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Tempio Pausania, Breve storia di Cesare Benelli, nato a Tempio e Generale di divisione in Grecia, di Pietro Pandino.

Tempio Pausania, 24 lug. 2016-

Ci sono storie che a volte si pescano attraverso un certosino lavoro di ricerca che nasce da ritrovamenti casuali. Scopri cose interessanti, ne valuti l’importanza e provi a ricostruirne i dettagli. Quella storia, in un modo o nell’altro, diventa anche la tua. Vai avanti, spinto da curiosità, mosso dalla sete talvolta insaziabile, di venire e capo dell’intero quadro dove, ogni giorno, aggiungi un pezzettino. Bella anche questa storia del Generale di Divisione Cesare Benelli, tempiese Comandante della 24a Divisione fanteria “Pinerolo”. La propone Pietro Pandino, il ” curioso ” trovatore di questa vicenda a moltissimi ignota nei dettagli. Pietro la racconta e cita le fonti ad una ad una. Io la propongo a voi lettori, sapendo che la troverete altrettanto utile per scoprire questa figura di militare nato in città nel 1885. Grazie a Pietro Pandino per avermela “donata” per diffonderla alla vasta platea di lettori di questo blog. (A. Mas.)

 

Quel Generale Tempiese in Grecia. Breve storia del Gen. di Divisione Cesare Benelli Comandante della 24a Divisione fanteria “Pinerolo”.

 

Cesare Benelli nasce a Tempio Pausania 28 gennaio 1885. Il padre si chiamava Olinto la madre Anna Maria, si sposò con Felicina Casulli, anche lei nasce a Tempio Pausania il 21 febbraio 1890.

 Grecia 1943:

Dal 1941 (giugno?) anche se l’invasione italiana incomincio nel 1940, all’8 settembre del 1943, in Grecia si insediò l’alleanza italo-tedesca. In quel lasso di tempo gli italiani amministrarono due terzi della Grecia, mentre l’altro terzo venne amministrato dai tedeschi. Questa occupazione fu caratterizzata da continue prevaricazionii e soprusi ai danni di innocenti (ricordiamo Salonicco).

Oramai stanchi e stremati da squesta situazione insostenibile, in Grecia ben presto andorono a formarsi diversi movimenti partigiani.

Il 16 febbraio 1943, a un chilometro circa dal villaggio di Domenikon, durante un agguato da parte dei partigiani greci a un convoglio militare italiano che trasportava viveri, morirono 9 soldati italiani. Quale era il centro abitato più vicino? Domenikon, va da sè quindi che i “ribelli” dovevano provenire da lì; quindi andava distrutta, come scrisse poi il generale Cesare Benelli che comandava la divisione Pinerolo “…i greci andavano puniti”, . “Gli uomini della Pinerolo agiscono immediatamente”. Radunano e massacrano tutti i maschi oltre i 14 anni che vi abitano. Le poche case vengono date alle fiamme. La chiesa viene risparmiata, le donne avviate in un campo di concentramento. Il generale Benelli si vanta di quell’azione, dice che è «esempio e monito per il futuro» e nelle conclusioni del rapporto scrive che «le perdite sono le seguenti, da parte nostra. Morti in combattimento:

truppa 8: morto in ospedale in seguito alle ferite, truppa 1. Feriti: 2 ufficiali, truppa 13.

Da parte dei greci. Morti durante lo scontro: 8. Sbandati, fuggiaschi, raggiunti e passati per le armi dalla scorta dell’autocolonna: 7. Rastrellati dalla compagnia di rinforzo e passati per le armi: 16. Passati per le armi perché cercavano di fuggire dall’accerchiamento: 4. Passati per le armi da reparto inviato da Tyrnavos: 8. Passati per le armi a Damasi: 97 (sono i cittadini di Domenikon, ndr.). In totale 140 sudditi greci deceduti».

