Tempio Pausania, “Su Sereniccu”, la storia di un cappotto sardo. La ricerca di una sarta di Cagliari con un cognome “profetico”.

Tempio Pausania, 31 ago. 2015-

In una piacevole circostanza, sabato scorso, ho conosciuto una signora di Cagliari che ha un’atelier di moda a Cagliari. Dopo i necessari convenevoli di rito, trattandosi peraltro di una lieta occasione dove entrambi eravamo stati invitati, ci si mette a parlare del più e del meno con lei e con gli altri ospiti, una decina in tutto. Si fa conoscenza per meglio affrontare la “dura” battaglia col cibo presente, davvero delizioso. Il marito della signora, dopo avermi chiesto di cosa mi occupavo, mi dice “Lo sa che mia moglie ha una storia fantastica? Se  la faccia raccontare”. Pur nel mezzo di un frastuono musicale assordante, siamo riusciti a parlare e a rimandarci ad una corrispondenza mail. Mi avrebbe fatto avere una sintesi della sua storia, di quel cognome profetico che portava e che le aveva destato la curiosità di saperne di più. Ecco il resoconto che ci ha voluto inviare e che gentilmente pubblichiamo considerandolo un valido contributo alla conoscenza della storia di un capo di vestiario campidanese.  Grazie alla signora per questa testimonianza. (A. Mas.)

Storia degli Staico

«Fin da piccola sentivo raccontare che gli Staico, cognome di origine greca vennero qui in Sardegna  alla fine dell’ottocento e importarono una nuova moda quella che poi è diventata una tradizione in Sardegna “ Un Cappotto”, che qui all’epoca non veniva prodotto, rimasi sempre affascinata da questa storia e man mano che crescevo la mia passione  per il cucito e realizzare abiti mi portava ad applicarmi e studiare per perfezionare uno dei mestieri più antichi, il mestiere del  sarto.

Solo pochi anni fa, venni  a conoscenza che la storia aveva delle solide fondamenta, infatti nel 1993 alcuni Storici tra cui Carlo Pillai e Stefano Pira ritennero che la storia del vestiario  e del costume di Sardegna (alla  fine dell’ottocento)  di quell’epoca fosse degno di approfondimento e che l’arrivo di una comunità di circa 20 greci nella citta di Cagliari, i primi 3 o 4 greci intorno al 1775, sia da collegare a un fatto di grossa rilevanza sociale, ossia al diffondersi nell’isola , come parallelamente in altre diverse zone del mediterraneo, dell’usanza di portare nella stagione fredda soprabiti importati dalla penisola Balcanica.

sereniccuIl fenomeno assunse una portata vistosa in tutto il campidano di Cagliari con l’introduzione del così detto “ Cappotto Serenicu”, un tipo di cappotto color Castagna o caffè realizzato con un panno di lana, con cappuccio e con una fodera interna morbida simile al velluto  era realizzato con un tessuto dal nome pilurzus .Esso è diventato elemento fondamentale nel costume maschile campidanese in particolare nel costume  di Quartu S’Elena. Occorre precisare che era usato solo dalle persone facoltose, mentre i poveri si limitavano a portare su saccu nieddu, e la classe media su gabbanu, ambedue cappotti in orbace.

Su Sereniccu divenne il cappotto più usato a Cagliari come in Grecia dai notai e dalla gente agiata e  dai ricchi proprietari terreni.  L’elegante cappottino era senza dubbio più il più diffuso nei paesi campidanesi.

Una piccola colonia di sarti  di greci residenti a Cagliari nel quartiere della Marina e in Sa Costa l’attuale oggi via Manno iniziò una produzione locale. In quel tempo, Alberto  Lamormora, attento osservatore  delle cose sarde, ne fece derivare il nome dal Levante luogo di origine del manufatto.

Il cappotto Sereniccu vide diversi studiosi  ad occuparsi dell’ argomento da L’Alziator , Luciano Baldassare, De Gregory, tutti sostenitori  della tesi che esso  arrivava da Salonicco, Tra i tanti,   Wagner,  supponeva che arrivasse dalla Spagna.

Ma la tesi di Lamarmora, poi ripresa dall’ Alziator (scrittore sardo dell’epoca) e  del resto accolta dalla maggior parte degli studiosi che ebbero ad occuparsi dell’argomento nelle fonti documentabili presso l’Archivio di Stato di Cagliari, si sono rivelate piuttosto consistenti a causa della causa civile del 1825 che vide contrapporsi   da una parte il Gremio dei sartori della citta di Cagliari e dall’altra una nutrita schiera di imprenditori greci tutti definiti cappottari.

In un elenco allora appositamente redatto appaiono 20 greci 13 dei quali risultano artigiani e commercianti domiciliati a Sa Costa. oggi via Manno.

Tra cui Anastasio Staico. In base alle deposizioni di due test , un certo Antonio  Ignazio Cau  e Giuseppe Madeddu di Busachi, apprendiamo che il primo dei greci che si stabili a Cagliari e vi piantò bottega fu Il Padre di Anastasio Staico nell’anno 1775 il quale per la prima volta introdusse la lavorazione dei Sereniccu , dato che anticamente non se ne conoscevano a Cagliari se non importati “ossia belli e fatti dai Maltesi”.

Finì con la vittoria dei greci cappottari, sentenza emessa dalla Reale Udienza , la massima magistratura dell’Isola in data del 8/11/1826 che li assolveva dall’accusa di esercizio abusivo della professione  e nasceva in un nuovo clima sociale e culturale, la fine di un epoca e di un monopolio del Gremio dei Sartori Cagliaritani durato ben 400 anni fin dall’epoca sabauda.

La causa si presenta  per gli  studiosi delle tradizioni popolari precisa e attendibile per la ricostruzione storica completa dell’introduzione  di un importante capo di abbigliamento dei sardi dell’ottocento

Gli Staico famiglia di origini greca hanno trovato nel modo tradizionale di vita e nel fondo stesso dell’anima popolare dei sardi inaspettate analogia con la loro terra, alcuni discendenti  di cognomi come  Staico e Sulliotti sono ancora ben presenti nella città di Cagliari, segno tangibile che la presenza greca non è effimera. Infatti, attualmente ritengo di aver ereditato dai miei antenati un’arte che non si è tramandata nelle generazioni precedenti ma nella quarta generazione degli  Staico.  C’è dunque un’erede, che farà, in memoria di questa  storia documentata, rivivere, rivisitandola in chiave moderna nella prossima collezione dell’Atelier  Marinella Staico, alcuni capi di “Cappotto Sereniccu.”»

Marinella Staico

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