Tempio Pausania, La nostalgia del tempo passato, le piccole cose, la grande ricchezza.

Tempio Pausania, 15 ago. 2019-

Ho guardato dentro i miei ricordi lontani, ho visto e riflettuto quanto basta, come il q.b. delle ricette mediche. Il passaggio repentino tra le diverse età, dall’adolescenza ai capelli bianchi, dai lontanissimi fasti sportivi alle mie attuali assenze di un movimento coi respiri affannati. Rivedo volti che non ci sono più ma ingialliscono in vecchie foto di famiglia, le certezze con cui si diventa grandi e che oggi ci ingombrano di malinconia e tristezze.

Nato in un quartiere al centro storico di Tempio, quando la levatrice era la madre adottiva di migliaia di neonati, e l’ospedale era solo una enorme struttura che già era imponente sull’altura della città e guardava il resto di un paese che stava ripopolandosi con servizi, scuole, e tutte le altre attenzioni che determinarono la fuga dalle campagne. Il quartiere si chiamava “carrera” ed era “lei la vera mamma di tutti” (cit. bellissima di un amico coetaneo), il microcosmo dove non mancava nulla, a due passi avevi quanto ti occorreva e potevi contare sullo spirito collaborativo di umanità semplice e speculare alla tua formazione educativa. Li chiamano valori anche oggi, ma prima erano baluardi di sicurezza che avevano un senso differente, fondati sul rispetto e sulle gentilezze porta a porta, sulla condivisione vera di gioie e dolori, mutuo soccorso e convivialità che sopravvivono ancora ma in piccoli spaccati rionali dove vigono ancora le stesse regole non scritte, sussistono come cassetti piccoli dove si conservano i colori e i ricordi del tempo che non c’è più.

” E volerai”, dicevano le nostre mamme, guardandoci e accarezzandoci quando ci auguravano la vita che si apprestava a svelarci le sue insidie e le prime difficoltà. E’ questo il testimone che abbiamo raccolto, tuffandoci anche noi nel mondo complesso della genitorialità e della formazione educativa senza codifiche o linee guida che abbiamo cercato di trasmettere attraverso gli esempi del nostro vivere ai nostri figli. E loro lo faranno ai loro figli, adeguandoci  le burrascose attrazioni di un mondo che ha sempre meno relazioni dal vivo e viene determinata da filtri elettronici o fittizie piazze virtuali.  Tutto avviene con foto, video, occhi, mani, che non si incontreranno mai o lo faranno saltuariamente come film girati in fretta, senza trama, senza un fine, senza un titolo finale. Era poesia quella, oggi si racconta una prosa frammentaria e dura quanto incapace ad indicarci “la semita”, il sentiero, verso quel mondo impossibile da ricostruire.

Sorrido a questa nostalgia, mentre sogno di rivivere in quel mondo di piccole cose che ricompare anche con qualche lacrima che bagna album vecchi e nomi e facce che non ci sono più. Persi alcuni, ritrovati altri, ma quando ci si ritrova è sempre lo stesso intenso mare di storie vecchie, quando il gelataio passava per le strade e scattavi sulla sedia per chiedere a tua madre di comprarti quella bontà. Il tempo delle sorprese che vivono ancora in chi sa emozionarsi ancora quando oggi scopri umanità  cresciuta con gli stessi respiri e ne vieni fagocitato e dolcemente ti lasci pervadere dalle sue braccia che confortano.

