Tempio Pausania, 29 mag. 2018-
Il viaggio nel mondo dell’Analisi Transazionale, alla scoperta di noi stessi e del mondo delle relazioni interpersonali. Per chi volesse riprendere dall’inizio questo percorso informativo a questi numeri i relativi articoli precedenti della stessa autrice: 1° – 2° – 3°- 4° – 5° – 6°- 7°- 8°- 9° – 10°-11°
Ormai sapete cos’è un copione e che importanza assuma nella vita di ognuno di noi. Ma quali sono i “messaggi” che contribuiscono a formare il copione? E cos’è che induce un bambino a prendere delle decisioni che porterà avanti fin nell’età adulta? Nella vita di ogni bambino sono inclusi elementi culturali e familiari: i primi sono dettati dalle regole e dalle tradizioni imposte nella società in cui vive; i secondi sono caratterizzati dalle peculiarità della famiglia che si sommano alle regole generali della società. Comunque, chi influisce maggiormente nella personalità del bambino sono i genitori; quindi i fratelli, i nonni, gli insegnanti e tutte le persone che gli stanno vicino. Le decisioni di copione vengono prese ad ogni età, ma le più importanti e fondamentali entro i 7 anni circa. E siccome ogni essere umano è unico, le decisioni che prenderà saranno specifiche e individualizzate. Il bambino è piccolo, quindi molto vulnerabile, e reagisce con sentimenti molto forti ai messaggi che gli vengono trasmessi dai genitori. Ma vediamo, appunto, come avviene questa trasmissione. Distinguiamo, prima di tutto, i messaggi verbali dai non verbali. Ad esempio: (VERBALE) Genitore: “Tu sei cattivo!”; decisione del bambino: “Qualsiasi cosa faccia, sono cattivo. Devo essere malvagio dentro”. (NON VERBALE) Il padre picchia il figlio. Decisione: “Sono cattivo”. (VERBALE) Genitore:”Perché sbagli sempre?”. Decisione:” Sono un buono a nulla. C’è qualcosa di sbagliato in me per cui faccio sempre errori.” (NON VERBALE) Il padre si stringe nelle spalle e solleva gli occhi al cielo quando il figlio fa un errore. Decisione: “Sono un caso disperato: non imparerò mai”. Questi sono solamente pochi esempi delle probabili reazioni di un bambino verso i messaggi genitoriali: il problema è che queste decisioni avranno ripercussioni anche in età adulta! Ovviamente, oltre ai messaggi negativi, ci sono quelli positivi; anche se, per ovvie ragioni, i terapeuti di Analisi Transazionale sottolineano maggiormente i primi. Il più potente messaggio positivo che un genitore può dare al figlio è “Io sono ok, tu sei ok”. Ricordatelo e prendetelo come modello nell’educazione dei vostri figli.
Il potere del messaggio che induce una decisione di copione varia a seconda del tipo di carezza usata per inviarlo, della scelta del momento (dato in concomitanza a un avvenimento importante è ancora più incisivo) e dalla frequenza con la quale viene dato. Particolarmente importante è la “fonte” da cui arriva il messaggio. Il bambino presta attenzione alla persona che trascorre più tempo con lui, solitamente la madre. Ma, ovviamente, importante emittente è anche il padre, tutti quelli che vivono in casa e le persone che, per diversi motivi, stanno a contatto col bambino. E’ necessario però ricordare che il bambino piccolo prende le decisioni di copione rispetto alla sua personale percezione dei messaggi stessi. Berne sottolinea che anche la scelta del nome anticipa le aspettative dei genitori e che, quindi, anche questo assume una connotazione particolare nella vita di una persona. Hanno un loro peso psicologico anche i diminutivi, i soprannomi o qualunque altro nome venga “inflitto” al neonato; per non parlare dei cognomi che sono ereditati, e a volte talmente scomodi da diventare una sorta di “maledizione” di famiglia. Io, per mia esperienza, posso dirvi che i miei genitori avevano scelto “Rita” per devozione verso una santa dalla quale dicevano di aver ricevuto una grande grazia; oltretutto, sono cresciuta in un paesino di ferventi cattolici dove, per tutta la mia infanzia, ho sentito ripetere che era “la Santa degli impossibili”. Beh, non vi nascondo che nella mia vita, spesse volte, ho cercato di sfidare l’impossibile! Quando, poi, è nata mia figlia mi sono assicurata potesse avere un nome con cui convivere in assoluta tranquillità…
