Tempio Pausania, “Zona Franca? Sarebbe un boomerang”, lo dichiara un economista di Sorso, che insegna a Londra, al giornale. Rubrica economica a cura di Antonello Loriga

Tempio Pausania, 11 nov. 2017-

Si dibatte moltissimo in questi ultimi tempi la questione Sardegna – Zona Franca, in tanti la spingono per via di evidenti quanto immediate convenienze fiscali, tipo le accise che per tutti noi sono un costo o per l’IVA che anche questa per un cittadino rappresenta pur sempre un aggravio di spesa. Le cose, come ha dichiarato l’economista nativo di Sorso che insegna a Londra, Giovanni Razzu alla Nuova Sardegna, non stanno proprio come a tutti è parso di capire. Per intero riportiamo la sua intervista al giornale. Leggetela con attenzione e capirete che anche questa possibilità, peraltro già fattibile essendo una regione autonoma, non è altro che un altra scelleratezza del sistema. che arrecherà danni maggiori alla economia sarda.

fonte la Nuova Sardegna

LONDRA. Prendere come testimonial le Isole Canarie e sostenere le buone ragioni per l’introduzione della zona franca in Sardegna è «un boomerang» ma anche «la non conoscenza di quanto avviene nel mondo». Intanto le Canarie «non sono un paradiso fiscale ma zona a fiscalità di vantaggio. Era stata introdotta nel 2000, con la tassa locale sui consumi al 5%, con la copertura del governo spagnolo e dell’Ue. Oggi le Canarie presentano dati di fatto tanto inequivocabili quanto disastrosi: dopo 13 anni di quei vantaggi fiscali la situazione economica racconta il 38% di povertà complessiva, il 44% del tasso di disoccupazione, quella giovanile supera il 60, quasi il 20% in più di quanto avviene nella disastrata Sardegna. E ancora: «So che pochi giorni fa c’è stato un dibattito sul futuro della Sardegna a Scienze politiche di Sassari. Una sociologa cagliaritana, Lilli Pruna, ha detto: il lavoro che manca non lo crea la zona franca. Concordo».

Sono riflessioni che giungono da Oltre Manica da Giovanni Razzu, 38 anni di Sorso, per 7 anni senior economist a Downing Street, vincitore di concorso sotto Tony Blair, corteggiato da Gordon Brown, riconfermato dal conservatore David Cameron. Dopo la Bocconi e la London School of Economics, aveva studiato le economie più povere del mondo nel cuore dell’Africa e del Sud America. Oggi è professore di Economia delle politiche pubbliche in una università al top nel mondo, a Reading (quasi 17mila studenti con 125 nazionalità differenti). Razzu è un lettore fedele della Nuova Sardegna on line e, sulla zona franca, conosce il dibattito di questi giorni tra Sardegna, piazza Montecitorio, faceboook e twitter. Dice: «Concordo con Francesco Pigliaru che nel suo blog sostiene che sia comunque importante questo dibattito. Ma bisogna intendersi. La zona franca – contrariamente a quanto molti dicono – non rappresenta l’unico modello di sviluppo, come propagandano i proponitori, in particolare quelli schierati attorno al sito ufficiale zonafrancasardegna. Anzi, alla Sardegna potrebbe costare carissima. Si può imparare molto dalle esperienze in altri Paesi e dalle ricerche che ne hanno valutato gli effetti: queste insegnano che la fiscalità di vantaggio territoriale non crea reddito e occupazione aggiuntiva e che i costi sono generalmente superiori ai benefici. Perché si innescano effetti collaterali enormi: le attività definite nuove non sono infatti nuove ma sostitutive di altre, alcune si spostano da una zona all’altra per trarre vantaggio dei benefici. E alcuni benefici vanno a vantaggio di persone e attività fuori dalla zona di interesse. Io non parlo, come il professor Viktor Uckmar, della fattibilità legale della zona a fiscalità di vantaggio, ma delle conseguenze economiche. Faccio puramente una valutazione di politica economica. Mi interessa misurare i benefici concreti».

Qualche esempio, qualche raffronto.

«Già dal 1993 in Inghilterra si è confermato che le Enterprise Zones avevano fallito nel generare nuove attività industriali. Tra il 1984 e il 2001 la disoccupazione nel Regno Unito era calata del 66% ovunque, sia nelle zone a fiscalità di vantaggio sia in quelle senza. In quelle zone nessun miracolo particolare era avvenuto».

Molti citano l’esperienza della California.

