Il 2002, fu preceduto da anni durissimi.

Il 2002 era stato un anno straordinario per lui.

Da sette anni viveva tempi durissimi. Dal 1995 che costò la vita alla madre, malata da oltre 15 anni che la condussero al consumo psichico e fisico sino alla demenza finale. Poi il vuoto della sua perdita, qualcosa che solo quando accade capisci quanto ti privi anche di due occhi spenti e di parola che non riusciva più a proferire. La madre era diventata un soffio sempre più leggero e evanescente, da portare giù per le scale sopra una sedia con le ruote. A giorni alterni in ospedale, ad infliggersi accanimento e non vita. Uno strazio di cui lui, la sorella lontana e il padre, con la sempre presente figure di qualche parente, con ostinazione  verso una speranza che non c’era più.

Anche la sua salute si stava compromettendo, venticinque anni in una condizione non facile seppure comune a tanti, iniziavano a minare le sue resistenze. Era forte, però, quella forza che fa superare il respiro corto, qualche straccio di fisicità che gli conferiva animo e determinazione. Quest’ultima, mai gli era venuta meno, essa rappresentava la sua etichetta impressa a fuoco. Il carattere, la volontà, che si forgiano nel dolore pregresso e nello sguardo assente di sua madre. Occhi materni, dolci ma ormai senza lacrime, che esprimevano molto più della fine annunciata.

Ad ottobre del 1995 sua madre morì, tra le braccia della nuora che la imboccava con un po’ di minestra. Chiuse gli occhi, senza un anelito di respiro, senza una parola, e si accasciò sulla sedia.

L’attesa per il 2002, dolori e gioie.

Nella sua famiglia erano già nati due figli, il grande aveva 7 anni quando morì la nonna, da un anno era alle elementari. Il secondo appena 14 mesi. La nonna era anche riuscita a prenderlo tra le braccia, con le ultime risorse di vita che se ne stavano andando via. Gli occhi di quel pargoletto erano gli stessi della madre, chiari come l’oceano. Forse l’ultima parola della madre fu proprio “Bello”, mentre stringeva al seno il nipotino.

Gli anni che precedettero il 2002, successivi alla morte della mamma, erano segnati dalla malattia degenerativa del padre, con una interruzione nel 1996, quando la sua terzogenita arrivò nella famiglia. Un lutto e una nuova nascita, come nelle migliori rivalse che sanno di alternanze comuni a tutti. Tre figli da far crescere e l’assenza dei suoi genitori, anime mai troppo rimpiante nella nostra esistenza. Il padre si trascina, la sua forza si esalta anche da claudicante quando senza la moglie quei nipoti diventano l’essenza stessa della sua sopravvivenza. La perdita di colei che fu sposa, madre, tutto, erano piaghe aperte e dolorose.

Nel nuovo millennio appena cominciato,  il padre cessa di vivere, andandosene via in un letto d’ospedale. Problemi respiratori, dissero, ma in realtà distrutto dal vuoto della vecchiaia alla quale sembrò dire basta.

Lui, dopo la morte del padre, e le precedenti perdite di chi ebbe un ruolo decisivo nella sua maturità e formazione intellettuale, si sentiva smarrito. Era perso nei ricordi che nutriva più del solito di flashback, nonostante i suoi tre figli sbocciavano alla vita ed erano diventati anche ragazzi esigenti.

Una difficile malattia gli subentra subito dopo la morte del padre, una delle conseguenze di una regressa patologia che si portava appresso da quando aveva 20 anni. Non c’era tempo per piangersi addosso, bisognava rincorrere la vita che, subdolamente, gli scivolava via. La salute era precaria, doveva curarsi perché le responsabilità erano tante e non aveva  nessuna concessione ad interromperne il flusso continuo e incalzante.

Arriva il 2002, la speranza.

Arrivò il 2001 e un altro pugno nello stomaco, la stessa malattia della povera madre. Coraggio, disse a se stesso, la vita è comunque un allontanamento dalla morte, una continua fuga dal buio eterno. Affrontò anche quella malasorte, si rituffò in quella che riteneva la speranza di farcela. La speranza che ce l’avrebbe fatta, gli permettevano anche un atteggiamento di apparente follia. Un incosciente come pochi ma sempre con la incessante lotta per la vita, la sua e quella di chi gli stava accanto. Per gli altri dave e avrebbe dato quanto era nelle sue facoltà.

Il 6 aprile del 2002, 18 anni fa, una chiamata telefonica notturna.

Si scrollò di dosso ogni preoccupazione,  con coscienza incosciente prese l’aereo e decollò verso la sua rinascita.

Policlinico Umberto I° di Roma – foto dal web

Ebbe fortuna, ne ha ancora, ama raccontare la sua vita alla gente. Si sofferma spesso con immutata passione  sulla speranza e come la vita riservi sempre la sorpresa di serbarla, quando le cose non vanno bene.

Lui oggi mette il suo tempo per gli altri, lo faceva da prima. Una vocazione al concedere ogni energia,  senza chiederne mai pegno. Era questa  sua maniera di dire grazie alla vita.

Anche adesso che è difficile avere speranze, la vita è il bene più prezioso.

Mai avrebbe pensato che un anniversario così importante cadesse dentro un dramma generale, addirittura mondiale, così straziante come quello attuale. Mai avrebbe pensato che ci sarebbe stata questa catastrofe dell’umanità.

Questa è una dei tanti anniversari al tempo del coronavirus. Mi piaceva raccontarvelo. 

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