle stragi che non hanno mai avuto giustizia, di una deriva mista di rabbia e pathos che ci vive dentro ogni volta che succede una calamità, naturale o indotta che sia.

Oggi è lo stesso giorno di tre anni fa, cambia solo il clima, fa addirittura caldo. E’ lo stesso giorno perché nulla è cambiato e quella strada è sempre lì, chiusa al traffico ma aperta come questa eterna ferita che non ha ancora avuto la cicatrice e che si perpetua come una riciclabile disfatta della umanità che deve solo soffrire, che non vedrà mai una condanna di chi ha responsabilità su quanto successo, che non sa spostare il focus del problema sulla ripresa di una esistenza collettiva a cui manca serenità, giustizia e amore. Li ricordiamo così quelle vittime, in questa foto che li comprende tutti. Non parlano più quelle facce, non sorridono più i familiari amareggiati dall’attesa di giustizia. Oggi è giorno di memoria e quella dobbiamo preservarla per forza, come dice una frase verissima dello scrittore cileno Luis Sepulveda: Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro.

Facciamo in modo che il futuro che ci attende dopo questa data tragicamente importante non sia solo di memoria ma di una reale coscienza che possa cambiare il corso anche delle speranze umane, sospesa come su un ponte pericolante,da una parte il baratro, dall’altra la speranza che il mondo che vivremo sia migliore di questo.

Antonio Masoni

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