Tempio Pausania, 30 giu. 2015-
fonte: Centro Studi Economici per il Pieno Impiego
Abbiamo posto due domande al Prof.Mario Seccareccia sulla situazione greca di questi giorni. Di seguito la breve intervista.
–D. 1) Alla luce dei gli ultimi eventi che si stanno verificando in Grecia, l’idea di cambiare l’Europa da dentro si sta rivelando impossibile da realizzare. La chiusura totale delle istituzioni europee è del tutto immotivata, stante anche l’effetto dei programmi di austerità a cui é stata sottoposta la Grecia, che secondo la Troika avrebbero dovuto migliorare la situazione della Grecia. L’idea errata di cambiare l’Europa da dentro da cosa è dipesa? Da errori di previsione o dalla mancata comprensione della vera natura dell’unione Europa?
R. 1) Idealmente non c’è niente di particolarmente sbagliato nel voler riformare la struttura costituzionale esistente d’Europa, per esempio, in un sistema federale in buona fede con una moneta unica, cioè l’euro, con un’adeguata ripartizione del potere tra il federale e governi statali e locali. Molti hanno e continuano a proporre tali strutture. Che di per sé è un obiettivo lodevole che molti di noi riterrebbero essere anche altamente desiderabile come un progetto a lungo termine. Nel contesto del Nord America dove risiedo (in Canada), abbiamo esattamente tale struttura, con una moneta unica (il dollaro canadese) e un governo federale che conduce la politica macroeconomica attraverso il controllo di entrambe le braccia fiscali e monetarie. Tuttavia, sarebbe ingenuo pensare che questo sia il progetto dell’Eurozona.
Il progetto euro non è mai stato fondato sulla base di questo desiderio, cioè di progettare una nuova unificata democratica Europa. E’ stato un tentativo di togliere l’unico vero potere che i governi nazionali hanno avuto, di gestire macro-economicamente i loro affari e sostituirlo con una struttura oppressiva che ha messo i governi nazionali in una camicia di forza di austerità o, come si dice in Canada, in un’austerità tipo “trappola per aragoste”, in modo che una volta che un paese della zona euro entra nella trappola bisogna comportarsi in accordo con i vincoli imposti dalla struttura, rendendo praticamente impossibile uscire. Lo scopo era quello di mettere i governi nazionali in un tale stato di vulnerabilità, in modo da accettare la “disciplina” imposta dai mercati finanziari privati.
A seguito di ciò che alcuni di noi hanno descritto come “un progetto mengeriano neoliberale dell’integrazione monetaria ed economica”, che trova la sua origine nel periodo tra le due guerre e i primi anni del dopoguerra, lo scopo primario di tale struttura dell’eurozona era quello di stabilire un ordine economico che avrebbe portato via il controllo democratico del denaro dalle masse o dai suoi rappresentanti eletti e metterlo nelle mani di una élite tecnocratica che avrebbe esercitato un controllo supremo imponendo le regole di austerità come dettato dei mercati finanziari. Il Trattato di Maastricht, il patto di stabilità e crescita, il Fiscal Compact, e così via non riguardano affatto il modo in cui i cittadini europei, attraverso i loro rappresentanti eletti, possono esercitare un maggiore controllo democratico del sistema monetario, ma piuttosto riguardano come impedire loro di soddisfare i loro bisogni costringendoli a rispettare il nuovo ordine fondato sulle regole di austerità.
L’Eurozona non è stata un “errore”, nel senso che nessuno ha mai immaginato che avrebbero poi scatenato la bestia dell’austerità che sta devastando il continente europeo. Il micidiale Minotauro (come il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis ha descritto) sta devastando l’Europa, perché questa è la natura della bestia che hanno creato a partire dal Trattato di Maastricht. Forse, non tutti coloro che hanno sostenuto il progetto dell’Eurozona hanno compreso alcune delle terribili conseguenze che ne sarebbero derivate, una volta che la bestia fosse stata lasciata libera. Ricordo di aver sentito anche Jacques Delors dire che si è rammaricato di alcune conseguenze per ciò che egli stesso aveva svolto, cioè un ruolo fondamentale nella creazione con il Rapporto Delors del 1989, ma non c’è dubbio che le élite politiche europee attuali e passati vogliono austerità permanente e questo è veramente l’essenza del progetto dell’Eurozona.