Prima, in quel villaggio, i soldati italiani ci andavano per un’ora o due, flirtavano con le donne e poi, soddisfatti, se ne andavano. A Elassona erano fidanzati ufficialmente, erano dei dongiovanni”, racconta un contadino (su questa occupazione è nato un film-documentario ‘La guerra sporca di Mussolini’, diretto da Giovanni Donfrancesco e prodotto dalla GA&A Productions di Roma e dalla televisione greca Ert), gli italiani, quel giorno, si trasformarono in bestie.

Domenikon fu il primo di una serie di episodi repressivi. Il comandante delle forze italiane di occupazione, Generale Carlo Geloso, emanò una circolare sulla lotta ai ribelli che, in sostanza, disponeva l’annientamento dei movimenti partigiani e l’annientamento delle comunità locali”. Il tutto si tradusse in rastrellamenti, fucilazioni, incendi, requisizione e distruzione delle riserve alimentari. Seguirono stragi in Tessaglia e nella Grecia interna: 30 giorni dopo 60 civili fucilati a Tsaritsani, poi a Domokos, Farsala, Oxinià.

 Le autorità greche segnalarono stupri di massa. Azioni di cui praticamente non esistono immagini, memorie sepolte negli archivi militari. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Nel film il diario del soldato Guido Zuliani si racconta di rastrellamenti e torture. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa internazionale: “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari”. Fu internato, torturato, deportato in Italia. La figlia: “Un incubo”.

 Nel campo di concentramento di Larisa, a nord di Volos dove nacque Giorgio de Chirico, furono fucilati per rappresaglia oltre mille prigionieri greci. Molti morirono di fame, denutrizione, epidemie come viene ricordato nel film di Donfrancesco. Le brande con i materassi di foglie di granturco erano infestate dalle pulci.

La Tessaglia era il granaio greco. L’esercito italiano eseguiva confische, saccheggi, sequestri. Introdotta la valuta di occupazione, il mercato nero andò alle stelle. La razione di pane si ridusse a 30 grammi al giorno. Il film mostra abitanti di Atene morti di fame gettati come stracci agli angoli delle strade. “Nel solo inverno 1941”, ricorda la professoressa Santarelli a ‘L’espresso’, “la carestia indotta dall’amministrazione italiana fece tra i 40 e i 50 mila morti.

Nell’intero periodo morirono di fame e malattie tra i 200 e i 300 mila greci. Un altro capitolo poco studiato è la prostituzione: migliaia di donne prese per fame e reclutate in bordelli per soddisfare soldati e ufficiali italiani”. Nel 1946 il ministero greco della Previdenza sociale, nel censire i danni di guerra, calcolò che 400 villaggi avevano subito distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità italiane e tedesche, 200 dai soli italiani.

Un armadio della procura militare rimasto per decenni con le ante rivolte verso il muro e dentro, «archiviati provvisoriamente», 695 fascicoli sulle stragi commesse in Italia dai nazisti. Vi vennero chiusi nel 1960 per una sorta di patto segreto tra Italia e Germania. Nessun processo per i nazisti, nessun processo, in cambio, contro i fascisti colpevoli di crimini di guerra nei paesi aggrediti da Mussolini. Nel carrello della vergogna, infatti, insieme al fascicolo sulla strage di Domenikon ce ne sono molti altri relativi alle tante stragi commesse, durante l’ultima guerra, dai militari italiani.

Il fascicolo su Domenikon adesso è sul tavolo del procuratore militare di Roma, Marco De Paolis. E i fatti sono ricostruiti nel diario della divisione Pinerolo che, comandata dal generale Cesare Benelli, era di stanza nella Grecia occupata. La Procura militare di Roma apre l’inchiesta, ma poi la chiude frettolosamente con doppia motivazione: «Il generale Benelli è deceduto e manca la parità di tutela penale da parte dello Stato nemico a norma dell’art.165 del Codice militare di guerra». Molti magistrati contestano l’applicabilità di quell’articolo, un articolo chiamato “salva-tutti”, perché riguarderebbe il rapporto tra militari e militari e non tra militari e civili.

