Tempio Pausania, 11 mag. 2017-
Quando vedi gente di sinistra che gioisce per l’elezione di Macron perché quest’ultimo “è europeista” capisci che l’europeismo è ormai diventato un’ideologia reazionaria a tutto tondo, in cui l’idea dell’unità europea – che ha una sua storia anche nobile (per quanto ingenua) a sinistra – è ormai diventata completamente slegata da qualunque criterio etico e/o sociale. Un fine a se stesso, in nome del quale si arriva addirittura a riporre le proprie speranze in un banchiere che ha già promesso politiche ultrareazionarie sul piano sociale e delle politiche del lavoro.
E allora sarebbe il caso di rammentare che l’idea dell’unità politica dell’Europa era un aspetto centrale anche di importanti filoni del pensiero fascista nonché della propaganda ufficiale hitleriana, se è per questo. A quest’ultima Macron ha persino rubato lo slogan del suo movimento: “en marche” (vedasi il manifesto in allegato).
Così scriveva nel 1942 Vidkun Quisling, fondatore del partito fascista norvegese e noto collaboratore del regime nazista:
«Dobbiamo creare un’Europa che non sprechi il proprio sangue e la propria forza in conflitti distruttivi, ma formi una compatta unità. In questo modo essa diventerà più ricca, più forte e più civile, e recupererà il suo antico rango nel mondo. Tensioni nazionali e grette gelosie perderanno ogni significato in un’Europa liberamente organizzata su basi federali. Lo sviluppo politico del mondo passa inevitabilmente attraverso formazione di più vaste sfere politiche ed economiche».
«Occorre essere prontamente disposti, in certi casi, a subordinare i propri interessi a quelli della Comunità europea»: parola di Walther Funk, ministro per gli affari economici del Terzo Reich dal 1937 al 1945.
Sulla stessa linea anche Alberto de Stefani, ministro delle finanze di Mussolini dal 1922 al 1925:
«I risultati di un eccessivo nazionalismo e degli smembramenti territoriali sono nell’esperienza di tutti. L’unica speranza di pace è in un processo che da una parte rispetti l’inalienabile, fondamentale patrimonio di ogni nazione ma, dall’altra, lo moderi e lo subordini a una politica continentale… Le nazionalità non costituiscono una solida base per il progettato nuovo ordine, a causa della loro molteplicità e della loro tradizionale intransigenza… Un’unione europea non potrebbe essere soggetta alle variazioni delle politiche locali caratteristiche dei regimi liberali».
«Al di sopra e al di là del concetto dello stato-nazione, l’idea di una nuova comunità trasformerà lo spazio che ci è stato dato dalla storia in un nuovo regno dello spirito… La nuova Europa della solidarietà e della cooperazione fra tutte le popolazioni, un’Europa senza disoccupazione, senza crisi monetarie… troverà fondamenta sicure e una rapida e crescente prosperità quando le barriere economiche nazionali saranno rimosse», scriveva Arthus Seyss-Inquart, altro noto collaboratore nazista. Come è noto, la creazione di un mercato unico, con il Reichsmark come valuta di riferimento – oggi si chiama euro – era uno dei sogni degli economisti nazisti.
Ci si chiede, dunque: ma i sinceri europeisti di sinistra di oggi lo sanno che il progetto di unificazione europea affonda le sue radici (anche) nelle ideologie nazista e fascista? E questo non gli fa venire qualche dubbio sulla dicotomia nazionalismo cattivo vs. europeismo buono? Ma soprattutto viene da chiedersi: quanti di coloro che oggi plaudono all’europeismo di Macron al tempo avrebbero plaudito all’europeismo dei soggetti sopracitati?
di Thomas Fazi