Tempio Pausania, 26 apr. 2018-
Era prevedibile, forse anche per un’altra amministrazione regionale, che la questione sanità con la recente legge di riordino della rete ospedaliera, fosse la carta sbagliata che avrebbe fatto cadere il castello. Troppo pressanti le esigenze sanitarie di un’isola che deve fare i conti con un territorio vasto e poco popolato, con strade e strutture che risentono del tempo e, cosa forse determinante, con la pochezza di una classe politica che ha solo estorto diritti alla salute sanciti in costituzione.
Era prevedibile ma non scontato che il tracollo fosse così imponente, lasciando sguarniti presidi e roccaforti fondamentali della sanità pubblica. Ultima, ma solo per questioni temporali, ad alzare la voce Cagliari (pensa tu!) e il suo Policlinico Universitario (polo d’eccellenza comprovata) che lamenta attenzioni smisurate verso il Mater Olbia a cui vengono destinati ingenti finanziamenti pubblici in grande quantità e facendo finta che le strutture pubbliche in realtà ci sono e funzionano. Ma dove? Ma quando?
Quella che verrà sarà un’estate calda, torrida direi, viste le continue voci di protesta che si alzano da ogni parte della Sardegna dove sono presenti ospedali pubblici. Questa giunta regionale, targata Pigliaru e Arru, sarà ricordata come la peggiore di sempre anche se nessuno dimentica che i lati oscuri del crollo vertiginoso della sanità sarda hanno anche altre matrici trascorse, di altro colore politico ma di medesima gravità.
Chi, come il sottoscritto, non ha appartenenze né bandiere da difendere o inneggiare, ha un’opinione da cittadino sufficientemente dotata di chiavi di lettura non assimilabili con schieramenti o partiti e forse per questo vede la questione dal punto di vista dei servizi che vengono meno, dei diritti cancellati e del profondo disagio che andremo a vivere tutti sino a che non verrà smantellato anche l’ultimo brandello di bene comune, in primo luogo la sanità. E dalle macerie, non si potrà ricostruire nulla.
Leggo di Nuoro, di Sassari, Cagliari, Olbia, dappertutto si palesa inquietudine, perché mancano medici, gli ospedali non ce la fanno a smaltire l’afflusso che deve anche fare i conti con degenze che non possono essere sempre circoscritte a pochi giorni. Una sorpresa, forse, per i tagliatori venuti dal Piemonte, del cui vandalico passaggio esiste traccia in ogni presidio pubblico sardo, e della cui nomina persino chi lo ha scelto era scontento, manifestando risentimento per l’ennesima scelta “straniera” in terra sarda.
E’ cosa nota che in Sardegna non ci siano portatori sani di buon senso e ci si affida a chi è pagato come Paperone per un’azione da Attila! Vai a capire perché ci sia questa simpatia per “il forestiero”, forse che ha un Q.I. maggiore del sardo? Moirano, che anche il portavoce se lo scelse piemontese lo scorso novembre (Massimiliano Abbruzzese) perché anche i portavoce devono essere stranieri. Anche questo aspetto è assodato, non abbiamo neppure un tecnico sanitario che sappia fare il mestiere del portavoce?
Andiamo avanti. La chiusura, definita temporanea ma di cui ci fidiamo meno del fatto che aprile abbia 31 giorni, non è e non sarà fatta passare liscia come amerebbero i fautori di questo scempio (se ce ne sia uno, batta un colpo).
Le azioni non saranno morbide come le volte precedenti, ci si sta organizzando per bene per dimostrazioni eclatanti. Che lo sappiano di là, nella stanza dei bottoni a casaccio, nel senso che vengono schiacciati secondo mire precise ma sempre contro gli interessi della popolazione.
Non sono, e nessuno lo è, in grado di lanciare ultimatum all’ATS ma Tempio e la Gallura non ci stanno a farsi tagliare pure il diritto a nascere qui. Ma c’è di più, nemmeno un leggero sfoltimento ci starà bene, perché di subire da una banda di razziatori della sanità pubblica, ben pagati e senza alcun discernimento sulla storia, geografia, orografia, tradizioni, cultura, di questa terra, ne facciamo a meno.
Siamo stanchi ma non molleremo dinanzi a quest’ultima demolizione.
Antonio Masoni