Tempio Pausania, Cos’è un Trust e come funziona. Similitudini e parallelismi da considerare.

Tempio Pausania, 17 ott. 2018-

Si sente spesso parlare di Trust, di legge anti trust ma a pochi è venuta la curiosità di addentrarsi dentro u meccanismo finanziario all’apparenza complesso e riservato agli specialisti della finanza.

La parola Trust è inglese e significa letteralmente “fiducia” ma nella sostanza  il trust è un contratto con cui un soggetto disponente (settlor) trasferisce la proprietà di uno o più beni ad un soggetto fiduciario (trustee), il quale dispone e amministra i diritti reali acquisiti per uno scopo predeterminato o nell’interesse di un beneficiario titolare di un diritto personale, cui potranno trasferirsi in piena proprietà i beni alla fine del trust. Cosa vuol dire?

Il trust è un istituto complesso e multiforme che si adatta bene alle varie particolarità del caso ed alle volontà ed esigenze personali del singolo disponente, sicché possiamo dire che non esiste un vero e proprio tipo di trust, non esiste un rigido ed unitario modello di trust, ma tanti possibili schemi e che ognuno di essi può avere caratteristiche del tutto diverse dagli altri in vista di una finalità ultima da raggiungere. La legge che regolamenta un trust non può essere quella italiana che non comprende questo contratto ma una legge straniera che la annovera normalmente. 

La caratteristica principale del trust è la segregazione (separazione) del patrimonio in quanto produce l’effetto di segregare il patrimonio conferito da tutti gli attori della vicenda: i beni o diritti in trust sono di proprietà del trustee (non più del disponente), il quale  però non può farci quello che vuole ma è gravato dall’obbligo di amministrarli nell’interesse altrui.
Questi beni o diritti oggetto di trust costituiscono un patrimonio separato anche da quello del trustee e pertanto non possono essere aggrediti dai creditori personali del trustee, né fanno parte del regime matrimoniale o della successione del trustee. Il trustee non può avvantaggiarsi personalmente dall’essere proprietario dei beni in trust, non può fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi, è tenuto solo ad utilizzarli (gestirli, venderli, permutarli, ecc.) nell’interesse dei beneficiari secondo le disposizioni e con i limiti impartiti dal Disponente nell’atto costitutivo o in un successivo atto.

Capito questo meccanismo, ora facciamo un parallelismo col Coemm con cui tentai un anno fa di approcciare questo discorso (LINK all’articolo dell’ottobre 2017), oggi stranamente tornato in luce dopo l’esame di un video di una conferenza avvenuta a Torino lo scorso febbraio. In questa conferenza un avvocato nominò due volte la parola Trust per richiamare l’attenzione della platea su possibili finanziatori stranieri (mai apparsi).

Tornate su, all’inizio dell’articolo e quando cito la parola Trust voi asociatela a Coemm, quando si citano i trustee, voi fate un’analogia cogli attuali Clemm, ossia i salotti con 10 persone e un capitano.

Notate questo passaggio scritto prima: La caratteristica principale del trust è la segregazione (separazione) del patrimonio in quanto produce l’effetto di segregare il patrimonio conferito da tutti gli attori della vicenda: i beni o diritti in trust sono di proprietà del trustee (non più del disponente), il quale  però non può farci quello che vuole ma è gravato dall’obbligo di amministrarli nell’interesse altrui.

Ora mettete al posto della parola Trust la parola Coemm e al posto di trustee la parola Clemm. La frase cambia in questo modo.

La caratteristica principale del Coemm è la segregazione (separazione) del patrimonio in quanto produce l’effetto di segregare il patrimonio conferito da tutti gli attori della vicenda: i beni o diritti in Coemm sono di proprietà dei Clemm (non più del disponente Coemm), il quale  però non possono farci quello che vogliono ma sono gravati dall’obbligo di amministrarli nell’interesse altrui.

Ci siete ora? Il Coemm trasferisce il suo patrimonio ai Clemm.

Esaminiamo ora questo passaggio che riscrivo ma apportandoci subito dopo la versione per Coemm.

Il trustee non può avvantaggiarsi personalmente dall’essere proprietario dei beni in trust, non può fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi, è tenuto solo ad utilizzarli (gestirli, venderli, permutarli, ecc.) nell’interesse dei beneficiari secondo le disposizioni e con i limiti impartiti dal Disponente nell’atto costitutivo o in un successivo atto.

traduzione: I Clemm non possono avvantaggiarsi  personalmente dall’essere proprietari dei beni in Coemm, non possono fare suoi i frutti, né godere dei beni stessi, sono tenuti solo ad utilizzarli (gestirli, venderli, permutarli, ecc.) nell’interesse dei beneficiari secondo le disposizioni e con i limiti impartiti dal Coemm nell’atto costitutivo o in un successivo atto.

Questa parte finale vi dovrebbe ricordare il momento in cui il Coemm fece firmare la separazione tra se stesso e i Clemm con la modulistica che doveva essere riconsegnata controfirmata a prova di accettazione del nuovo regolamento. Ci siete??

