Tempio Pausania, Debito Pubblico e Inflazione. Due spauracchi da sfatare. Riflessioni a cura di Antonello Loriga.

Tempio Pausania, 20 ottobre 2014-

antonello loriga

Oggi affronteremo altri due falsi miti ai quali si attribuisce la gran parte della colpa di questa crisi economica , l’inflazione e il debito pubblico .

L’inflazione rappresenta un limite alla spesa dei governi?

Il debito pubblico è davvero un peso sulle spalle della popolazione?

Cominciamo con dire che debito pubblico ed inflazione non costituiscono dei problemi di per se.  L’inflazione in particolare è un fenomeno che si manifesta nel momento in cui c’è un eccesso di spesa rispetto alle risorse reali disponibili . Un altro caso che crea inflazione è quello  dove si crea un  restringimento dell’offerta, come ad esempio lo shock petrolifero in quanto essendo disponibili meno risorse sul mercato il prezzo veniva portato artificiosamente in alto.

Per quanto riguarda il discorso del debito pubblico questo cade nel momento in cui si comprende che il debito pubblico di una nazione non è altro che la storia ossia la registrazione contabile di tutte le volte che lo stato ha emesso della valuta e l’ha spesa all’interno del settore privato. Il debito anche nella sua stessa espressione lessicale è un qualcosa che ci fanno credere sia il debito del pubblico cioè il debito di tutti noi che facciamo parte del nostro stato. In realtà il debito è dello stato, e poi che cosa si intende per debito?

La parola debito rimanda sempre in qualche modo ad una sensazione negativa in chi ascolta, infatti in tedesco la parola debito coincide con la parola colpa nella traduzione italiana. Il debito pubblico dal punto di vista contabile, e la teoria della moneta moderna ce lo spiega chiaramente, è semplicemente la registrazione di tutti i momenti nei quali lo stato ha speso a deficit e registra dunque degli eventi già accaduti. Ovviamente questo vale per uno stato che emette la propria valuta (l’Italia con la lira) e non vale più nel momento in cui parliamo di uno stato che ha abdicato e quindi ha deciso di non emettere più la propria moneta come ad esempio i paesi membri dell’euro zona. In questo caso il debito di questi stati è un problema. Il debito del nostro stato in questo caso è un problema, perché per pagarlo lo stato è costretto a reperire i soldi dalla cittadinanza sottraendoglieli attraverso le tasse oppure indebitandosi presso i mercati finanziari. Un altro caso in cui il debito pubblico diventa un problema è quello in cui lo stato decide di fissare il proprio tasso di cambio ad un’altra valuta, come ad esempio il caso dell’Argentina in cui la moneta era agganciata al dollaro,caso venuto alla ribalta nell’ultimo periodo perché si è parlato di un secondo default sui titoli di stato detenuti da alcuni fondi americani. Il problema argentino che poi culminò con lo scoppio della crisi del 2001 costituisce l’esempio principe di ciò che può succedere quando un paese fissa il proprio tasso di cambio  in quanto si trattò di una vera e propria dollarizzazione. Fino al 2001 l’Argentina ha utilizzato il dollaro nelle proprie operazioni di spesa. Questo  crea dei problemi nel momento in cui i cosiddetti mercati e più in generale il pubblico non credono più  nella capacità dell’istituzione monetaria di un paese di mantenere fisso un certo tasso di cambio, perché il cambio fisso da parte di uno stato è di fatto una promessa di valore, si promette che quella moneta verrà sempre convertita a quel valore. Mentre il tasso di cambio variabile non porta con se alcun tipo di promessa cioè non c’è alcuna promessa di convertibilità.  In questo caso il debito pubblico può diventare un problema perché nel momento in cui non si riesce più a garantire questa promessa di convertibilità lo stato può essere costretto a dichiarare default su quel debito e quindi può essere costretto a non pagare più le obbligazioni ai mercati finanziari che le detengono. In tutti i casi la teoria della moneta moderna consiglia ad ogni governo nazionale di adottare un tasso di cambio flessibile. Questo non perché la moneta con tasso di cambio flessibile presenti dei vantaggi commerciali rispetto al tasso di cambio stesso quando questo si svaluta o si rivaluta, cioè non è un argomento che attiene alla questione del commercio estero, è piuttosto un argomento che attiene al fatto che se si dispone di un tasso di cambio flessibile si ha la massima potenza di fuoco, potremmo dire rispetto all’occupazione interna che si dispone di uno strumento che è potente al massimo grado per garantire l’occupazione interna, invece tutte le forme di fissazione del cambio erodono questa capacità di garantire la massima occupazione interna, quindi quando si parla di tasso di cambio flessibile all’interno dell’ambiente ME MMT lo si fa per una questione di piena occupazione e non piuttosto per una questione di vantaggi che potrebbero derivarne a livello commerciale

