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Carissimo Antonio, la lettera dal mondo capovolto

Carissimo Antonio, è la lettera di una cara amica che ha vissuto in pieno il dramma del mondo capovolto, l’attuale incredibile vicenda che sembra un punto di non ritorno. Dalla sua fine, sperando la più vicina possibile, si deve comunque ripartire. Le fratture sono troppe, non saremo in grado di risanare tutto, l’anima sarà come svuotata del nostro patrimonio di saperi, perché questa lezione ci insegnerà altro.

A capire il disagio, intanto, quello di chi soffre per una malattia, di chi ha perso un proprio caro, di chi è solo, povero, senza lavoro, distrutto nel suo futuro prossimo. Come una cambiale che forse riusciremo a pagare ma che non ci lascerà null’altro. Come le macerie dopo un bombardamento, avremo solo da ricostruire, ripartendo da nuova sensibilità, impegno, altruismo e solidarietà. Ci riusciremo, ma sarà una lunga scia di privazioni, perdite sociali ed economiche, petizioni, domande, raccolta fondi, e quanto siamo da anni abituati ad assistere da protagonisti o da  attoniti spettatori di questo mondo capovolto. 

«Carissimo Antonio, anzitutto come stai? In questo surreale momento storico che noi “piccoli” esseri umani stiamo affrontando?

E poi grazie per il tuo blog che ci informa e per le tue riflessioni che leggo su facebook.»

 

Antonio, ti chiedi, mi chiedo, cosa racconteranno i nostri figli ai loro figli?

«Cosa racconteranno nostri figli ai loro figli?  E che futuro aspetterà loro? Figli che si stanno per immettere nel mondo del lavoro, un mondo già pronto a respingerli prima e che adesso sarà anche più crudele.
Ma riusciranno e riusciremo, cosi come hanno fatto i nostri avi.
Cosa racconteremo noi ai nostri nipoti?

Io sono rientrata una settimana fa da Milano.
Una città che mi ha ospitata per quasi un mese, per portare avanti le mie cure oncologiche, una città irriconoscibile che ho visto cambiare di giorno in giorno. Mentre qui si festeggiava il carnevale come niente fosse, la si iniziava questa guerra silente che poi è arrivata fino qui. Oltrepassando il mare e le montagne, ha raggiunto ogni parte della terra.

Ho vissuto la paura nella solitudine. Non avevo tempo per la noia, dovevo concentrare le mie energie per stare bene e poter rientrare a casa, nella mia Tempio. Non avevo necessita di trovare escamotage per uscire, dovevo farlo e basta!

Ogni giorno mi dovevo recare in ospedale per la radioterapia e affrontare i mezzi e la trincea di un luogo che ogni giorno cominciava a diventare sempre più pericoloso e blindato. Dovevo affrontare le file infinite dei supermercati, le consegne a domicilio erano sold-out per tutto il mese di marzo. Avevo con me poche armi: 2 mascherine, la razionalità e l’ottimismo».

Nella metropoli silenziosa, solo sirene e rintocchi di campane

«Ho avvertito inneggiare lo slogan #Milanononsiferma…. ma poi nella silenziosa Milano non si sentiva più musica dai balconi, ma altri suoni: sirene delle ambulanze e i rintocchi di campane.

Antonio, ho visto, le strade a sei corsie deserte di auto, con semafori che continuavano il loro lavoro, ho visto il grigio del cielo lasciare spazio ad un azzurro intenso.

Vissuto, il terrore di non riuscire a rientrare. Ho acquistato tre biglietti aerei e ho visto i miei tre voli annullati. Ho atteso con ansia le mie autorizzazioni dal presidente della Regione.

Ho visto, mentre il mio transfer mi portava in aeroporto, le indicazioni stradali per OSPEDALE SACCO. E poi posti di blocco… l’esercito… forse era meglio non guardare da quel finestrino.
Il terrore di Malpensa! File interminabili all’esterno dell’aeroporto,  voli annullati,  stranieri preoccupati e in lacrime che lasciavano i loro sogno: il nostro Paese.

Non ho visto sorrisi, perché il viso era oscurato dalle mascherine ma ho avvertito la solidarietà e l’attenzione delle forze dell ordine».

Cagliari, all’aeroporto nemmeno un abbraccio. Il rientro a Tempio

«Quando sono atterrata a Cagliari non ci siamo potuti abbracciare con mio marito e mi ha condotto verso casa come un autista amorevole e preoccupato. Mi ha accompagnata a casa e ci siamo lasciati, cosi ho dato inizio alla mia quarantena.

Mio marito aveva già affrontato lo stesso viaggio e lo stesso dispiacere nel non poter abbracciare nostra figlia che rientrava da Londra. Oggi viviamo in tre case separate, per tutelare le nostra famiglia e la comunità dove viviamo. Stiamo bene, Antonio e non vediamo l’ora di riunirci e di “annoiarci” tutti insieme…. mentre aspettiamo che anche L.  rientri dall’Inghilterra. (Lui é ligio e ancora non ha lasciato il Paese nel quale studia).
Avrò da raccontare ai miei nipoti…

Ma intanto come tutti auspichiamo che le poche forze della nostra Sanità sarda reggano (sappiamo tutti quanto é debole) perché oggi i soldati sguarniti di qualsiasi arma sono loro.
Un caro saluto Antonio, e spero di vederci presto per un abbraccio».