Tempio Pausania, “Loro” e “gli altri”. Riflessione sull’ignoranza e sulle storture che ne derivano.

Tempio Pausania, 28 gen. 2015-

Scrissi 25 anni fa “Loro” e gli altri, un brevissimo articolo che raccontava degli auto emarginati, di coloro che volontariamente si estraniano dalla vita sociale, per auto escludersi da ciò che ritengono sia per loro un “modus vivendi” inutile, ossia quella presunta omologazione che provano a rifuggire rinchiudendosi nella loro dimensione lessicale, sociale e apparentemente priva di contaminazioni. Erano gli asceti del paradiso artificiale allora, quei tantissimi amici degli anni ‘70/80 che ho visto perdersi senza che nessuno li abbia mai allontanati. Alcuni ora sono tornati, altri li ho perduti per sempre. Quel pezzo fu capito da pochi, mentre da tanti ne venne frainteso il senso. Era un grido di dolore e di speranza, lo sprone violento forse a rituffarsi nella omologazione intelligente, quella che ci consente di vivere con alcuni compromessi ma non con tutti quelli che ci vengono imposti dal sistema. Uno spazio per respirare aria più pulita insomma, un habitat di quiete e di opposizione, se occorre, ma pur sempre il migliore degli spazi possibili ai nostri giorni.

“Loro” erano costoro, i figli della ribellione, “gli altri” eravamo tutti noi che abitavamo, o cercavamo di abitare, quello spazio tra compromesso e istinto che ci piaceva chiamare “razionalità” o, come scritto prima, “omologazione intelligente”.

Integrazione, parola quanto mai efficace ma altrettanto discutibile ai giorni nostri. Una semplice parola che prelude alla conoscenza di ciò che ci circonda e che deve avere il necessario supporto di intelligenza e sensibilità, quel bagaglio di apertura agli altri che a parole siamo buoni tutti a recepire, a fatti invece il percorso si lastrica di insidie e di tante differenti opinioni, su cosa sia e su come si deve interpretare. Prevede una capacità di tolleranza, di distanza altresì necessaria dai luoghi occulti dell’informazione e dei media, sempre pronti a stigmatizzarne la mancanza o a sottolinearne l’inapplicabilità. In altre parole, siamo noi che dobbiamo costruirci un parere, anche se discordante, sempre allontanandoci da ciò che ci invia la comunicazione ufficiale. Capisco che non sia facile ma bisogna provarci. Nella valutazione non dobbiamo mai tenere conto del nostro orto, né di quello del vicino accanto ma della semina avvelenata che “l’ortolano cattivo” di turno getta al vento, disperdendo nell’aria il germe della forzata direzione del proprio pensiero a nostro discapito. Certo, se conoscessimo i venti e l’incidenza che dal loro soffiare ne deriva, potremmo proteggerci, magari allontanando il nostro campo coltivato da quel vento, così da non farci investire dalla sua negatività.

Magari potremmo separare con robuste staccionate il nostro seminato, impedendo l’accesso agli intrusi o ai ladri. Sistemi di autodifesa che talvolta hanno anche un senso. Però, e qui sta il nucleo virulento dell’ignoranza, preferiamo non conoscere il vento, ci chiudiamo nella nostra “turris eburnea” e ci dotiamo di armi come deterrente. Ma vi chiedo: quali armi possiede l’ignorante per difendere se stesso, le sue idee auto immuni, il suo appetito insaziabile di distruggere l’omologazione intelligente? Nessuna, solo la sua maledetta, incauta e ingiustificabile ignoranza. Ergo, gli restano: il gergo, ovviamente poco educato e corretto, un manipolo di suoi sodali e qualche errato segnale di presunta notorietà sui social che ne avvalorano l’importanza e le capacità (?).

Un mio amico, scomparso qualche anno fa, diceva: il mondo è dei c….ni. Lo convinsi che non era così e lui, certo non pervaso da ignoranza, dissuase se stesso e si auto proclamò “libero pensatore”. Ecco, les jeux sont faits. Il libero pensiero, quello non mediato da tutte le malefiche sirene che abbondano ovunque ma che resta coeso, in modo strettissimo, con la razionalità, il sistema migliore per essere se stessi e non omologarsi a qualsiasi notizia ci venga propinata o che abbiamo letto in un qualsiasi mezzo di comunicazione.

La democrazia vera, quella che non conosciamo e che forse mai avremo la fortuna di avere, consiste nell’accettazione del dissenso e della divergenza d’opinione, ma non in quella passiva dell’ignoranza.

I troppi “loro” che frequentano, a mio avviso scriteriatamente, i social dovrebbero discernere i presupposti di onniscienza da quelli di vera sapienza e calarsi nella realtà costruitasi col pensiero, libero certamente, ma strutturato sempre e comunque con la conoscenza di ciò di cui scrivono o parlano. Il tempo, e la necessaria valanga di errori commessi, mi inducono a tirare il freno a mano quando non conosco le cose di cui leggo e di imbarcarmi invece, anche a rischio di insulti, lecitamente espressi col dissenso democratico sia chiaro, in discussioni nelle quali posso esprimere la mia, suffragato dalle indispensabili informazioni. Altrimenti, taccio. Il silenzio in questi casi è non solo opportuno ma proprio indispensabile, è il segno tangibile del mio rispetto verso chi sa e divulga conoscenza.

Chiudo questa opinione che mi piacerebbe vedere discussa e criticata con un pensiero sugli ignoranti:

Un ignorante non conosce l’enorme estensione della sua ignoranza. Un sapiente conosce la piccolezza del suo sapere. (Anonimo)

Antonio Masoni

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