Abbiamo già constatato come il bambino sia fragile e vulnerabile. Percepisce, quindi, i genitori come dotati di un potere totale: un potere che soddisfa i suoi bisogni o li lascia insoddisfatti. La sua risposta è di tipo emozionale ed è data da alcune strategie di sopravvivenza che gli permettono di vedere esaudite le sue esigenze. Per sviluppare le sue capacità ha quindi bisogno di una serie di “permessi”: quello fondamentale è senz’altro di “esistere” e di appartenere al mondo. Ma se viene ignorato, trattato con negligenza e tenuto a distanza, riceverà l’ingiunzione di “NON ESISTERE” o “NON ESSERE”. Al contrario, quando ad un individuo vengono prestate molte attenzioni e viene trattato con amore, deciderà di vivere e appartenere con un senso di fiducia e ottimismo.
Bob e Mary Goulding, per ovvie ragioni legate al loro lavoro di terapeuti, hanno sottolineato le ingiunzioni negative estrapolandone 12 fondamentali. La prima è quella già citata di “NON ESISTERE”. Perché i genitori dovrebbero trasmettere questo messaggio ad un figlio? Le ragioni possono essere diverse e, spesso, la trasmissione avviene attraverso un segnale non verbale che il bambino, sensibilissimo, recepirà in modo amplificato. Ad esempio, un uomo che si sposa e diviene padre può sentire come un pericolo l’arrivo di un figlio poiché, inconsciamente, lo riporta indietro negli anni della propria infanzia: quando, magari, era nato un fratellino e lui era profondamente spaventato dal fatto che non ci sarebbero state più attenzioni per lui. Nella sua logica infantile desiderava per il neonato la morte, come unico modo per sbarazzarsi di lui. Ora che è adulto e padre può segnalare al proprio figlio, in modo non verbale, questi impulsi omicidi retaggio del tempo passato. Oppure, un altro esempio: una madre ha già avuto tanti figli e non ne vuole più; ma, per caso, ne nasce un altro. Anche se farà il possibile per accudirlo in senso materiale, la sua rabbia potrà esprimerla in modi sottili: magari non sorridendo mai al bambino e parlandogli di rado. La seconda ingiunzione è “NON ESSERE TE STESSO”, data da genitori che avevano aspettative diverse nei riguardi del bambino. Ad esempio, chi ha avuto una femminuccia, invece che un maschietto, può essere talmente deluso da vestirla e trattarla comunque come un maschio. Il problema è che anche da adulta questa bambina potrebbe avere crisi d’identità, continuando a portare abiti maschili con modi di fare propri del sesso opposto. Oppure ci possono essere genitori che hanno un immagine ideale del figlio e, se quest’ultimo non soddisfa le loro aspettative, lo sconfessano nel profondo del suo essere. La terza è “NON ESSERE UN BAMBINO”, trasmessa generalmente da quei genitori che si sentono minacciati dall’avere un figlio poiché, fondamentalmente, si sentono loro stessi ancora dei bambini. Talvolta un figlio può autotrasmettersi questa ingiunzione in reazione a un particolare disagio recepito in casa; questo vale soprattutto per i figli più grandi e per i figli unici. Facendosi carico della situazione, con una responsabilità prematura, non si permettono di essere bambini, ma si trasformano in piccoli uomini. Se da adulti vi sentite a disagio nel rapportarvi con i bambini o vi irrigidite alle feste, probabilmente avete ricevuto questa ingiunzione: infatti divertirvi e provare piacere le avevate considerate cose da bambini, mentre voi avevate deciso di essere delle persone compiutamente cresciute…. (continua)
Rita Brundu