Tempio Pausania, Dimostrato dalla vita: più si parla di se stessi e meno si viene ascoltati. Non è invidia, è saggezza.

Tempio Pausania, 26 dic. 2017-

Mi soffermo spesso a valutare ciò che tanti scrivono sui social, a volte riesco a farmi anche un’idea di chi ci stia dietro quella tastiera, non conoscendo talvolta l’autore di esternazioni prolisse, sia nel numero che nella sostanza. Andreotti diceva:. “purché se ne parli”, e ci sta anche, ma prendere botte feroci, frutto di evidenti esagerazioni che non corrispondono di fatto a quanto realizzato nella vita da chi scrive, non è esattamente esaltante e produttivo. Ho sempre ammirato chi sa controllare la sua effervescenza, chi equilibra tutto con saggezza e opportuna frammentazione della sua presenza, ovunque e comunque. Chi ha dimestichezza con i social, sa bene che non è apparire che alla fine ripaga della propria individualità o della propria capacità, peraltro dimostrata in svariati campi e centellinata nella sua divulgazione. A conti fatti, meglio essere, che dimostrarlo a tutti i costi. Tra l’essere a tutti i costi e starsene quatti e taciturni, meglio la seconda. Esempi?

Mina, la grandissima cantante, prese un giorno la decisione di non apparire più e scelse la privacy nel suo lavoro e nella vita personale. Ciò non ha impedito che nei suoi confronti avvenisse ugualmente l’accanimento mediatico, ma lei ha continuato imperterrita a restare in ombra, e non è mai più apparsa, tranne una volta, l’ultima, nel 2001, quando su internet furono trasmesse alcune sue registrazioni. Oggi, a 77 anni, è rimasta la grande interprete di sempre e il suo successo non è mai venuto meno. Era e resta la migliore cantante italiana di sempre. Lo so, si tratta di esempi altisonanti, ma era giusto per rendere l’idea.

La fama, il successo, i trionfi, non sono trofei da esibire davanti a tutti ma restano i dati delle proprie capacità, evidentemente riconosciute da tutti, che devono essere, semmai, raccontati da altri. Chi di voi non prova stanchezza quando vede ad ogni ora qualcuno che parla o scrive solo di se, di cosa ha fatto, di quanto è stato bravo, di testamenti e pistolotti che ammazzano già dalla prima riga, di come ha reagito? Il rigetto, lo chiamano così, avviene quando il “colpevole”, preso dalla smania di protagonismo, insiste a battere continuamente i pugni sul tavolo. “Dovete apprezzarmi!”, griderebbe ma non lo fa, perché continua a definirsi umile e contrito verso qualcuno mentre in realtà è solo l’altra faccia del suo EGO maestoso che interviene rovesciando quanto invece vorrebbe urlare. Gli psicologi lo chiamano “bisogno congenito di apprezzamento”, il desiderio di avere sempre consensi e non accettare mai una voce contraria. In altri termini, è di fatto un aspetto di pathos, una sofferenza che il portatore non sa di avere.

Nei social, e ora non ditemi che non vi siete accorti, è una cosa comune vederne alcuni all’opera. Sono in affanno, alternano post distraenti da altri, dove mostrano le innumerevoli battaglie vinte e i numerosi riconoscimenti ricevuti. L’azione, quando vien meno l’apprezzamento, diviene cattiva, facilmente si sbarella attaccando i cosiddetti detrattori. Emergono presunzione, arroganza, superbia perché bisogna riportare anche quelli che dissentono sulla giusta strada. Insomma, dovete ammirarli, per forza. Loro sono qualcuno, caspita, possibile che non ve ne siate accorti?

Quanta strada c’è da fare, quante legnate bisognerà ancora prendere perché si capisca che non è invidia quella dei detrattori, anche se talvolta c’è anche quella, nemmeno indifferenza, sentimento a doppia faccia che bisogna usare con cautela, ma è semplice estraneità alle incredibili performances di costoro, quelli che…”a tutti i costi devi apprezzarmi”.

Si potesse cambiare il mondo, anche nella piccola realtà nella quale viviamo, a suon di editti e proclami, a Tempio avremmo già un Impero. Invece, tutti assiepati sulle tribune di un immenso palcoscenico, siamo come ultras allo stadio, guardiamo la partita e poi aggrediamo e picchiamo senza immaginare quali possano essere le derive sociali alle quali stiamo tutti andando incontro. I più saggi, vorrebbero indicarci la via, ma anche costoro, attanagliati dalla stessa frenesia di apparire per forza, non usano la stessa artiglieria ma presenziano lo stesso per scopi o interessi diversi. Innocui o pericolosi, non sono mai disturbatori di altrui scritti, magari leggono e non commentano.

“E tu? – mi dice qualcuno -, non stai facendo ora la stessa cosa?”Non vuoi essere presente per forza?” Come rispondo sempre, a me da tempo non interessa il consenso, se mi fosse interessato avrei rovesciato la sfera (alla faccia dei terrapiattisti) e cambiato le regole del gioco. Non ho queste facoltà, scrivo per raccontare qualcosa e magari riuscire a interessare qualche lettore (ce ne sarà uno?), che capisca che il social lo hanno inventato per farci azzuffare l’uno con l’altro e non per rendere migliore la convivenza. pensateci va! Se poi volete usare il social al meglio, fate in modo che sia divertente quello che scrivete. Almeno si ride.

Antonio Masoni

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