Tempio Pausania, uscire dall’euro in modo indolore. Intervista di Paolo Barnard a Warren Mosler sulle ragioni di una scelta improcrastinabile. Rubrica economica a cura di Antonello Loriga.

Premessa

antonello lorigaOggi vi voglio proporre un’intervista che Paolo Barnard fece a Warren Mosler ( padre fondatore della MMT Mosler economics), in questa intervista venivano analizzati i veri scenari di un dopo euro, presentando prospettive differenti, compreso lo scenario di una permanenza nell’euro, ma che per mancanza di volonta’  politica’ no si vuole mettere in pratica. (Antonello Loriga)

WARREN MOSLER: “EXIT STRATEGY” PER UNA USCITA INDOLRE DALL’EURO

(Intervista di Paolo Barnard a Warren Mosler a Venezia -19 maggio 2012)

Domanda: Consideriamo il primo scenario: l’uscita dall’Eurozona. Ci sarà un deprezzamento della nuova moneta? Perderà completamente di valore e varrà il 70% in meno di quello che vale l’euro?

 

W.M.:  

Sì, ci potrebbe anche essere un aggiustamento verso il basso. Tuttavia non è detto.

In verità ritornare alla lira è piuttosto semplice: il governo smette di tassare la gente in euro e inizia invece a tassare in lire. Siccome chiede una valuta che nessuno possiede, nasce un bisogno disperato di lire. Se non si riescono a pagare le tasse in lire, si perde la casa, la macchina, si può perdere tutto: quindi la gente ha bisogno di lire. A questo punto il governo comincia a pagare gli stipendi pubblici in lire, e queste ultime acquisiscono immediatamente valore, perché sono necessarie per pagare le imposte.

A seconda di quello che il governo decide di pagare in lire, ci potrebbe essere un aggiustamento una tantum: per esempio, se sceglie di pagare troppo (e questo è un importo da decidere), allora ci potrebbe essere un aggiustamento verso il basso. Se invece decide di pagare troppo poco, allora ci potrebbe essere un aggiustamento una tantum verso l’alto.

Quando è arrivato l’euro, cosa è successo? Che tutti i governi dell’Eurozona hanno cominciato a tassare in euro ed immediatamente c’è stata una grande domanda di euro. Tutti venivano pagati in euro e i soldi ricevuti in pagamenti servivano a soddisfare la domanda [di euro, N.d.R.], e quindi c’è stato un aggiustamento una tantum della valuta. Da questo punto in avanti è stata la politica pubblica a determinare quello che sarebbe avvenuto alla valuta. Quando per esempio nel 1994 c’è stato il ben noto problema in Messico, la valuta è crollata del 70%, ma si è trattato di un aggiustamento una tantum, e da allora le cose sono tranquillamente andate avanti così. Quando nel 1998 c’è stato lo stesso problema in Russia, anche qui con un aggiustamento una tantum, la valuta è passata da un tasso di cambio di 6,45 rubli per 1 dollaro a 28 rubli per 1 dollaro, ed è lì che è rimasta successivamente.

In sintesi, se con la propria valuta si fa un grosso errore, si può fare un aggiustamento una tantum; ma ovviamente, questo aggiustamento è cosa completamente diversa dall’inflazione.

Domanda:   

Una delle paure diffuse è la fuga di capitali: se si ritorna alla lira, tutti scapperanno con i loro investimenti?

W.M.:

Con una valuta a tasso di cambio variabile, fluttuante, quella che noi chiamiamo valutafiat”[1], non esiste una cosa che si possa definire fuga di capitali nel modo in cui la gente tende a concepirla. L’idea della fuga dei capitali viene dall’epoca del “Gold Standard”: essa avveniva quando l’oro usciva dal Paese a causa di un problema di deficit commerciale [situazione in cui si importa di più di quanto si esporta, N.d.R.]. Comprando merce all’estero, i soldi di voi compratori finivano all’estero, e gli stranieri andavano alla vostra Banca Centrale a prendere l’oro per portarselo via. Il capitale era rappresentato dall’oro, e quella era la fuga dei capitali.

