Un infermiere tempiese «Il Covid-19 nel bergamasco».

Un infermiere tempiese che lavora da una decina d’anni in un ospedale del bergamasco, racconta la sua esperienza con i tantissimi malati che in queste settimane sono colpiti dal Covid-19. Una intervista telefonica in uno dei rari momenti di pausa da un lavoro estenuante e altamente rischioso. Lui è nel reparto di terapia intensiva, quello dove arrivano quei malati che hanno delle serie complicanze polmonari in seguito al contagio.

Non mettiamo il nome dell’infermiere. Primo, perché è una forma di tutela per lui che è comunque un dipendente non autorizzato a fare dichiarazioni; secondo perché il nome ha poco importanza.

Conta quello che fanno lui e tutti i suoi colleghi in prima linea in questa emergenza senza precedenti.

Emerge il quadro reale di una zona colpita in maniera devastante dall’epidemia, ma soprattutto ciò che deve passare è il rispetto delle regole ministeriali che chiedono prima di tutto buon senso.

Un nostro comportamento sbagliato, anche  in maniera inconsapevole, davvero può pregiudicare il ritorno alla normalità. I tempi della ripresa si allungano e diventano infiniti.

L’infermiere, «Qui la sanità è attrezzata» Se fosse accaduto al sud o in Sardegna?»

La Lombardia ha ospedali ovunque e molto ben attrezzati. Ne chiudono uno ma hai l’altro a 500 metri. Nonostante le regioni inizialmente colpite fossero molto preparate a quanto sta succedendo, oggi sono sull’orlo del collasso. L’operazione di svuotamento della sanità pubblica di questi anni, la si percepisce adesso, dopo che un’emergenza pandemica come questa mette in luce le carenze strutturali ed umane. Immaginate se il percorso dell’epidemia avesse prima colpito sud e isole per spostarsi al nord? Su quali macerie si poteva pensare di affrontare questa emergenza sanitaria così estrema e diffusa?

L’emergenza sanitaria c’è ed è tangibile, forte, cruda nelle parole del giovane infermiere. Ascoltiamo quanto dice e facciamo tesoro del suo quotidiano, sospeso tra pochi attimi di tregua e turni massacranti nelle corsie dove è un affanno continuo per salvare vite umane.

Con questa intervista all’infermiere gallurese (amici e conoscenti  che riconosceranno la voce mantengano il doveroso riserbo), diamo un contributo corretto alla informazione. Lo si deve a questo particolare momento in cui vige una “quasi censura”, ma soprattutto deve essere un tributo ai sanitari di tutta Italia che sono i soli che non possono restare a casa. 

Loro non possono, noi si e lo dobbiamo fare senza eccezioni. Grazie a chi mi ha permesso questa testimonianza e grazie al giovane infermiere. Andrà tutto bene.

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