Gallura, Una ragione sempre ci sarà per chi compie questo atto estremo, ma non tocca a noi decidere quale.

Gallura, 13 nov. 2015-

Sarebbero troppe le considerazioni da fare, troppi i giudizi e soprattutto fuori luogo. Un piccolo paese piange la perdita di un ragazzino di 13 anni, sopraffatto da qualcosa di più forte di qualsiasi nostra considerazione.

I ragionamenti sono stati tanti e si mostra eccessiva fretta nel trarre una  ragione di fondo sul movente che può spingere una così giovane esistenza a scegliere la morte.

Chi pensa che sia siata una nota scolastica, chi un rimprovero dei genitori per il predetto motivo, chi si astiene da qualsiasi commento e chi osa attribuire colpe al sistema scolastico non più in grado, a parere di costoro, di tamponare le discese frettolose e pericolose nella precaria sintesi dalla quale siamo tutti sommersi, e non certo da oggi.

La scuola, è vero, riveste un ruolo di enorme importanza nel sistema educazionale dei giovani ma, a parer mio, le si attribuisce eccessiva responsabilità quando assiste impotente a queste tragiche derive umane.

Partiamo dalle note scolastiche: un deterrente che qualche decennio fa aveva ancora un peso enorme nella sfera emozionale dei ragazzi, che in alcuni suscitava un riflesso interiore che induceva alla vergogna, al pentimento e alla susseguente modifica del proprio comportamento. Oggi, a leggere cosa scrivono i ragazzi social di quest’era di distrazioni di massa, non mi sembra sia considerata allo stesso modo di un tempo. Il ruolo dell’insegnante, spesso, diventa quello dell’osservatore di fenomeni nuovi che si astraggono dal mondo reale, egli appare preoccupato di ricercare un feeling comunicativo con i ragazzi che, per la maggior parte di loro, diventa anacronistico. Non si è pronti ad accogliere tutti i continui cambiamenti, spacciati erroneamente per progresso sociale, e si punta ad un compromesso tra il ruolo di insegnante e quello di educatore, che invece dovrebbero viaggiare appaiati ma  che si distanziano quando “la classe”, o qualche elemento particolare di essa, è intollerante a riconoscerne la valenza.

Prima l’insegnante era, per definizione, indiscutibile e se ne accettava il rigore, quando c’era, e la capacità. I tempi attuali, sono diversi e anche l’insegnante deve saper  nuotare in mari agitati, superare la distanza tra cattedra e banchi ed entrare nelle teste di tutti i ragazzi di fronte a lui. Non è compito facile e, con grande onestà, nemmeno invidiabile.

Il ruolo del docente si deve compensare con quello genitoriale che  è opposto o allineato, a seconda dei casi. Non esiste sempre una comune linea di pensiero. Ci sono genitori che dicono: ” l’insegnante ha sempre ragione” e ci sono coloro che sono pronti a partire a testa bassa e accusare la scuola per l’andamento scolastico del proprio figlio o per le “note” sul comportamento inflitte al proprio ragazzo.

Ma ciò che scatta nella testa di un ragazzo di 13 anni, lo potete considerare derivante da una nota scolastica o dal rimprovero dei genitori spintisi sino al punto di far decidere una testa non ancora formata all’atto estremo?

Ricordo che avevo 14 anni, ero in terza media e un mio ex compagno di classe, un anno più grande di me, decise di porre fine alla propria vita e si suicidò legandosi il cappio al collo e la corda ad un albero che stava dietro il tribunale, così com’era prima il palazzo di giustizia. Me lo ricordo bene “Folino”, un ragazzone alto, dall’aria prepotente ma buono come il pane. Pose fine alla sua vita senza sapere il perché. Anche allora, in tempi diversi, senza social, senza smartphone, senza le distrazioni di adesso, la psiche poteva indurre a scelte apparentemente immotivate ma che, per chi le compie, potevano essere lette come necessarie. Chi di noi può erigersi a giudice o psicologo o psichiatra e cercare, come accade nei salottini televisivi del dopo pranzo, una spiegazione a tutto?

Qualche anno fa, da una facciata nascosta del palazzo dove lavoro io, un muratore si era buttato giù. Si chiamava Samuele, era adulto e padre di famiglia. Come possiamo stabilire noi il motivo per cui fece allora quella scelta? Quale ragione esiste al mondo maggiore del dovere di viverla sino alla fine questa vita? Eppure, una ragione c’era allora e sempre ci sarà per chi compie questo atto estremo ma non tocca a noi decidere quale. Soprattutto chi queste cose le studia, dovrebbe provare a scoprire le “radici profonde” di un male, cronico o passeggero.

Il nostro compito, però, non è cercare le cause, non è scovare quel capro espiatorio per ogni cosa. Noi abbiamo il diritto di scegliere e il dovere di provare a “non scegliere tra vita e morte”. Non ho scritto di questa notizia perché non ho la forza di parlare di un suicidio di un ragazzino. Vorrei trovare la forza di scrivere di vita migliore per tutti, di una maggiore attenzione per i giovani, per un sistema che possa garantire a tutti noi quel “diritto alla felicità” che non è stato certo alla base della decisione di una mente di soli 13 anni.

Trovi la forza la famiglia, la comunità tutta, non a cercare risposte ad un atto estremo ma a far si che qualsiasi morte venga onorata col silenzio e col rispetto che merita.

Antonio Masoni 

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