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Tempio Pausania, Ci vuole molto di più, non solo a Natale ma sempre. Era meglio prima!

Tempio Pausania, 24 dic. 2017-

Inaspettata, non per questo meno gradita, mi arriva la telefonata di una persona che da poco ha subito una grave perdita in famiglia. Spettava a me forse chiamarlo, ma poco conta dirlo ora. Una chiamata, che dire gradita è poca cosa, meglio definirla emozionante. Ho detto a me stesso, ecco cosa ancora ci può e ci deve salvare, il pensiero che si trasforma in gesto, avere rimosso il passato burrascoso che ci ha visti separati dopo che assieme abbiamo costruito qualcosa, forse per voi di poco conto ma, per me e per lui,  un’avventura fantastica, aver dimostrato che la forza di un comune intento può farci fare anche dei miracoli. Da parte sua un’azione nobile, senza più quel probabile tormento interiore che in oltre 7 anni, ci ha separati, riappacificati di recente sotto una comune bandiera, quella della riflessione, vuoi per l’età di entrambi avanzata, vuoi perché c’è sempre la speranza che qualsiasi dissidio, se appartiene a persone che ragionano, si sconfigge. Un po’ di volontà è sufficiente a bandire dal passato le ruggini, i diverbi, i dissensi, quel vuoto che vogliamo riempire per forza con la superbia o la presunzione. Grazie Angelo.

Ho pensato e ancora ripenso alle discussioni in merito a questo Natale, per tanti, me compreso, originale, bizzarro, esaltante e nuovo nella sua impostazione religiosa e sociale. Nella nostra natura c’è questo lato di superbia, tutti più o meno lo abbiamo mostrato e lo abbiamo scagliato a turno contro questo o quello, o lo abbiamo subito da questo e quello. Non viene meno nemmeno quando dovrebbe emergere il lato umano del rapporto tra persone, non ci facciamo caso ma siamo tutti nella stessa barca e nello stesso oceano a viaggiare, chi col vento in poppa e chi contro vento, con la sicura deriva e l’approdo in tutt’altro porto. Non basta però nemmeno l’umanità, bisogna fare qualcosa di più, attenendoci alle regole del rispetto, le sole che non dovrebbero mancare mai nel menu quotidiano. Invece, anche in queste occasioni che ci dovrebbero indurre alla serenità, diamo il peggio di noi.

Che barba, mi dice qualcuno, sei sempre su questi argomenti e sembra che tu sia chissà cosa! Vero, mi faccio ribrezzo da solo perché quando ho sperimentato su me stesso che la cattiva azione verso gli altri non è solo di circostanza, non c’è da andarne fieri. Ed è vero che ho anche usato qualche circostanza per illuminarmi, ma mai una sola volta è stata decisa prima e mai una volta per attirare qualcuno verso la mia causa. Non ho cause da attivare, semmai vorrei sortire effetti. Sono fatto così davvero. Decine di persone mi cercano per qualche motivo, a nessuno ho mai detto un NO, ma non perché sia quel che si dice un uomo che risolve i problemi, tutt’altro, mi sento solo un buon ascoltatore che spesso usa solo le orecchie e talvolta fa seguire anche un impegno. Un medico un giorno mi disse: “Noi ci siamo per essere usati”. Quella frase, che mai ho scordato, mi fa entrare più facilmente nelle svariate problematiche che mi sottopongono. Ecco, io mi faccio usare e lo faccio sempre disinteressatamente, non controllando chi  mi ha chiesto una mano, né chi o cosa vota o chi prega.

Domani sarà Natale, il mio 60° Natale, tanti ne ho vissuti con gli occhi dell’attesa del dono, tanti ne vivo oggi senza aspettare nulla. Non si fa qualcosa perché dietro c’è una ricompensa. A me basta che in questa nostra comunità soffi un’aria più di prospettiva futura, che si pensi di più alle fatiche che stiamo facendo tutti per “tirare a campare”. Non saranno il Natale o il Carnevale a salvarci, sono effimere soluzioni da fast food, mangia e scappa, respiri e non aria che potremo avidamente portarci in dote per il resto dell’anno. Occorre ripartire dal senso stesso della vita, che non finisce né inizia con gli eventi in corso o quelli futuri. Ci sforzassimo di più a lasciare da parte i personalismi, le rivendicazioni, le vendette con chi ci ha ostacolati, se si riportasse tutto alla semplicità dei rapporti, quelli di una volta. Ricordate com’era prima la “carrera”, il quartiere dove si viveva? Era un microcosmo di sentimenti autentici, era lo scambio spontaneo di saluti e beni essenziali, vino, olio, uova, uva, dolci fatti in casa. Era il mondo che quelli della mia età hanno vissuto e che rimpiangono. Era la vita di comunità nella sua massima applicazione. Aiuto te che aiuti me. Era una stretta di mano che contava più di mille like o di cuoricini strappati nel non sense dei rapporti virtuali. Era relazione diretta, condivisione di difficoltà, compassione e reciprocità autentica, era “quel tempo” che Don Baignu descriveva:

“Palchì no torri, dì, tempu paldutu? Torra alta volta, torra a fatti méu, Tempu impultanti” …Dimmi, perché non ritorni tempo perduto? Ritorna un’altra volta a farti mio, tempo importante, tempo prezioso….

Oggi non è così, ci si rifugia nella tecnologia e nei rapporti virtuali, si diventa architetti, avvocati, ingegneri, filosofi, artisti, e tutti abbiamo da dire o ridire su tutto. Le opinioni? Certo, legittime e tutte degne di rispetto. Le prevaricazioni? Indegne e portatrici malate di competizione. Uno contro l’altro, senza badare a spese! Questa cosa, mi ricorda tanto un mio amico che quando acquisto il macchinone, uscì in giro per mostrare il suo trofeo e nessuno se lo filava. Irritato dall’indifferenza, sbottò: ” Cosa dovrei fare per essere notato? Ora nemmeno la macchina basta!”. Segno di quell’indifferenza con cui prima si vivevano certi accadimenti. Oggi, l’indifferenza è una condanna al rovescio. Per le cose effimere è scomparsa, per le cose che contano tanto, è diventata la sottile e perversa arma con cui affrontiamo il disagio e la sofferenza di questi anni.

Come diceva lo slogan di un comico: Voglio tornare bambino! 

Antonio Masoni

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