Ecco perché oggi questo concetto è inapplicabile: non vige più la situazione che lo rende possibile. Oggi, per esempio, se un qualunque paese avesse dollari statunitensi, essi si troverebbero su di un conto alla FED, mentre gli euro si trovano invece alla BCE. Se si avessero dei soldi in euro in un’altra banca, questa banca vanterebbe un credito nei confronti della Banca Centrale, per cui esse agiscono per così dire da agenti.

Quando c’è una fuga di capitali, per esempio in dollari, cosa succede? Succede che i dollari rimangono alla FED, ma il nome sul conto cambia. I dollari non vanno in nessun posto, cambia solo il nome sul conto. Se qualcuno che si chiama Joe a New York, per esempio, compra qualcosa da una persona in Messico che si chiama José, il nome sul conto alla FED passa da Joe a José. Non c’è fuga di capitale, il capitale non si muove!

Questo non significa che una valuta non possa salire o scendere, ma non c’è nulla di cui preoccuparsi per quanto riguarda la fuga dei capitali quando si ha un tasso di cambio variabile. Non ci sono delle riserve alla FED da perdere. L’intera idea è anacronistica.

Domanda: 

Immaginiamo ora lo scenario di una corsa alle banche: se si passa dall’euro alla lira e tutti corrono in banca a ritirare i soldi, si crea un disastro.

W.M.:

Perché mai questo assalto alle banche? Quando il governo tassa in lire (e comincia anche a spendere in lire), se si hanno degli euro in banca, si potrà continuare ad averli. Gli euro non devono essere convertiti: non c’è alcun motivo per cui il governo li debba convertire. Semplicemente, le persone che possiedono degli euro si troveranno nella situazione di aver bisogno di lire: per poter pagare le tasse (sugli immobili, la tassa di circolazione ecc.) la gente dovrà vendere gli euro per comprare delle lire e far fronte così ai propri obblighi.

Un esempio: le fabbriche devono pagare gli operai in lire, ma le riserve delle banche sono in euro; inizialmente ci si ritroverebbe con una carenza di lire, a meno che il governo non decidesse di convertire i depositi bancari: ma nessuno vorrebbe che il governo lo facesse, e quindi perché preoccuparsi di questo?

Se il governo convertisse i depositi bancari in lire, questo sì che porterebbe ad un crollo immediato della valuta!

Ma perché il governo dovrebbe decidere di fare una cosa del genere? Sarebbe una scelta priva di senso economico.

Domanda: 

Con la nuova lira che potrebbe deprezzarsi o apprezzarsi, come faremo a comprare il petrolio, che va pagato in dollari?

W.M.:

Il petrolio non deve essere “pagato” in dollari: questo è un mito. Il petrolio viene prezzato in dollari, che è diverso. Tutto quello che bisogna fare è guardare la lista dei tassi di cambio tra le diverse monete e il dollaro, e al tasso di cambio equivalente aggiungere il pagamento di una commissione per la banca. Si può comprare il petrolio con qualunque valuta. Le persone di tutto il mondo riempiranno il serbatoio della propria auto utilizzando la propria valuta. Se tutti comprano sempre il petrolio contemporaneamente nella propria valuta, questo potrebbe portare ad una variazione del tasso di cambio, e quindi per lo stesso quantitativo di valuta si potrebbe comprare meno petrolio [perchè la moneta si svaluterebbe per via della sua cessione in grande quantità per comprare il petrolio, N.d.R.], ma comunque si potrebbe sempre comprare con qualunque valuta.

Quando, per esempio, andate a fare shopping, ovunque andiate, potete ovviamente pagare con qualunque valuta vogliate. Non importa quindi in quale valuta il petrolio venga prezzato: questa è una tattica per spaventare la gente.