La storia rimossa di quei territori ci costringe a riflettere. I generali Geloso e Benelli non fecero altro che applicare le linee guida del generale Roatta in Jugoslavia, il quale teorizzò la strategia “testa per dente”. Le fucilazioni italiane in Slovenia, nella provincia di Lubiana, ebbero le stesse dimensioni delle fucilazioni tedesche in Alta Italia dopo l’8 settembre. Oltre 100 mila slavi transitarono per i campi di concentramento italiani in Jugoslavia. Nell’isola di Rab, di cui il film mostra cadaveri scheletrici, morì il 20 per cento dei prigionieri. Klinkhammer usa per l’esercito di Mussolini, ricordando i crimini in Etiopia e Cirenaica con l’impiego di gas contro i civili, il termine “programma di eliminazione”. E se dopo il 1945 Badoglio e Graziani furono i primi due criminali di guerra elencati dalle autorità etiopi, per la Grecia e i Balcani furono sollevate analoghe richieste per i generali Roatta, Ambrosio, Robotti e Gambara.

A Londra la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ricevette una lista con più di 1.500 segnalazioni di criminali di guerra italiani. Perché tutto andò insabbiato? Ecco un’altra rimozione nazionale. Nel 1946 era cambiato tutto: l’Europa spaccata in due tra Alleati e blocco sovietico. L’Italia di De Gasperi rientrava nella strategia di compattamento occidentale contro Stalin. Il nostro governo rifiutò la consegna dei responsabili di atrocità alla Grecia. Mentre De Gasperi istituiva una commissione d’inchiesta, chiedeva a Washington di temporeggiare. Stessa richiesta da Lord Halifax per il governo britannico, pur vicino alla Grecia, dove infuriava la guerra civile tra monarchici e comunisti. In breve: l’Italia rinunciò a chiedere estradizione e processo per i criminali nazisti (ricordate ‘l’armadio della vergogna’), la Grecia fece lo stesso con l’Italia. La Guerra fredda fu la pietra tombale sulle richieste di giustizia (vedere intervista a Filippo Focardi qui sopra).

I patrioti come Stathis Psomiadis hanno cercato di sollevare il velo dell’oblio, e questo documentario è un tributo agli innocenti. La realtà è dura da mandar giù. Domenikon, riconosciuta città martire nel 1998, non è diventata memoria collettiva, come da noi Marzabotto. Molti greci non conoscono queste vicende. Perché già nel 1948, con la rinuncia del governo a chiedere l’estradizione dei criminali italiani, la questione si chiuse. I processi non furono mai istruiti. Anni dopo anche il Tribunale di Larisa archiviò il caso. Oramai pochi ricodano la storia di Domenikon, è nella memoria di chi non ha più la forza di farsi sentire. E un tramonto malinconico sul villamemorisulla storia e sopra la giustizia, Domenikon quasi come Marzabotto.

‘La Divisione Pinerolo combatte l’attività partigiana fino all’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943. Nella confusione degli alti comandi, la “Pinerolo” fu l’unica divisione italiana di stanza sulla Grecia continentale a rifiutare di consegnare le armi ai tedeschi. Mentre le altre divisioni si arrendevano, la “Pinerolo” difese Larissa dagli attacchi tedeschi, per poi ritirarsi sulla catena montuosa del Pindo, dove l’11 settembre 1943, a Pertula, si aggregò all’Esercito popolare greco di liberazione nella lotta contro i nazisti. I reduci dell’unità furono rimpatriati nel 1945.

 Pietro Pandino

 

Fonti:

L’Espresso;

Wikipedia;

www.storiaxxisecolo.it;

www.dspace.unite.it;

www.fisicamente.net;

www.anpimirano.it