«Il costo netto delle varie iniziative in California era diventato nel 2003 quasi di 300 milioni di dollari. I costi superavano, e di parecchio, i benefici. Anche in Inghilterra una valutazione economica governativa ha provato che il costo netto della zona fiscale era nel 1987 di 23.000 sterline per ogni posto di lavoro creato. In Francia l’esenzione sulle tasse sul reddito concessa a 26mila lavoratori ammontava a 53 milioni di euro. Ma dei 26mila beneficiari solo 6mila erano lavoratori nelle zone di interesse fiscale. Chi ha analizzato l’iniziativa ha concluso che gli effetti in termini di lavoro creato sono stati ovunque modesti considerando i costi enormi dell’iniziativa».

In Sardegna s’insiste molto sulla eliminazione dell’Iva.

«Bene. Considerando solo la cancellazione dell’Iva – quasi 2 miliardi di euro nelle entrate del bilancio della Regione nel 2012 – e analizzando non solo il moltiplicatore che molti usano in modo non idoneo, quei 2 miliardi creerebbero un effetto netto di meno della metà. Tuttavia sono potenzialmente 2 miliardi meno in spesa per educazione, sanità, trasporti, sostegno agli enti locali: il 20% delle entrate regionali totali, di quasi 8.5 miliardi, nel 2012. A meno che non si pensi che questi 2 miliardi non arrivino dal governo nazionale (aiuti di Stato, quindi) o che la spesa improduttiva della regione sia del 20% e possa essere ridotta semplicemente. Detto più chiaramente: la solo auspicata diminuzione dell’Iva costerà ai sardi molto ma molto salata».

Come giudica su questo tema il dibattito generale in Sardegna?

«Molto debole, fragile, non poggiato su valutazioni solide, tanta propaganda su un argomento vitale per la Sardegna. Perché non bisogna chiedere chiarezza in un dibattito così importante? In questo modo si potrebbero valutare i costi e i benefici della proposta. Si sa, per esempio, che la Sardegna è un’isola schiacciata dal peso di soffocanti barriere economiche: pesa l’assenza di collegamenti sicuri, di porti efficienti, di una rete ferroviaria adeguata, di una dotazione energetica moderna e a costi sostenibili, di tassi di istruzione fra i più bassi d’Europa, di un incremento crescente dei tassi di dispersione scolastica, di una burocrazia inadeguata. Penso a quando non rende quanto dovrebbe l’agricoltura, l’attività delle pesca, importiamo tutto, anche carne e pesci. Mancano grandi e piccoli progetti. Manca l’ordinaria amministrazione. Ebbene, l’evidenza sulle zone a fiscalità di vantaggio mostra che questi problemi strutturali, non solo non si superano con la fiscalità di vantaggio, ma sono proprio tra le cause dell’insuccesso di tali iniziative».

A parte le evidenti speculazioni elettoralistiche, lei ha definito la proposta confusa. Perché?

«A momenti ci si riferisce a un paradiso fiscale, in altri alle Canarie. Quando ci si riferisce alle Canarie, si propone un puro aiuto statale. Inoltre, l’eliminazione dell’Iva vuol dire aiuto di Stato nella forma di incentivo fiscale. Questo dimostra un approccio singolare: da una parte si suggerisce che l’intervento dello Stato nell’economia è negativo e da evitare. Ma dall’altra parte ci si riferisce al moltiplicatore keynesiano per sostenere che quell’aiuto di Stato avrà un effetto moltiplicatore dell’economia. Siamo davvero a posizioni contraddittorie. Posizioni personali vengono propagandate senza supporti scientifici».

In che direzione andare? Siamo a pochi mesi dalle elezioni regionali.

«Tralascio il problema del voto. Però da sardo e da economista sono molto preoccupato. Non voglio apparire un detrattore, uno che vuole sparare comunque a zero sulla zona franca senza conoscenza delle fondamenta di politica economica, ma tutt’altro. Guardo ciò che è avvenuto nel mondo e alle valutazioni di tali esperienze. La Sardegna non è né Montecarlo ma neanche Livigno o la Valle d’Aosta. Vorrei che si arricchisse di contenuti un dibattito povero dei fondamentali della politica economica che gli sponsor della zona franca rinfacciano a chi loro si oppone. Mi chiedo: perché il risultato della fiscalità di vantaggio in Sardegna dovrebbe essere diverso da quello della maggior parte delle esperienze di altri Paesi? Perché i risultati in Sardegna saranno diversi da quelli delle Canarie per esempio, dove, rimarco, dopo più di 10 anni di vantaggi fiscali, hanno una disoccupazione giovanile record? Lo ripeto, sono preoccupato. Quelli che si sono schierati, credo senza conoscere i risultati di 30 anni di esperienze mondiali, troveranno difficile fare un passo indietro. Ma devono farlo. Ragionando sui numeri, bandendo gli slogan».

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