D. 2) Da oggi alla data del referendum che chiamerà i cittadini greci a votare sul nuovo accordo proposto dalla troika, cosa succederà alla Grecia? Il programma scade il 30 giugno si vocifera che la bce sta pensando di ridurre l’erogazione della liquidità di emergenza alle banche greche, che a questo punto rischiano la chiusura e il fallimento. È inevitabile il ritorno alla dracma a questo punto?
R. 2) Il rifiuto della Troika di soddisfare le richieste del governo democraticamente eletto in Grecia, con il suo programma di anti-austerità, non sorprende affatto dal momento che quest’ultimo fa venire meno l’obiettivo centrale del progetto europeo: la realizzazione delle riforme strutturali.
Se infatti si analizzano le vicende europee sotto una prospettiva storica, ci accorgiamo che queste abbiano oscillato sempre come un pendolo, compiendo a tratti passi in avanti, altre volte invece regredendo e tornando indietro. E’ del tutto evidente infatti che la traiettoria politica generale sia partita, in primo luogo, col rimuovere gradualmente i vincoli del vecchio Gold Standard, presenti ancora nell’epoca tra le due guerre, con una successiva evoluzione in favore di un maggiore controllo democratico, che si è potuta realizzare entro i limiti più flessibili garantiti dal sistema di Bretton Woods. Ma successivamente, con l’introduzione del sistema monetario europeo (SME), tale traiettoria è passata invece ad assumere un controllo più stretto del sistema monetario, esercitato stavolta, viceversa, dai mercati finanziari.
Quindi, siamo giunti alla creazione della Zona-Euro come un ripetersi di quella stessa dinamica economica così come si presentava nel periodo immediatamente precedente il secondo conflitto mondiale: quando cioè proliferavano rischi molto simili a quelli attuali, connessi alla stagnazione di lungo periodo, e che si verificò, appunto, proprio durante gli anni ’30 del secolo scorso.
Perciò, mi auguro sentitamente che i greci dicano “no” all’austerità permanente e non soccombano alle intimidazioni dei mercati finanziari in modo che la traiettoria politica possa procedere di nuovo verso quella originaria e di rinnovata prosperità che si era venuta a creare nell’immediato dopoguerra. Dunque, spero nel cambiamento, sia che si tratti di un ritorno alla dracma, oppure di una rinegoziazione di accordi più flessibili, che permettano ai governi nazionali di condurre politiche di stabilizzazione macroeconomica maggiormente indipendenti, anche se quest’ultima alternativa sembra piuttosto remota dato il clima politico così teso che incontriamo in questo momento in Europa.
Come ho già detto, il progetto Europeo è consistito principalmente nell’ imprigionare i rappresentanti democraticamente eletti dai cittadini europei in una camicia di forza finanziaria. Ho già sostenuto altrove (vedi: “We’ve seen the awful consequences”: Why Greece refused to bow down to Western bankers ) che anche all’interno della cornice attuale, la Grecia in realtà si potrebbe muovere con maggiore libertà, attraverso ad esempio una gestione temporaneamente più autonoma delle leve fiscali, le quali si potrebbero avvalere di una qualche forma di moneta parallela. Quest’ultima offrirebbe la possibilità alle istituzioni locali di emettere proprie cambiali, così come successe in Argentina durante il regime di cambio fisso alla fine del 1990. Ciò ridurrebbe almeno la domanda di euro, consentendo in tal modo al governo greco di soddisfare alcuni dei suoi obblighi di risarcimento verso i propri creditori internazionali. Ma questo non può certo costituire un meccanismo definitivo! Inoltre, si potrebbe anche imparare dalle esperienze di certi paesi agganciati al dollaro (come ad esempio l’Ecuador) nei quali non è sempre stato possibile per le autorità monetarie mantenere la propria indipendenza. Infatti, le banche ecuadoriane sono state in grado di funzionare senza il sostegno ufficiale della Fed solo durante periodi molto brevi.
