Il dissenso sulla informazione libera.

Al solito, si agisce con le minacce, poi si passa alle querele. E basterebbe raccontare la verità dei fatti.

Il dissenso su chi produce libera informazione è sempre più marcato e stizzito. Oggi, essere liberi provoca mal di pancia in coloro che non accettano qualcuno che cerca solamente di far emergere la verità dei fatti e delle cose. Il perché è presto detto, non piace quando una voce non allineata si vuole accertare di come stanno le cose e della verità che si cerca di trovare, qualsiasi siano le ragioni per farlo.

La fase successiva verso le voci fuori dal coro, definite scomode, è quella intimidatoria e legale. Si passa dalle minacce alle querele per provare a far desistere chi della verità dei fatti sta solo cercando la conoscenza. Alternative per chi per indole, se non  per mestiere, ve n’è solo una, continuare a raccontare quei fatti sulla base di prove incontestabili e documentazione acquisita.

Nonostante esistano le norme costituzionali sulla libertà di stampa e sulla manifestazione del pensiero, le sponde sicure si cercano lo stesso. Perché gli interessi in ballo sono a volte enormi e nessuno si deve frapporre tra “il potere e suo interesse”. Men che meno una piccola vocina fuori dal coro che non ha, né cerca, santi nel paradiso dei poteri, piccoli o grandi che siano.

La voce roboante del potere presume di avere il diritto di sovrastare anche le norme costituzionali e quindi, sorretto da appoggi politici e ingerenti, cerca di spianarsi la strada contro ogni voce oppositrice. Fastidiosa come mosca, incorruttibile, poco disposta ad accettare compromessi, la voce oppositrice va in cerca solo della verità non delle vendette. Dovrebbe essere il compito della stampa, ritenuta libera nelle norme ma non nei fatti. Non a caso, l’Italia viaggia al 43° posto nel mondo, una classifica che la dice lunga sulla gestione dell’informazione nel nostro paese.

Dissenso e paura, concetti antitetici

Quando il potere cerca di gestire il dissenso, può ottenere risultati di natura opposta. Quello che “il potere” si augura è un accomodamento che metta il dissenso in letargo. Quando  parliamo di potere, non dobbiamo pensare soltanto a chi occupa la “stanza dei bottoni”. Dobbiamo pensare alle mille sfaccettature del potere, alle seconde e alle terze linee di esso, alle cosiddette “zone grigie” che vanno identificate con l’anticamera del potere, e che difficilmente sono riconoscibili.

Il sentimento che scaturisce quando la pressione del potere si fa violenta, è la paura, concetto in se antitetico rispetto a chi intende portare avanti il suo lavoro di ricerca e verità. La paura è uno stato d’animo legittimo ma è anche consapevolezza che esiste il coraggio, la molla che tutto risolve se armati e corazzati non solo di buona volontà e ardimento ma anche di oggettività delle informazioni che si hanno. Qualcuno ha definito la paura come “la briglia elettorale”, cosa significhi tale concetto è facilmente intuibile. E’ quella morsa che cerca di stringere chi produce informazione per condurlo nell’alveo politico del potere. Le astuzie di chi pratica questo perverso “modus operandi” sono tante e tutti le conoscono. Sono promesse, aiuti, sostegni, a volte anche soldi. E questi tempi grami dove la povertà impera, sono terreno ideale per tale modello operativo che conosciamo molto bene.

Il dissenso sulla informazione libera

Per il Centro di Coordinamento delle attività di monitoraggio sugli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, nel 2017 sono stati 126 gli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti.

È un periodo oscuro quello che stiamo attraversando, e non solo in Italia. Oscuro perché viviamo un clima di odio diffuso che alimenta nuovi razzismi e fascismi pericolosi, oltreché sottostimati nelle loro potenzialità. Fascismi che vestono i panni della democrazia formale, razzismi che soffiano su paure, povertà e crisi economica, sociale, culturale, sventolando  lo spauracchio degli stranieri rappresentati attraverso false notizie create ad arte.

Questo clima diffuso ha pesanti ricadute su libertà di stampa e diritto dei cittadini ad essere informati

I dati estratti da Arci.it sono impietosi e veritieri. La verità fa male solo a chi la vuole nascondere non a chi la deve estrarre tra mille difficoltà e bocche chiuse. Non bastasse questo clima da paese sotto tirannia, le istituzioni ammoniscono i dipendenti della sanità sarda a rilasciare dichiarazioni, la briglia anti democratica, da regime,  che è oggetto di interrogazione parlamentare dell’on. Lapia che afferma “Benché giuridicamente legittima e conforme al codice di comportamento dei dipendenti pubblici, la circolare trova un limite nel principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero. Ricordo ai dipendenti che un’eventuale sanzione disciplinare sarebbe impugnabile davanti al giudice del lavoro. Se sono rispettati i limiti della veridicità, dell’interesse pubblico a divulgare la notizia, senza espressioni di per sé ingiuriose, il diritto di critica del lavoratore non può essere sanzionato neanche sotto il profilo disciplinare”.

Il dissenso impone una scelta

Quando si parla di questo argomento, spesso viene in mente l’immagine del temerario Don Chisciotte, e questo lavoro di informazione assomiglia tanto all’inutilità di andare contro potenziali nemici. In realtà, non sono nemici personali semmai negatori della verità. E se qualcuno ti impedisce di arrivare a determinare quella verità, non ci sono due scelte ma una sola. Andare avanti e cercare, a tutti i costi, di farla emergere. Anche se farà male, in primis a noi stessi, e produrrà effetti in chi la verità la deve subire. Ecco un altro devastante effetto dell’informazione: la verità che si subisce. La potenza etica della verità però vola al di sopra di qualsiasi intimidazione, minaccia o querela. Chiunque metta bavagli o querele contro la potenza della verità, si rassereni. La paura fa morire due volte  e personalmente morirò una sola volta.

 

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