Domanda:

Con la nuova lira come moneta, come fa lo Stato a onorare il debito pubblico interno ed il debito pubblico esterno? E la parte di debito ancora denominata in euro?

W.M.:  

Questa è una domanda politica, non economica, ed è un’ottima domanda. Questo debito è in gran parte quello che io chiamerei “non ricorso e non assicurato”. In pratica vuol dire che non c’è una garanzia: il governo può anche decidere di cambiare idea su questo debito, legalmente e in qualunque momento.

Ovviamente i governi nel corso della storia non sempre lo hanno fatto: possono anche dichiarare default [fallimento, N.d.R.] sul debito, e se la Grecia avesse dichiarato default riguardo al proprio debito, come sarebbe potuto accadere il 20 marzo, la politica internazionale non avrebbe certo potuto fare irruzione in Parlamento e arrestare tutti quanti. Quando un governo non paga il proprio debito, non possono esserci degli eserciti che invadono il Paese per riscuotere i soldi.

Domandiamoci piuttosto: quale parte del debito serve per il bene pubblico? Ecco, questa parte va salvaguardata.

In primo luogo il governo esiste per servire l’interesse collettivo: esamina quelli che sono ancora i debiti in euro non saldati e poi decide quale tipo di politica del debito possa servire ad adempiere a scopi di interesse pubblico. Ma il primo obbligo deve essere nei confronti degli Italiani: le decisioni devono essere prese di conseguenza. Alcune di queste decisioni, per esempio, dovrebbero contribuire a facilitare il commercio con il resto dell’Europa; questo se il resto dell’Europa stabilisse dei requisiti in merito alla politica commerciale.

Ecco che quindi il debito diventa un elemento importante per servire gli obiettivi pubblici delle persone che hanno eletto quel governo.

Domanda:

Ma come può il governo concretamente fare ciò?

W.M.:  

Per poter procedere a questi pagamenti, il governo deve comprare euro con la propria valuta, esattamente allo stesso modo in cui i Paesi europei compravano dollari come parte della propria politica commerciale.

Si comprerebbero degli euro come parte della politica nazionale per pagare il debito, e quando si comprano gli euro in cambio di lire ovviamente si attua una pressione verso il basso nei confronti della lira [svalutazione, N.d.R.].

Questo però, oggi, non è affatto un problema. E’ interessante notare che nel mondo odierno sembra che tutti i Paesi vogliano che la propria valuta scenda di valore, e questa è una cosa senza dubbio un po’ strana. Per esempio la Cina vuole che la propria valuta cali e anche gli Stati Uniti vogliono che il dollaro si svaluti, ed allora si trovano a scontrarsi su chi riesce a far calare di più la propria valuta. Anche la Svizzera vuole che la propria valuta cali di valore rispetto all’euro: hanno comprato euro e venduto franchi svizzeri proprio per riuscire a deprezzare la propria valuta.

Tutto ciò deve quindi essere valutato alla luce del contesto in cui viviamo: se la lira italiana è considerata troppo forte, allora si possono comprare euro, un po’ come stanno facendo gli Svizzeri. Se la lira, invece, è debole, si può decidere che essa non serva ad adempiere a scopi pubblici: quindi, in sostanza, si potrebbe vendere la lira per comprare euro, così da poter onorare il proprio debito. Il bene pubblico riguarda sempre e comunque considerazioni contingenti e future.

Domanda:

È la stessa cosa per quel che riguarda i privati (le aziende e le famiglie)? Potrebbero, con la nuova lira, onorare il debito interno ed esterno essendo indebitate in euro?

W.M.:

No: questi debiti dovrebbero essere onorati. Il settore privato, quindi, sperimenterebbe una bancarotta. Se una persona deve degli euro e non è in grado di onorare i propri pagamenti, allora dichiara bancarotta, e quindi i debiti vengono eliminati e si ricomincia da zero.

