Il Capitale Umano, di Antonello Caputo.

La concreta strategia dell'unità delle genti per contrastare crisi sociale e ridare fiato all'economia.

Il Capitale Umano, non solo è il titolo di un famoso film italiano , ma anche quello di questo interessante articolo proposto da Antonello Caputo. Una visione strategica, aliena all’utopia, che si prefigge di attivare l’unione, troppo spesso decantata ma mai concretizzata, di uno, 100, 1000 progetti comuni in un territorio in difficoltà. Qualcuno le chiama evasioni, ma sono in realtà già realizzate e quindi possibili. Sempre che il paradigma personalistico, campanilistico, unilaterale, venga rimosso per qualcosa di veramente straordinario.

Il pezzo verte su un qualcosa di già realizzato altrove, laddove non esisterebbero numeri sostanziosi di individui, ma è perfettamente percorribile in una dimensione allargata e fattuale. Non solo burocratici aggregati di comuni che si spartiscono torte sempre più esigue, peraltro spesso prede di prevaricazioni e voci grosse e più roboanti, ma unione di quel capitale umano a disposizione di operatività congiunta. Progetti che avrebbero sempre soluzioni e riscontri. Basta scegliere vie comuni, strade sempre interconnesse, e azioni di marketing appropriate e efficaci. 

Il Capitale Umano

Tra i tanti pensieri che ci affliggono la mente, sorgono delle domande, a volte facili e talvolta complesse. A me capita, e vorrei condividerlo con voi. Ho pensato: è possibile unire tanti paesi in uno solo?

Mentre riflettevo mi è tornato in mente un ricordo, ormai indelebile, di un viaggio entusiasmante che feci alcuni anni fa e che brevemente vi racconto.

Alla fine della primavera decisi, con degli amici, di recarmi per qualche giorno in luogo un tantino fuori dalle rotte vacanziere e modaiole. Avevo visto, forse in qualche trafiletto di giornale, che vi si sarebbe esibito il celeberrimo Neil Young. Il posto in questione è Barolo, in provincia di Cuneo; un paesino di 702 abitanti, posto su di una collina nelle Langhe cuneesi, che tutti conosciamo grazie alla fama mondiale del vino locale.

Qui si organizza un grande festival multi-culturale chiamato Collisioni, ideato nel 2009, che si svolge annualmente e prevede eventi letterari, concerti “agri rock” – come li definiscono gli organizzatori, percorsi enogastronomici wine & food e tanto altro. Conta oltre 100 mila presenze e tantissime personalità importanti. Ne cito solo alcune: Bernardo Bertolucci, Laura Morante, Vittorio Sgarbi, Marco Travaglio, Niccolò Ammaniti, e così via. In quanto a musicisti, si parla di gente del calibro di Bob Dylan, Sting, Mark Knopfler, Robbie Williams, il già menzionato Neil Young, e molti altri.

Roba da matti.

E’  possibile parlare di capitale umano unendo tutte le forze.

È dunque possibile partire dal basso e unire le forze per realizzare obiettivi del genere?

Quest’idea è frutto dell’iniziativa di alcune giovani menti, che hanno fatto in modo di promuoverla, estendendola ad altri comuni limitrofi, fino a ottenere il sostegno della provincia, e infine della regione Piemonte. Tutti partecipano al suo buon funzionamento. A dispetto della sua piccolissima dimensione, Barolo ha creato qualcosa di veramente grande, che non sarebbe stato possibile senza la stretta collaborazione degli altri paesi. C’è stato un progetto iniziale che ha trovato, però, basi solide su cui svilupparsi. Queste basi devono consistere in un piano, una visione, una piattaforma, per così dire, per il decollo di un’idea. O un concorso, perché no?

Ed è qua che lancio la mia piccola provocazione.