Ora affrontiamo la situazione in caso di fallimento del trust. Sono possibili diversi scenari. Di nostro interesse però appare questo aspetto della complessa normativa che regolamenta i trust.

Gli effetti del sopravvenuto fallimento: trust originariamente illecito (illecito perché Coemm nasce come comitato No Profit e non come trust).

Esperita vittoriosamente l’azione revocatoria e dichiarata l’inefficacia dell’atto di conferimento di beni in trust, il creditore o il curatore fallimentare possono legittimamente sottoporre a pignoramento i beni che siano nella titolarità del trustee.

Semplice questa parte finale: il Coemm fallisce e a caduta chi ne paga le conseguenze sarebbero i clemm.

Nasce un altro problema. I clemm, tal quali, non sono persone giuridiche ma semplici gruppi di persone che periodicamente si riuniscono per discutere di qualcosa, come tali non aggredibili dalla legge, né responsabili di quanto accade o accadrà nel trust (Coemm). All’uopo, interviene un nuovo aspetto che in questi giorni ha interessato qualche salotto in Italia, ovvero la necessità sollevata dal Coemm che i Clemm diventino APS, Associazioni di Promozione Sociale. Cosa sono le APS?

Dalla Legge n. 383/2000 “Disciplina delle associazioni di promozione sociale”:
Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati.  Non sono considerate associazioni di promozione sociale, ai fini della L. n. 383/2000, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati.
Non sono inoltre considerate associazioni di promozione sociale i circoli privati e le associazioni comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.

In virtù del loro peculiare valore sociale la legge prevede:

  • l’istituzione di un apposito registro nazionale – regionale – provinciale al quale i soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383 possono iscriversi per ottenere delle agevolazioni previste dalla legge stessa (artt. 7-10, legge 7 dicembre 2000, n. 383)
  • osservatori nazionali e regionali dell’associazionismo (artt. 11 e ss., legge 7 dicembre 2000, n. 383)
  • particolari agevolazioni, fiscali e non (artt. 20 e ss., legge 7 dicembre 2000, n. 383)
  • la possibilità di ricevere donazioni e lasciti testamentari (con beneficio d’inventario), con l’obbligo di destinare i beni ricevuti e le loro rendite al conseguimento delle finalità previste dall’atto costitutivo e dallo statuto.
L’art. 6, comma 2 della legge n. 383/2000 ha stabilito il principio che per le obbligazioni delle associazioni di promozione sociale risponde innanzitutto l’associazione stessa con il suo patrimonio e i terzi creditori, solo in via sussidiaria, possono rivalersi nei confronti delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.
Cosa potrebbe accadere se il Coemm fallisse e, per questo fallimento, risponderne penalmente?
Ricordiamoci sempre che:
Il trustee (nel nostro caso Clemm o APS) è titolare della proprietà formale ed è tenuto all’amministrazione e alla custodia del bene a vantaggio del beneficiario (Trust o Coemm), il quale è titolare della proprietà sostanziale.

Un primo gruppo di azioni, che potrebbero essere definite “contro il disponente” (Coemm), include le azioni promosse contro l’atto istitutivo o gli atti di disposizione, da soggetti che assumono di essere stati lesi da questi ultimi, o di essere titolari di diritti o di interessi con tali atti incompatibili. In tal caso i legittimati attivi contestano, dunque, la validità o l’efficacia degli atti stessi.

Attori del contenzioso potrebbero essere, quindi, i creditori del disponente (o soggetti che si affermino titolari di diritti reali sui beni oggetto di conferimento), che si oppongano al trasferimento di beni del debitore al trustee ed all’imposizione, su di essi, del vincolo di segregazione.

Un’ulteriore categoria include le “azioni proponibili contro il trustee”, distinguibili tra “azioni interne”, aventi ad oggetto le controversie insorte tra il trustee e gli altri soggetti del rapporto, e “esterne”  al trust.

Questa ultima parte induce al ragionamento principale di questo articolo. In caso di un fallimento, della chiusura del Trust per azioni giudiziarie o di azioni legali volte ad avere un risarcimento dal Trust madre, i trustee potrebbero pagare di tasca le azioni illecite effettuate dal trust madre. Come le possono pagare? Col loro patrimonio personale, e con cosa se no? Ciò, a maggior ragione se facessero la stupidata di associarsi in APS, che hanno anche una ragione sociale e giuridica precisa ed un proprio bilancio, seppure inquadrate tra le No-Profit.

Di fatto, dal mese di gennaio di quest’anno, il terzo settore, ossia quello del volontariato, ha l’obbligo di registrare ogni singola voce di entrata ed uscita così come qualsiasi donazione e rendere conto a fine anno di ogni movimento effettuato, sia in entrata che in uscita.

Quindi, per concludere, vale la pena creare una APS ed incorrere nel rischio che un fallimento della casa madre vi possa arrecare danni tangibili di carattere economico? Per cosa poi? Per un patrimonio di cui voi avete solo il controllo formale perché quello concreto, fatto dai soldi delle vostre donazioni, sappiatelo, ha già preso il volo!! 

Meditate, aprite gli occhi.

Antonio Masoni

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