Ciò che è fondamentale è ammortizzare l’impatto della crisi mediante una politica pubblica che promuova la piena occupazione: finché tutti coloro che vogliono un posto di lavoro riescono ad ottenerlo, con un salario che permetta loro di vivere, l’economia può tornare ad andare bene e il futuro sarà quindi prospero. E quando si ha una propria valuta, se sapete come funziona il meccanismo, potete sempre promuovere la piena occupazione.

Si obietterà: il problema sono gli anziani, i malati, gli handicappati, gli “improduttivi”. No, questo non è un problema: l’1% della popolazione è sufficiente per coltivare ciò che serve per l’alimentazione di tutti, meno del 10% della popolazione produce tutto quello che serve per il restante 90%. Nulla, proprio nulla vieta che il resto della popolazione si occupi di anziani, invalidi, malati terminali ecc.

Il governo deve mettere in atto delle politiche pensionistiche per le persone al di sopra dei 65 anni. Non dovrebbe fare nulla, solo scrivere un assegno. Basterebbe una persona sola al governo per farlo. Negli Stati Uniti, per esempio, i pagamenti pensionistici della previdenza sociale dovrebbero essere ad un livello che sia in grado di sostenere e mantenere i nostri anziani, ad un livello che ci renda orgogliosi di essere Americani. Io suggerirei la stessa cosa per l’Italia.

Ciò ovviamente potrebbe portare ad un’espansione della spesa pubblica, ma non del numero dei dipendenti pubblici. Con una politica di piena occupazione le persone diventerebbero una risorsa scarsa: ci sarebbe molto da fare, e non si potrebbe certo sprecare manodopera facendo scavare delle buche per poi riempirle di nuovo [come suggeriva ironicamente Keynes, N.d.R.]. C’è ben più da fare di quanto non si possa immaginare.

Al mondo ci sono molte più cose da fare di quante persone ci siano che possano farle: e la nostra politica pubblica è riuscita a creare una situazione in cui il 20% di noi non lavora!

Domanda:   

Come e da chi vengono decisi i tassi di interesse con una nuova moneta, se si esce dall’euro?

W.M.:  

Con la nuova lira si ritornerebbe al vecchio sistema, in cui sarebbe la Banca Centrale, in questo caso la Banca d’Italia, a fissare il tasso di interesse. Personalmente, io consiglierei di lasciare il tasso interbancario [cioè il tasso sui prestiti tra banche, N.d.R.] a zero, cosa che avviene in Giappone già da vent’anni. A quel punto si potrebbero rimandare a casa tutti i funzionari delle Banche Centrali a fare qualcosa di socialmente utile, invece di continuare ad agonizzare su un quarto di punto di tasso di interesse mentre pranzano in ristoranti costosissimi.

Tornando al Giappone, esso ha avuto un tasso di interesse zero per vent’anni: il rapporto debito/Pil è al 200%, con la più bassa inflazione del mondo e la valuta più forte del mondo. Il loro tasso senza rischio è 0,83%. Una politica di tassi di interesse zero non causa inflazione. Anche negli Stati Uniti, negli ultimi 4 anni, abbiamo cercato di fare la stessa cosa del Giappone. Non voglio ora entrare nel dettaglio, ma sono gli alti tassi di interesse che causano l’inflazione. So che non ci credereste se vi dicessi che i funzionari delle Banche Centrali vorrebbero cambiare le cose. Tutto ciò dimostra che i funzionari bancari non sono in malafede: semplicemente, non capiscono nulla dei meccanismi del denaro moderno.

Domanda:

Nel caso dei titoli di Stato (in inglese bonds), chi fissa i tassi di interesse?

W.M.:

È il mercato a fissare i tassi di interesse sui titoli. Quando si ha una propria valuta, i tassi di interesse sui titoli riflettono il livello al quale si ritiene che la Banca Centrale fissi il proprio tasso d’interesse. In Giappone la gente pensa che la Banca Centrale manterrà bassi i tassi per molto tempo e, quindi, il tasso di interesse dei titoli a 10 anni è molto basso. Non c’è rischio di default semplicemente perché con una valuta sovrana non esiste questo rischio.

