Cinque anni di impegno, di lotta, di tutto. Nessuno provi a impedirmi di sbagliare.

Quando la memoria diventa rifugio e condanna.

                      L’umanità che ho conosciuto

Rifletto, senza una precisa collocazione temporale del pensiero  Si intrecciano ricordi e storie, vicende umane che ho raccolto e raccontato, ingiustizie sociali che sottendono al macabro disegno pianificato sulla sanità pubblica, obbligata alla distruzione. Sono immagini di catene e lucchetti, manifestazioni, cortei, oltre 700 pezzi scritti dal marzo 2014 ad oggi.

Una lotta impari nella quale a combattere è un esercito di poche anime convinte che sia solo quella  la possibilità di salvare un ospedale. Mi colpisce una meteora: è  quella giornata al Dettori, quando venne, adulato dai cortigiani del partito, l’assessore alla sanità attuale per  la prima volta. Si era ritrovato delle persone incatenate,  quelle che avevano scoperto quale destino attendesse il nostro ospedale, non più centro di cure per un territorio vasto ma nell’orbita dispersa nel cosmo, prossima ad una riforma che ne avrebbe decretato la scomparsa.

Ricordo ogni faccia, ogni grido, ogni attimo, immagini che tornano random,  concatenate da anni di sola sofferenza e rare speranze di farcela Il grigiore di alcuni momenti di pathos autentico, si mescola alle numerose segnalazioni che mi porto dentro, scritte, in testa, nel cuore, indelebili impressioni per un coatto della giustizia sociale quale mi sono sempre sentito.

Non basta aver avuto tanti compagni diversi, tante persone che leggevano per conoscere cose che venivo a sapere. Cercavo la ribellione vera, il forte potere che hanno gli uomini quando reagiscono alle privazioni e alle povertà che crescono ogni giorno.

Tutti i sanitari, “anonimi” per forza, con i quali ho trascorso ore senza fine al telefono. Incontri interminabili, con cui mi veniva insegnato cosa volessero dire alcune sigle, parole difficili, usate per mascherare ciò che invece pian piano si delineava in maniera sempre più netta.

Non rimpiango un grammo di quel tempo passato sino a tarda notte, a rileggere la Balduzzi, con l’animo sempre attento anche quando gli occhi si ribellavano alla luce dell’abat-jour. 

Non è amarcord, è tristezza infinita. Inquietudine, amarezza, rabbia  e persino qualche preghiera atea, caffè amari alle due del mattino per restare ancora sveglio, prima del crollo finale. Per cosa poi?

Perché lo dovevo fare, era una sorta di missione per conto della comunità che non mi ha mai chiesto un impegno. Lo sentivo io, come tutte le grida di dolore, pesavano una più dell’altra, dentro di me. E le  richieste, silenziose o affannate. “Non è disponibile più…”, “non mi danno il farmaco che…”, “appuntamento a 6 mesi”…

Il giorno dopo, a chiedere, ritelefonare, riaccendere una speranza in chi immaginava avessi chissà quali poteri magici. Non ho mai avuto nessuna sfera di cristallo, volevo solo essere di aiuto a chi non poteva contare su nessun altro.

                            Cinque anni.

Cinque anni, dal febbraio 2014 che ho iniziato a scrivere, quando ho aperto il blog. La mole di pezzi fu da subito inconciliabile con l’ordine, un difetto per me insuperabile. Odio i fogli volanti e detesto avere agende di lavoro. Tanto, dal principio, era apparso chiaro che quell’argomento, vuoi perché di sanità si era vestita la mia vita da ragazzo, vuoi perché odiavo che la gente ignorasse lo sfacelo che si andava profilando, non doveva avere e non ha avuto misteri.

Anni che adesso, in questa per me deprimente serata, si dilatano come cerchi nell’acqua. Sapevo e so di non essere mai stato solo, ma per chi come il sottoscritto, ha sempre usato se stesso e non gli altri per combattere,  era un modo diverso per dire: devo contribuire a svegliare la gente. Ho certo peccato di presunzione, lo ammetto, e chiedo perdono a quelli che ne hanno subito l’onta. Ero solo pervaso dalla voglia di non arrendermi a questo potere imperioso e feroce, non è cosa per umani credetemi. E umani lo siamo, con limiti e forze normali.

Sappiamo che certi percorsi finiscono, altri ne cominciano, è sempre stato così nella vita di tutti. Poi,  capisci che non puoi spingerti oltre determinati confini,  perché invadi spazi di altri, ne diventi nemico senza volerlo, quando sei consapevole che in questa lotta infinita tra bene e male, alla fine perdiamo tutti. 

Perché? 

                                 Riflessioni

Perché non puoi contrastare il potere quando esso assume forme diverse, quando non ha fisionomie riconoscibili o attribuibili a qualcuno in particolare. In pratica, i nemici stanno dappertutto, anche dove nemmeno te lo aspetti. 

Vado avanti, mi dico sempre, anche se la voglia di arrendermi è tanta. Non sarei un uomo se lo facessi, non potrei onorare una madre e un padre che sono stati per me emblema di coraggio.

Sono capace a stare in squadra, ma preferisco prendermela con me stesso. Voglio solo che i miei errori non ricadano mai sulla innocenza degli altri. Un limite, certo, un difetto, ma anche un pregio. In fin dei conti, mi sono sempre detto, se qualcosa ho fatto in questa parte della mia vita che ho speso per me e per gli altri, lo debbo a me solo, a chi se no?

Guardo la fiamma spegnersi della stufa, so che domani la riaccenderò, ancora e ancora. Sarà sempre così, ogni volta che la tristezza si impadronisce delle mie solitudini senza risposta, perché ho troppe domande dentro il silenzio di questa notte.

Ho sbagliato, lo so, ma non credo di dover chiedere scusa a nessuno.

Non voglio insegnanti di vita, mi basto e avanzo.

Non giudico, non voglio essere giudicato.

Perché  non gradisco essere contenuto dentro uno spazio ristretto, né mai ho chiuso qualcuno in una gabbia.

Non privo altri della loro libertà, ma che nessuno provi a togliermi la mia.

La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà. FABRIZIO DE ANDRÈ;

La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. PIERO CALAMANDREI

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