“Disarmo, riconversione dell’industria delle armi”, Francesco Vignarca,presidente della rete per il disarmo.

Il Liceo Dettori di Tempio

Un argomento spinoso, controverso, in controtendenza rispetto alle volontà governative degli stati ai quali viene chiesto di porre un limite alla industria delle armi. Seppure essa non rappresenti una grande ricaduta economica in Italia, esiste una estrema difficoltà ad essere limitata o cancellata. L’Italia è un grande produttore di armi. Ne ha parlato Francesco Vignarca presso l’aula Magna del Liceo Dettori venerdì scorso, davanti a poche persone che fanno capo ad associazioni territoriali che si occupano di pace, solidarietà e diritti umani.

La discussione, alla fine di un documentario reportage sulla fabbrica RVM di Domusnovas in Sardegna, ha posto l’accento sulle diverse posizioni che si hanno sull’argomento.

Chi vede importante anche questa operazione di sensibilizzazione, chi intravvede invece una speranza concreta che si possa attuare un disarmo partendo proprio dalla conoscenza e dalle possibili soluzioni da mettere in campo a livello di regioni interessate dalla presenza di queste fabbriche. A Domusnovas, in una zona depressa della Sardegna, esiste da anni questa fabbrica bresciana che fu dislocata qui e che da lavoro ad oltre 120 famiglie e ad oltre 800  persone che ci lavorano.

Riconversione

Non appare semplice chiudere queste fabbriche così come utopistico attuare una sana riconvesione veso attività pulite, di carattere ambientalistico. Mi vengono in mente le battaglie, a cui anche io diedi un mio piccolo e modesto contributo, contro i poligoni di tiro sardi. Territori invasi da eserciti stranieri dove si sparava di tutto, con la conseguenza delle gravi menomazioni di quei territori e con l’inquinamento radioattivo che, come noto, non evapora da un giorno all’altro quando l’attività viene dismessa. I governi regionali lo hanno sempre visto come argomento  difficile da risolvere, anche quando le pressioni degli oppositori alla militarizzazione invasiva della Sardegna, facevano sentire la loro azione energica e sferzante.

Di diversa natura, ma con conseguenze ambientali di pari importanza, è stata per il nord Sardegna, la dismissione della cave di lapidei. Quando chiusero, restò un ambiente ferito a morte, centinaia di operai a spasso e una riconversione che non è mai avvenuta. In qualche zona, la natura ha ricoperto le cicatrici, altrove purtroppo restano ferite insanabili e mortali.

Parlare di riconversione, dunque, sembra la panacea di tutti i mali ma sempre che la Regione sappia agire con soluzioni redditizie per la occupazione e sempre nel rispetto dei territori. Il sindaco di Domusnovas, Massimiliano Ventura, in carica dal 2018, interistato, pur ammettendo che lui è per la smilitarizzazione, difende a denti stretti quella sola realtà economica del comune campidanese. In altre parole, non si vuole la guerra, nessuna la vorrebbe, ma chi la alimenta con a produzione delle armi, ha pur bisogno di una alternativa lavorativa altrettanto valida.

Vignarca ha sciorinato dati ed ha illustrato anche le azioni legali apportate negli anni, ma pur apprezzando il suo indefesso impegno ad informare e sensibilizzare, si devono anche trovare risposte a livello di amministrazione regionale per contrastare la perdita di una realtà economica, per alcuni territori fondamentale.

Il discorso è difficile e, come detto, controverso. Nessuno vuole una guerra e quanto ci sta dietro. Tutti vorremmo stare in u mondo di pace, lontani dai conflitti e da questa realtà che ha visto da decenni la Sardegna, martoriata dalla povertà, terra di facile conquista per l’industria bellica.

Una soluzione esiste? Cerchiamola con chi ci governa ma la si smetta di straparlare sempre di riconversione quando si conosce bene com’è stato l’agire dei governi regionali, anche di segno favorevole al disarmo. La Sardegna è diventata una pattumiera e non solo per la presenza di questa industria di morte.

Antonio Masoni

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