Tempio Pausania, Le tre cose che contano nella vita.

Tempio Pausania, 3 gen 2015-

Chiedo ogni giorno a me stesso cosa sia importante nella vita. Ogni giorno mi do sempre la stessa risposta. Tre cose su tutte decidono la priorità su altre e posso affermarlo da quando praticamente ho smesso di rosicchiarmi le unghie e di osservare come si sposta l’orizzonte davanti a me, insomma come tutto quello che ci sta attorno motiva la sensibilità che, come tutti, ho sempre messo davanti a qualsiasi brutta o bella esperienza vissuta.

Al primo posto: non aver bisogno di un ombrello. Cosa curiosa, lo ammetto, ma che cela una molteplicità di aspetti del mio quotidiano che provo a raccontare. L’ombrello è la metafora di qualsiasi cosa impedisca un riparo, fosse solo la pioggia come insito nella parola ombrello o il sole nella sua variante ingrandita. Non ho mai avuto bisogno di nascondere chi sono, quale mistero si celi dietro il mio agire, o mi serva a camuffare il mio stato d’animo. Ho pianto e riso, quando la cosa che mi veniva “offerta”, suscitava tali sensazioni, sono arrossito e mi sono vergognato di qualcosa di inopportuno così come ho dato una risposta a chi stava davanti a me senza cadere nella trappola di evitare lo sguardo. L’ombrello, così come gli occhiali scuri, sono strumenti spesso necessari per nascondere a noi stessi le emozioni che accompagnano la nostra vita.

Non essendo dotato di quella che si chiama faccia tosta, mi sono sempre presentato con l’unica faccia che ho sempre avuto, nel bene e nel male. Non so nemmeno cosa sia il paracadute e quindi, quando sono caduto dal 1° piano delle mie vicende dolorose, mi sono persino fatto male. La mia visione olistica della vita, quell’escamotage necessario per creare un’unita’ multidimensionale di corpo, mente e spirito unificata dal centro luminoso della coscienza, era da giovane molto poco marcata. Col tempo, inteso come il passaggio dal mondo fantasioso a quello schifosamente materialistico, l’olismo è diventato per me il modus vivendi spontaneo, quello che mi ha dato la possibilità di non usare mai l’ombrello  e di sottoporre ogni volta il trigono che viene unito dalla coscienza, ad un vero supplizio di domande, tormenti e mancate risposte. Non sono mai riuscito a darmi più di una sola risposta alle 100 domande che mi ponevo. E qualche volta, quella risposta era pure sbagliata. Che dire, sono nato così e come mi disse un giorno il mio amico Bara Guye, senegalese di nascita ma apolide per necessità,così ci morrai.”

Al secondo posto metto l’amore, inteso anch’esso nelle sue 250.000 sfumature, dall’arancio al porpora. Come si può vivere senza amore? Come dire che qualcuno sia riuscito a fare qualcosa nella vita senza il semplice affetto, o l’amicizia di qualcuno/a che gli sia stato accanto!. L’amore per una donna, la forza sovrannaturale che triplica le nostre forze, la sola alleata per contrastare i mali che arrivano, la fatica comune che ci avvicina all’idealità della vita perfetta. Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla.  (Charlie Chaplin)

L’amore per i figli, quegli alberi che vediamo nascere e crescere ogni giorno, comporsi e modellarsi quando sono ancora piccoli e poi uscire di casa, magari per sempre. L’amore per un amico, innaffiata ogni giorno dalla lealtà e dalla fedeltà, arricchita dalle esperienze in comune. Quando piangiamo la loro scomparsa, sappiamo il perché. Sono stati bastone per correggerci ed anche per sostenerci nelle difficoltà. Mille volte siamo transitati su questa terra, coi nostri piedi o con quelli dei nostri amici. Abbiamo archiviato la nostra e la loro esperienza e mai le separeremo in due diversi faldoni. E non è certo una foto che ce lo ricorderà, o la loro faccia in quei misteriosi reconditi pensieri che affollano il sogno dove riappaiono protagonisti. Sono, a ragione, parte sostanziale di noi, viaggiano legati ai nostri cromosomi sino a che la mente ci permetterà che il nostro viaggio assieme al loro ricordo sia lo stesso. 

L’antidoto contro cinquanta nemici è un amico (Aristotele).

Il terzo posto, di questa personale classifica, è la riconoscenza. Tutti dobbiamo quialcosa a qualcuno, ad iniziare da chi ci ha fatti nascere, crescere e diventare grandi. I genitori, per tutti, sono e saranno sempre gli elementi fondanti della nostra personalità, della maturità e dello sviluppo cognitivo. Tutto, è passato dal setaccio della famiglia d’origine, dal carattere alla libertà che determina poi le nostre scelte. Inutile parlare del supporto educativo del padre e della madre, vien da sè che nessuno deve mai impedire a se stesso di partire da questo assioma della vita. Noi siamo ora ciò che loro erano, seppure il libero arbitrio, che deve governare la vita di ciascuno, ci ha obbligati a separarci da loro.

La riconoscenza deriva dal rispetto per gli altri, essa è frutto dell’elaborato percorso mentale a cui siamo soggetti e che ci ha fatto decidere per una strada o per un’altra. Ciò che maggiormente turba il nostro benessere psichico, e quindi anche quello corporeo, è la fame eccessiva che anima il mondo che ci circonda, una lotta ad accalappiarsi quella fetta di sole in più degli altri. Da questa mancanza di rispetto per gli altri, smarriamo la strada verso la riconoscenza che invece è la nostra assoluta convinzione che ciò che siamo lo dobbiamo sempre a qualcun altro, siano essi i genitori, la scuola e lo studio, e ogni persona o cosa, ci sia venuta in soccorso per diventare oggi ciò che siamo. Quando la vita non è più una corsa affannata verso qualcosa di materiale (il denaro ad esempio), allora diventa una fuga che ci deve allontanare dalle negatività, da quello stato insidioso e poco spirituale che si nutre di materia e non di spirito, cosa quest’ultima assai più importante ed essenziale per proseguire il nostro cammino.

La scissione, tutta occidentale, tra la mente e il corpo, derivata da una crescita esponenziale della razionalità, la mancanza della visione olistica che risponde alla coscienza, ha determinato i danni diventati irreparabili ormai per quel mancato distacco dal materialismo cosmico di questa nostra società. Invece, dovremmo dire grazie a qualcuno per degli insegnamenti che non siamo stati bravi a divulgare, a far conoscere anche agli altri, oltre che a noi stessi.

Un credente dice “Grazie a Dio” ma vive in un modo che a quel Dio invocato certo non piacerebbe. Non è importante cercare la divinità a cui ispirarsi, tutte, nessuna esclusa, hanno raccontato del bene comune, del rispetto, dell’amore per il prossimo. Tutte basi fondanti del nostro vivere in piena e completa armonia con noi stessi. L’equilibrio, che deve governare l’azione, deciderne l’incisività e proclamarne l’assoluta necessità.

La riconoscenza è la virtù delle persone sagge e accorte. (Nicolas d’Ailly, Pensieri diversi, 1678

Antonio Masoni

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