Tuttavia, fintanto che la Grecia rimane nell’Eurozona, il problema di liquidità derivante dal movimento dei depositi verso riserve più “sicure”, come è già avvenuto fino ad oggi, per esempio in Germania, non costituirebbe di per sé un problema reale per le banche. Questo perché qualsiasi movimento di capitali, che dalla periferia (Grecia) passa al centro (Germania), sarebbe semplicemente accumulato sotto forma di saldi Target 2. Si tratta cioè di trasferimenti fiscali compensatori che la BCE è in grado di soddisfare autonomamente e di rigirare verso altri paesi. Alcuni di questi infatti sono stati già inviati altre volte in passato in favore della Banca centrale Greca, proprio come è successo dopo il 2010 con altri stati, fra i quali ad esempio la Spagna.
L’unica vera questione è se gli altri paesi della Zona euro vorranno cacciare la Grecia perché non riesce ad adempiere ai suoi pagamenti. Se però ciò dovesse accadere, si tratterà anche di perdite da parte della Troika, poiché dovrà cancellare ufficialmente i propri crediti nei confronti del debito greco. Date le dimensioni di quest’ultimo, ciò non rappresenterà comunque un grosso problema. Tuttavia, la vera domanda è: “può la Grecia essere cacciata dell’Euro-zona?” Per come la vedo io, non vi è alcun presupposto per farlo, proprio perché il governo ellenico non può adempiere ai suoi obblighi.
Ancora più importante è il momento in cui la BCE rinnegherà il suo impegno legale di rifornire le banche greche di riserve, e la banca centrale greca sarà di fronte al dilemma quindi di dover scegliere se continuare a rilasciare euro per contro proprio, lasciando tuttavia le banche greche in una crisi di liquidità, che imporrà perciò la rottura con la BCE; oppure di gestire direttamente un fallimento bancario (o default). E’ chiaro che quest’ultima ipotesi sarebbe difficilmente la soluzione più praticabile, dal momento che la banca centrale greca non sarebbe più in grado di rispettare il proprio mandato, e quindi di fornire uno strumento efficace di pagamento a favore dei cittadini greci. Va da sé che, secondo me, verrà scelta la prima opzione e sarà necessaria quindi un’uscita dall’euro. Per concludere, le possibilità di risolvere la crisi attuale ci sarebbero state e come, e tutte queste minacce di negare la liquidità necessaria contravvengono lo stesso statuto della BCE. Perciò le azioni che sono state finora perseguite hanno avuto più che altro lo scopo di punire politicamente e finanziariamente un governo che ha osato rifiutare l’austerità.
Dalla nostra esperienza in Canada, la provincia di Alberta e alcuni comuni canadesi fallirono nel corso del 1930. Eppure, in nessun momento ci fu mai un tentativo di espellere la provincia di Alberta dalla federazione canadese! Al contrario, attraverso il governo federale, i canadesi idearono un piano di salvataggio che risolse il problema. Perché è impossibile che oggi accada in Europa? Chiaramente una riforma della struttura esistente può renderlo possibile. Perché la Troika, invece di muoversi a favore di un piano di salvataggio significativo, vuole invece imporre misure punitive che continueranno a distruggere il tessuto stesso della società greca? La paura, naturalmente, è che i greci porranno le basi per gli sviluppi in un certo numero di altri paesi dell’Europa meridionale, dove ci sono movimenti politici, come Podemos in Spagna, che possono rovesciare i regimi politici attuali.Rifiutando, e con l’invio di un messaggio politico agghiacciante nel resto d’Europa, si ritiene che possano mantenere lo status quo.
L’Europa è a un bivio. O continueranno a sacrificare la vita delle persone sul tempio dell’austerità o dovranno respingerla e, in entrambi i casi, riformare la struttura dell’Eurozona nel senso descritto in precedenza o rompere del tutto tali accordi oppressivi. L’esito del referendum greco sarà cruciale. Se il popolo della Grecia dice no all’austerità innescherà cambiamenti importanti che possono diffondersi in tutta la zona euro, questo potrebbe avvenire tramite un ritorno alla dracma o attraverso riforme sostanziali della struttura esistente, come ad esempio quelli proposti da Stuart Holland e Yanis Varoufakis o da Warren Mosler. Se voteranno contro la raccomandazione del governo Tsipras di respingere le proposte della Troika, significherà la continuazione di stagnazione a lungo termine.