Comunque, la cosa più importante da capire è che non c’è motivo per cui il governo debba vendere titoli: un governo sovrano non è affatto tenuto ad emettere titoli di Stato.

Quando i governi spendono più di quanto tassano, questi soldi (es. lire) rimangono nella Banca Centrale in conti che noi, negli Stati Uniti, chiamiamo conti di riserva. È solo un nome per chiamare un nuovo conto corrente presso la Banca Centrale. Non c’è niente di male a lasciare le lire in questi conti correnti. Un titolo di Stato è in pratica un altro conto corrente presso la Banca Centrale: è come un conto di risparmio. Tuttavia, quando si ha una valuta sovrana ed una politica basata su un tasso di cambio variabile, non c’è motivo per cui debbano esistere questi due tipi di conti, e non c’è motivo per cui debbano esistere dei titoli.

Il motivo che sta alla base dell’esistenza dei titoli ci riporta all’epoca dello “standard aureo”: allora non si voleva che la gente incassasse i soldi e si prendesse l’oro, e quindi glielo si faceva mettere da parte in titoli.

I titoli non hanno più senso per una valuta “fiat” [con un sistema come quello dell’Euro sono invece purtroppo indispensabili per finanziare la spesa pubblica, N.d.R.], eppure continuiamo ad emetterne.

Domanda:

I tassi di interesse sui prestiti privati, ad esempio sui mutui, chi li deciderebbe?

W.M.: 

Con una politica basata sul tasso zero, il costo dei fondi per il sistema bancario è di circa zero più uno spread [differenziale, N.d.R.].

Dato che le banche sono in concorrenza le une con le altre, questo fa sì che i tassi sui mutui sarebbero di circa il 2,5-3%: più o meno come in Giappone. Un banchiere che lavora sui mutui si trova in concorrenza con le altre banche, e quindi è necessario mantenere la competitività tra le banche (anche se le banche si avvantaggerebbero della non esistenza di questa competitività).

La risposta è quindi che i tassi sui mutui rimarrebbero al 2,5-3% per sempre: non cambierebbero mai, a meno che il governo non decidesse di cambiarli; ma il governo, nel cambiarli, dovrebbe ritenere che, così facendo, si soddisfasse un qualche obiettivo di politica pubblica, ed io francamente non riesco ad immaginare quale.

Domanda:

Molto spesso si obietta che le Banche Centrali sono private, e che quindi c’è uno scollamento tra l’interesse pubblico (l’opera del governo) e quello delle Banche Centrali. Come si risolverebbe questo problema con la lira?

W.M.: 

Questo è di nuovo un problema politico. Negli Stati Uniti il Congresso è il capo della Banca Centrale e del Tesoro; il Presidente nomina il presidente della FED (Federal Reserve), il Congresso lo approva e si stabilisce il mandato, cioè il termine del suo incarico, ma poi lo possono licenziare quando vogliono. Il Presidente e il Congresso fissano tutte le regole che il sistema bancario deve seguire e le regole per l’operatività della Banca Centrale. Quando chiedo a qualcuno della Banca Centrale quale sia la loro politica, mi parlano sempre degli statuti che stabiliscono quello che devono fare, cioè quanto è stato stabilito per legge.

Se si ha un’azienda, si può assumere un dipendente e gli si può dire che è indipendente, che può fare quello che gli pare, oppure gli si può dire che non è indipendente. Ma, anche se voi (governo) gli dite che è indipendente, alla fine il capo siete voi, ed è così che funziona con le Banche Centrali.

Tutti i profitti delle Banche Centrali ritornano al Ministero del Tesoro, le persone vengono selezionate dal governo, le regole vengono stabilite dal governo. Soprattutto, lo ripeto, tutti i profitti tornano al governo. Voi chiamate la Banca Centrale come vi pare, io la chiamo Agenzia Governativa.

Se quindi si sceglie di agire diversamente, è esclusivamente per ragioni politiche.

 

 

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