Anche un concorso di idee riservato ai giovani da 18 a 35 anni

Perché non indire, anche nella nostra realtà, una selezione in cui si possono proporre i propri progetti? Un “concorso di idee” per giovani tra i 18 e i 35 anni, ad esempio, in cui si premino le più innovative, che possano promettere un effettivo sviluppo in termini di collaborazione. Questi giovani potrebbero impegnarsi ad elaborare le idee, mettendo a disposizione le competenze acquisite nel loro territorio di origine e magari anche all’estero, col sostegno delle realtà circostanti; unendo alcune forme moderne di reperimento di capitali, che in molti altri Paesi riescono ad agevolare la nascita e la crescita di molte aziende, seguendo il modello delle start-up. Questo tipo di promozione di risorse e potenziamento sociale, civile ed economico, rappresenta una risposta in linea col mondo del lavoro di oggi.

In Sardegna, tuttavia, queste formule rimangono perlopiù sconosciute, se non ad eccezione di alcuni casi isolati, come il programma anti spopolamento di C.R.E.I. ACLI, Brains to Sardinia, che sostiene progetti, formazioni e indice concorsi. Tutto dedicato ai giovani emigrati sardi, che possono costituire un vero e proprio “capitale umano”, competitivo e soprattutto digitalmente competente.

Bisogna, infatti, adattarsi al fatto che la società è ormai digitale, e nei prossimi anni questo aspetto non potrà che intensificarsi. Dalla diffusione della robotica (che ha raggiunto livelli importanti anche in Italia) all’intelligenza artificiale, al 5G. Oggi, in un sistema di reti integrate, tra ospedali, ambulanze, traffico, municipi, scuole e servizi energetici, occorrerà che tutti gli addetti dei vari settori sappiano dialogare con la tecnologia.  La tecnologia ha il potere di cambiare radicalmente la nostra vita in pochissimo tempo e solo chi si prepara fin da subito non ne verrà travolto.

Il Capitale Umano è futuro, o forse, addirittura presente

Nella misurazione del livello di competenza digitale, secondo l’Indice Internazionale (AICANET.it) del 2018 l’Italia si piazza quartultima fra i Paesi dell’Unione Europea, seguita solo da Bulgaria, Grecia e Romania. Il nostro Paese, pur avendo eccellenze, ha un ritardo doloroso. La prima causa riguarda l’arretratezza del nostro sistema scolastico e formativo di base.

E ancora: i nostri livelli di competenza linguistica corrispondono solo al 3,3% degli adulti contro l’11,8% della media dei 24 paesi analizzati, e al 22,6% del Giappone.

Sul piano delle imprese le cose non vanno molto meglio.

Secondo il Corriere della Sera, la percentuale di piccole e medie imprese che vendono online è dell’8%. Dopo di noi si trova solo la sopracitata Bulgaria. Spagna e Germania arrivano rispettivamente al 20% e al 23%. Secondo i dati Istat sulle rilevazioni, l’89% delle 67.000 piccole imprese manifatturiere, comprese fra i 10 e 49 addetti, ancora oggi un’impostazione analogica o comunque digitale incompiuta.

Sono dati impressionanti, e che certamente contribuiscono a spiegare i nostri problemi di competitività.

Sono dilaganti l’arretratezza digitale, linguistica e più in generale competitiva in Italia, un Paese vittima del proprio rimpianto dei “bei tempi andati”, in cui lo “Stato” risolveva tutto – perlomeno nell’immaginario comune. Un Paese che ha una naturale tendenza alla conservazione, alla resistenza al cambiamento, e a prediligere la “comfort zone”.

Queste cose si insinuano e si radicano in noi, impedendoci di abbracciare la trasformazione.

Per riprendere la domanda posta all’inizio, sul come sia possibile unire tanti paesi in uno solo, credo che la risposta sia oggettivamente molto articolata. Tuttavia, resta il fatto che quel famoso “capitale umano”, forse, si potrebbe provare ad utilizzarlo meglio.

Concludo con una frase bellissima, un’incitazione ad osare di più: “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.” (Martin Luther King)

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