La libertà di informazione, oggi più che mai, è minacciata. La sua assenza si estrinseca col forte disagio nella pluralità e nel rispetto della circolazione delle notizie. La globalizzazione, il mercato telecomandato, il disprezzo e l’annientamento del libero pensiero, sono sempre più evidenti in Italia. Si coglie questo inasprimento del trend negativo anche e soprattutto in questa che viene definita l’era del coronavirus. Già nell’origine della sua collocazione come pandemia, si evidenzia la differenza tra lo stesso OMS che parla di crisi pandemica e la pericolosità della parola pandemia. Tutto è chiuso dentro una fortezza inaccessibile alla libera informazione, costretta a cercare e attingere notizie da fonti esterne, di solito bollate come complottiste. Ora, e ve ne sarete accorti tutti: quanto non rispecchia l’informazione mainstream, è complotto. E tutti sono automi che seguono pedissequamente le linee guida che l’informazione produce.
Covid-19, si è detta tutta la verità?
Prendiamo come esempio il Covid-19. I media nazionali, la stampa più letta, ma anche la piccola stampa e le TV di livello regionale, continuano a sciorinare dati e rischi ad ogni occasione. Per la gente, la bibbia ufficiale è quella che viene fuori dai TG.
«Se lo dice la televisione», è cosa scontata per la maggior parte degli spettatori, «è per forza vero». Se parlano gli esperti, i cosiddetti epidemiologi, allora la verità è inconfutabile. Ma quali virologi? Gli stessi che a gennaio parlavano di influenza e che si mostravano certi su un virus sconosciuto ma innocuo o quelli che, sempre omologati, esprimono pareri fuorvianti di cui nemmeno loro hanno la dimostrazione scientifica?
« Il caldo, la temperatura a 24°C uccide il coronavirus» «Non si hanno prove certe che la temperatura elevata ammazzi il virus, sennò in Arabia Saudita op in Egitto non ci sarebbero tutti questi casi».
Ho sempre affermato il ruolo guida della scienza ma dubito sempre quando la stessa ha sfumature o dettagli o addirittura contrapposte visioni e teorie.
Posizioni equivoche che accentuano lo smarrimento degli ascoltatori o dei lettori sino a renderli confusi e impauriti. Quasi si voglia provocarne la stabilità psichica. E saranno tantissimi coloro che, sempre che superino questa fase disastrosa, faranno ricorso ai terapisti della psiche per recuperare il ben dell’intelletto.
La libertà di informazione è la sola prova di vera democrazia di un paese
Da un lato è vero che si possa scrivere o dire qualsiasi cosa, purché ci si assuma la responsabilità, ma dall’altro, esiste una attenta informazione di regime che fa in modo di far tacere le bocche della verità. Esistono vari modi, dalla censura alla minaccia, dal dileggio alle calunnie. La libertà è minacciata dunque e questo è ampiamente documentato da giornalisti sotto scorta o dai procedimenti penali contro chi ha osato occuparsi di inchieste spinose e destabilizzanti per taluni personaggi. I giornalisti in maggiore difficoltà in Italia, sono quelli che fanno inchieste su corruzione e crimine organizzato.
L’evidente mancanza di libertà di informazione, ha avuto un miraggio di salvezza con la rete e con i social. Sembrava finalmente ristabilita la corretta connessione tra la libertà del pensiero e la ricerca della verità quando, sempre il regime, decide di chiudere alcune bocche da fuoco fautrici, secondo l’informazione mainstream, di ispirazioni complottare e antisistema. Non si vuole che si scoprano le cose e quando qualcuno si azzarda, gli chiudono l’aria per farlo morire asfissiato.
Mi fanno riflettere quei “compagni” che parlano di Giulietto Chiesa, recentemente scomparso, come di un grande uomo di sinistra quando mai gli hanno permesso di raccontare l’Europa dal suo punto di vista. Troppo rischioso per il Global World che hanno costruito. Del suo libero pensare non v’è traccia né nel ricordo televisivo, né nella stampa che si definisce “libera”.
Libertà di informazione al tempo del coronavirus
L’informazione usa e sfrutta tutta questa situazione per ammazzarci h24 di news di morti e contagi che salgono a dismisura nonostante i due mesi di lockdown. Viene fuori di una ripartenza dei contagi in Germania, cosa poi verificata che parrebbe falsa, dove lo stato aveva allentato la stretta. L’immaginario collettivo si popola di esperti e di gufi che prevedono una riesplosione del covid a novembre. E, chiaramente, lo affermano mentre ancora siamo segregati in casa anche se non ce n’è assoluto bisogno, considerate le favorevoli condizioni della Sardegna.
Quando si eleva forte il dissenso su questi due mesi di catastrofe, il regime sguinzaglia i suoi virologi di regime che frenano riaperture. L’economia è distrutta ma bisogna tutelare la salute. Vero e concordo, purché si racconti la verità a tutto tondo e non solo quella del regime stesso. Prove, dati, autopsie, top secret mentre la gente si ciba sempre e solo della lunga lista nera dei contagi e dei morti.
Le origini della epidemia sono un esempio della pessima informazione
Sulle origini dell’epidemia, l’informazione ha dato il peggio di se. Tante le teorie avanzate, probabilmente nessuna veritiera ma c’è urgenza di dare in pasto alla gente qualche cosa da discutere e divorare. Tiè, eccoti servito un bel pipistrello, o un errore di laboratorio o una strategia pianificata e voluta per condurre a braccetto le genti nelle fauci del Nuovo Ordine Mondiale, ipotesi assolutamente plausibile. Forse la sola, se non l’unica. Ovviamente, il 77° posto nella libertà di informazione del nostro paese, vieta categoricamente di dare fiato a ipotesi “complottare”. Il piatto è servito, il Global System ha vinto come sempre e, dopo un velato accenno di ribellione, si ritorna a cuccia dentro la mancanza di libertà di informazione. Tanto è vero questo che, non appena si levano voci discordanti, sull’epidemia e su qualsiasi azione contro il sistema costituito, arriva immediata la censura. O la pensi come loro o sei fuori. Chiedetevi perché nessun giornale di larga tiratura o televisioni di grandi ascolti, non parlino mai del vero e unico male che oggi, così come da oltre 20 anni, stiamo subendo.
L’Europa va difesa, anche quando è chiara la sua vera natura che divora anche la libertà dell’informazione.
Brutte notizie per l’Italia sul fronte della libertà di stampa. Nell’annuale classifica di Reporters sans Frontieres il nostro Paese perde quattro posizioni, scendendo dal 73° posto del 2015 al 77° (su un totale di 180 Paesi) del 2016. L’Italia è il fanalino di coda dell’Ue (che è comunque l’area in cui c’è maggiore tutela dei giornalisti), seguita soltanto da Cipro, Grecia e Bulgaria. Dei 180 Paesi valutati, la Finlandia continua ad essere quello in cui le condizioni di lavoro per i giornalisti sono migliori (è in cima alla classifica, accade dal 2010).