Golfo Aranci, 23 agosto 2014-
LA MASCARA GADDURESA”
Gruppo composto da una quarantina di elementi ha voluto recuperare e ricostruire le maschere antiche più importanti e caratteristiche della tradizione gallurese, alcune delle quali ormai purtroppo dimenticate e non più conosciute . Si tratta delle maschere che all’epoca venivano chiamate li “Mascari Brutti”. Queste comprendevano le maschere grottesche, magiche e rituali e le maschere zoomorfe: quelle, cioè, che hanno forma e aspetto d’ animale. Li “Mascari Brutti” ci sono descritte dal De Rosa alla fine dell’ Ottocento, in questo modo: “indossano abiti sbrindellati, spesso sudici o pelli di vacca o di montone, o cuoi di bue o di vacca, con corde a tracolla o alla cintura, con sonagli e buccole che squillano continuamente”. La più caratteristica tra queste è sicuramente quella di “Lu Traicogghju ”. Spirito penitente che trascina una pelle (cogghju) di toro (trau). Come le vecchie maschere sarde, è una sintesi tra le figure animalesche e quelle demoniache, infatti gli spiriti per calarsi sulla terra, fra gli uomini, prendevano sembianze d’ animali. Altra figura caratteristica è la “Fuglietta”, che secondo il Gana, è uno spirito malvagio, demoniaco che per tormentare i vivi deve incarnarsi o “prendere la figura” di un animale». Queste maschere avevano dunque sembianze ferine, animalesche, ma allo stesso tempo, erano, secondo la credenza popolare, spiriti che si aggiravano per il paese seguiti da altre anime, anch’esse inquiete, che insieme costituivano. La Reula ossia una Schiera di anime penitenti, pari o superiore al numero di 5, che girava per paesi e campagne da mezzanotte all’alba. In genere veniva considerata come anticipatrice e portatrice di eventi funesti o di sventure e per questo era molto temuta e rispettata; infatti, secondo la superstizione popolare, tale processione non doveva essere disturbata ne tantomeno interrotta, poiché ciascun anima era nell’atto di espiare una colpa, compiuta in vita, facendo penitenza. Qualsiasi intralcio avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per il malcapitato di turno. Un’ altra figura molto antica, forse la più inquietante e misteriosa della sfilata, sicuramente rappresentata nelle manifestazioni carnevalesche, è quella de: La“Filungnana”ossia della “filatrice” che , secondo la tradizione, aveva la caratteristica di scandire e porre fine allo scorrere del tempo dell’uomo. Tale figura era sicuramente presente nella tradizione popolare gallurese, visto che tra i canti arcaici dialettali si ricordano, in particolare, questi versi: «fila fila filungnana / dugna dì fili un’acciola …, in cui l’allegoria “Filatrice – Parca” è più che palese. Il filo di lana rappresenterebbe la vita di ciascuno; l’operazione del filare compiuta dalla prima, richiamerebbe la nascita, lo sbocciare o la “produzione” stessa della vita; l’avvolgere della seconda: lo svolgersi del corso delle cose, il suo scorrere; e infine il taglio della terza: l’interruzione dell’esistenza. La filugnana rappresenterebbe quindi la personificazione e l’unificazione delle tre sorelle. Infatti essa è rappresentata, sia con un fuso che con delle forbici in mano, nell’atto di filare e/o in quello di tagliare il filo della vita. Il richiamo al Fato si rileva, inoltre, anche dal fatto che questa maschera ha il viso completamente coperto richiamando così, con l’indefinitezza del volto, la casualità del destino, del Fato appunto, che ci domina e che non si mostra mai.
A queste maschere più antiche, in anni più recenti, si aggiungono le maschere realizzate con lenzuola, copriletto o camice lunghe da donna che consentivano la trasformazione sempre in spiriti e in“anime di morto”. “Li Mascari in Linzolu “,che erano ricavate con l’impiego di lenzuola e coperte che avvolgevano il corpo e venivano strette in vita con una cintura o cordicella colorata, anche il capo, il viso e le mani erano coperte per non farsi riconoscere. Le più caratteristiche e diffuse erano sicuramente li “Linzoli Cupaltati” realizzati con semplici materiali facilmente reperibili nelle case: delle lenzuola bianche che venivano legate in vita e sul capo, completate da velette o centrini che coprivano il viso. L’evoluzione di queste maschere ha portato alla creazione della maschera del carnevale gallurese per eccellenza: il Domino. Caratteristica maschera che viene utilizzata principalmente dalle donne, ma che riproduce nelle forme il “gabbano” maschile, che era il tipico cappottino in orbace con cappuccio che gli uomini negli anni passati indossavano sopra l’abito tradizionale. E quindi, il domino vuol ricreare il divertimento dell’equivoco e del mistero perché al suo interno e dietro la maschera non si sa mai chi si cela! Di largo uso sino agli anni 70 e primi anni 80, ora purtroppo, anche questa maschera tipica, sta pian piano scomparendo dai carnevali galluresi.
Maria Pintore
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