Mentre tutto è polvere di ricordi, raccogli le  pietre preziose della miniera del passato e vai a cercare ancora aneliti antichi. Li scopri casualmente in un ragazzone, di quelli che raccontano anni di vita dura, con animali che sono la sostanza della vita di una famiglia, ancora dipendente da un pascolo prezioso come la pioggia che lo fa crescere. Dall’acqua può dipendere tutto, è la medicina che nutre il suo campo dove le sue vacche e le sue pecore vivono libere e lontane dall’intensiva crescita che la chimica aiuta ma ne svilisce la genuinità, i sapori e la naturalezza. Una “riserva” di persone che sembrano antiche per quanto cerchino di esserci ugualmente, nell’epoca degli smartphone e delle piattaforme virtuali, mai virtuose. Mi viene spontaneo chiedergli qualcosa. Capisco subito che il tempo ha ancora da raccontarmi prodigi che pensavo perduti nei miei ricordi lontani. Hanno occhi che parlano, sorrisi timidi che celano imbarazzo, ma hanno voglia di vivere altre fughe da una vita che li ha fermati in un luogo poco lontano, sul cucuzzolo di una collina, senza la TV, con l’amore che riversano negli animali che danno da mangiare a tutta la famiglia. Si siede accanto a me, glielo chiedo io perché lui, per un senso esagerato del rispetto e dell’educazione, non lo avrebbe mai fatto. Un “Serafino” dei giorni nostri, immediatamente lo associo a quel personaggio e alla nota canzone, un giovane pastore che cerca di conoscere, avere amici, magari una donna. La notte è scesa da un pezzo, ma né io né lui ci badiamo, è tardi ma non conti le ore quando stai scoprendo qualcuno o qualcosa. Intuisco che non vorrebbe parlare del suo lavoro, anche se ne parla, lui cerca di comprendere chi sia io, se ho parenti, come si chiamano, se conosco i suoi cugini, le sue parentele a Tempio. E’ insaziabile desiderio di rapportarsi con me e con chiunque lo chiami e lo saluti. Tutti sanno chi sia, tranne me che ho il piacere di scoprirlo da solo. E’ come scovare un gioiello antico in questa calda notte di agosto, ma non glielo dico. Lo ha capito da solo.

“Dai che non possiamo parlarci a distanza, da un tavolino all’altro”. Riccardo mi ha detto prima qualcosa su lui, quanto basta a farmi capire qualcosa che già era intuibile. Si chiama come me, Antonio, una coincidenza e basta. Parla a ruota libera di tutto, del suo motorino con cui viene a Tempio il fine settimana mi illustra ogni dettaglio. I suoi occhi hanno luce, sono piccoli fari che vogliono assorbire ogni parola che ci scambiamo, si annota il mio nome sul telefono, io il suo. Ha vissuto anche lui, ha visto coi suoi occhi la nascita degli animali, ha dentro la semplicità del linguaggio la grandezza delle piccole cose che ama, la poesia che non morirà mai perché lui stesso è una poesia, il risveglio delle sue mattine tutte uguali ma le forze che lo guidano la notte su quella moto che sale verso la città.

Ho tanto da imparare, tutto da scoprire ancora, in questo viaggio che ogni giorno si arricchisce di pagine color seppia, frasi e parole che leggo e leggerò sempre, disperdendo forse le attinenze a questo mondo che pur difendo, anche se non ne vedo più l’umanità che ho conosciuto in quel tempo antico. Quando la “carrera era la mamma di tutti”

Nei rimpianti il tempo si è fermato, nel presente sta scorrendo veloce, e troppe sono le asperità da scalare. Impressioni che si accavallano sorrette sempre meno da quei rifugi che c’erano in quel tempo e ora sono come oceano di erba e fiori e lune bianche che infondono leggerezza alla crudezza dell’esistenza.

Quando mi sento solo, non lo sono mai sinché vedrò in ogni anima che incontro occhi che vogliono vedere ancora, orecchie che sanno ascoltare e la reciprocità della sorte che ci accomuna tutti. E non è, e mai sarà, la ricchezza che cambierà il mondo, essa è solo un bagaglio di cuoio quando gli altri lo hanno di cartone.

Riflessi di fragilità, accanto alle tue paure, pagine scolorite, pensieri distanti da presente e quotidiano, ma vivi le immagini, non essere immagine!!

Antonio Masoni

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