Tempio Pausania, Una corazza chiamata speranza, il carapace della vita.

Tempio Pausania, 7 apr. 2018-

Sotto forma di racconto, nella maniera che mi viene più facile forse perché – dicono – la penna o la tastiera  scorrono fluide e libere come ho sempre cercato di imporre al mio animo controverso, a volte, ma più spesso rivolto alla sincerità assoluta.

«Le sentenze nella vita si chiamano in molti modi, giudizi, condanne, privazioni, galere, ostracismi, abbandoni, dolori, sofferenze, carrozzine, malattie croniche e assistenze continuative, si chiamano anche fine pena mai, morte. Quando si arriva ad una sentenza le scelte diventano poche, sai che hai davanti a te quasi sempre il baratro o una vita di merda che ti accompagnerà per il resto dei tuoi giorni, come una schioppettata che ti penetra d’improvviso il fianco e ti fa crollare. Oppure la rassegnazione, quella “mezza sentenza” che ti impone di non fare più calcoli, di non pensare a quanto tempo avrai ancora ma a come intendi viverlo. Io decisi di non lasciarmi andare, forse perché la tempra di chi ha in eredità da una madre o da un padre la corazza di una tartaruga, è assai difficile che la lasci per strada o se ne liberi sapendo che sarà più vulnerabile. I figli delle tartarughe lo sanno bene che saranno violabili sino a che non porteranno sul loro corpo il duro carapace, da quel momento in poi hanno una forza superiore, pur nella lentezza della loro natura e nella timidezza del loro comportamento.

Così iniziò, il 6 novembre del 2001, un breve periodo di condanna; breve, non perché lo avevo deciso io ma perché fui fortunato a non viverne di più, attaccato ad una macchina che aspirava e pompava sangue, con il carapace che avevo dovuto togliere dal mio corpo per mostrare fragilità e debolezze che la corazza ferita celava agli occhi degli altri. Passarono 6 mesi esatti dalla prima volta, e poi arrivò una telefonata, il 5 aprile del 2002, in ora tarda, era venerdì, che mi diceva se volevo rimettere il carapace o se intendessi abbandonarlo, chissà sino a quando. No, un figlio di tartarughe non può essere diverso dai suoi genitori, la corazza era conforme alla natura che mi aveva voluto esattamente così. Il carapace era la speranza e una tartaruga questo lo sa.

Il 6 aprile del 2002 sono rinato, da allora è il mio compleanno di rinascita, i pochi che lo sanno e lo ricordano mi fanno gli auguri che per me sono importanti quanto e più di quelli della mia vera nascita. Sono passati 16 anni, per tanti addetti ai lavori sono già molti, ma non sto ad ascoltarli, perché molte cose sono cambiate, non vedo condanne all’orizzonte, conosco già dolori e sofferenze e cosa ci vuole ad affrontarne altre? Basta avere sempre un buon carapace che mi sostiene e mi protegge sempre. Sapete che la tartaruga di terra va in letargo per una ventina di settimane da ottobre a aprile? Io considero letargo quella mezza sentenza datata 6 n0vembre 2001, e la fine del letargo il 6 di aprile dell’anno successivo.

Non vado più in letargo anche se adoro dormire ma non scordo mai di essere figlio di tartarughe e questo è il bagaglio umano che porto con me assieme a questa corazza che non ho mai più tolto».

Non è un vero racconto, lo avrete capito, semmai un buon consiglio che porgo a quanti vivono in mezzo alle sentenze, afflitti e amareggiati dal come sono stati “usati” dalla vita, quando la stessa non è trascorsa in modo liscio e piacevole. La vita sa essere crudele ma lo capisci quando sai apprezzarla nelle sofferenze e puoi sempre cercare di ribaltare il suo verso, la direzione che sembra non conoscere altri bivi, sentieri o alternative.

Non abbandonate mai la vostra corazza, sentitevela sempre addosso più della pelle che vi copre. Non misurate mai la strada che percorrete con quella che percorrono gli altri, ognuno ha la sua velocità, la sua auto e il suo bagaglio. Voi avete il vostro, sia pure una valigia di cartone, ma dentro c’è la vostra biancheria, i vostri libri, la memoria che vi appartiene. Però, non lasciate mai a casa il carapace, quello tenetevelo addosso per ogni occasione, sarà la  seconda abitazione che vi terrà al sicuro anche quando pioveranno sassi, dolori, sentenze, disgrazie. Per il resto vivete, sempre accompagnati dalla speranza.

Nella leggenda del vaso di Pandora, si narra che dal vaso uscirono tutti i mali del mondo e che la speranza rimase in fondo al vaso e non poté venir fuori. Il mondo apparve subito completamente invivibile ma Pandora rimediò riaprendo il suo vaso. Ne venne fuori finalmente la speranza e da allora la vita migliorò.

La speranza è come una strada nei campi: non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma. (Yutang Lin)

Antonio Masoni

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