18 novembre 2013, una ferita sempre aperta.

Domani sarà 18 novembre, l‘anniversario della tragedia che colpì la Gallura e la Sardegna in seguito alla terribile alluvione. Sono passati 6 anni ed è come se il tempo si fosse fermato ad attendere che le responsabilità vengano alla luce. Almeno sapere che quelle 16 vittime non siano morte senza neppure uno straccio di giustizia. Tutto è rimasto fermo, compresi i lavori di ripristino del baratro della morte, quello della strada di Monte Pinu. Soccorsi in ritardo, mancato preavviso, il segnale tempestivo e fondamentale per avvisare la popolazione che quel ciclone era furioso e inarrestabile.

Dicono che il tempo rimargina qualsiasi ferita ma per il 18 novembre 2013 non è così e non lo può essere.

Pesa sulle coscienze di tanti quell’orribile tragedia, evitabile con tutti i “se” che la accompagnano anche a distanza di sei anni.

Dal rinvio a giudizio di 21 persone del lontano 2014, ad un anno di distanza, al “tutti assolti” nel processo dell’ottobre 2017.

“Lo Stato si è assolto, dopo le sue negligenze. Dunque è un’auto assoluzione che deresponsabilizza gli amministratori pubblici e chi ha il compito di proteggere le persone in caso di calamità. È una pericolosa china che si sta prendendo in Sardegna, ricordiamo anche la sentenza per i fatti di Capoterra”.

Cleopatra si portò via 16 persone, madri e figli, padri e figli, una intera famiglia, uomini e donne che ogni anno si ricordano in meste cerimonie di cordoglio dove quello stato assente ancora una volta “si assolve” con una corona e una messa di suffragio. 

Alla fine resta la straordinaria macchina della solidarietà che mai viene meno in questo Stato non Stato. Lo stabiliscono le persone però, le stesse che ci hanno rimesso la vita e non gli apparati burocratici che seguono gli iter di sempre.

Questa è l’Italia che partorisce tragedie su tragedie con la sua esecrabile corona di fallimenti.

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