Ci sono esempi storici che testimoniano di problemi o crisi dovute ad alti livelli di inflazione e debito pubblico?

A livello storico abbiamo in qualche modo la prova che determinati parametri come il livello del debito pubblico o il livello dell’inflazione non costituiscano di per se dei problemi ma che anzi vadano visti all’interno di un quadro più ampio, ossia bisogna capire in realtà per giudicare lo stato di salute dell’economia quale sia il livello dell’occupazione, quale sia il livello dei redditi, dei consumi, degli investimenti ecc., pensiamo ad esempio all’Italia successivamente a  quello che è l’evento scatenante della nascita della moneta moderna che è il 1971, anno nel quale il Presidente Nixon interrompe la convertibilità del dollaro in oro e quindi determina il passaggio dell’oro da una moneta ancorata ad esso ad una moneta che invece assume le caratteristiche di una moneta moderna, una moneta che gli economisti definiscono FIAT. La moneta Fiat non ha un tasso di cambio fisso e non è ancorata ad alcun metallo prezioso. Questo atto determinò una reazione a cascata nei confronti di tutti gli altri sistemi monetari, quindi anche l’Italia sperimenta un periodo nel quale utilizza una valuta che assume le caratteristiche della moneta moderna.

Questo lo si può notare nel decennio 1971 / 1981 cioè in quel momento in cui  l’Italia non è ancora legata a dei meccanismi di accordi di cambio come lo sarà per esempio il sistema monetario europeo SME che inizia al termine degli 70, perché quando ciò avviene l’Italia  perde dei gradi di decisionalità, perché il suo tasso di cambio viene fissato all’interno un range stabilito, naturalmente non è come fissare il cambio a livello irrevocabile, ma stiamo parlando già di un restringimento di quella potenza di fuoco che consente la massima occupazione interna. A partire dagli 70 il debito pubblico italiano è in aumento ( cosa buonissima) prima non aumentava per vari motivi tra cui il fatto che le istituzioni monetarie  e politiche italiane cercano di mantenere il pareggio di bilancio più a lungo possibile ( orrore cosmico). Non si indebitano anche  perché ci troviamo prima del 71 in un sistema di gold standard in cui valgono gli accordi di Bretton Woods. Cioè la moneta italiana così come tutte le altre monete europee e mondiali è legata al dollaro da rapporti di cambio fisso e a sua volta il dollaro è legato all’oro. Dal 1971 in avanti assistiamo ad uno stato che può spendere, e lo fa, il debito  pubblico inizia ad arrivare al 100 % del rapporto debito/PIL e l’inflazione inizia a galoppare oltre il 10%. Che cosa determina questo? Secondo i FALCHI delle moderne istituzioni europee mondiali che si richiamano a quelle teorie più liberiste che vogliono la stabilità dei prezzi a tutti i costi anche se questo comporta una perdita occupazionale, questa cosa avrebbe dovuto determinare una situazione di disastro a livello di stabilità finanziaria oltre che a livello occupazionale. La prova che fornirono gli economisti della scuola monetarista all’epoca del fallimento  delle politiche keinesiane che venivano praticate è quella della cosiddetta stagflazione, cioè il fatto che aumentando l’inflazione aumentasse anche la disoccupazione e ciò per questo tipo di economisti provava che le politiche keinesiane basate sulla spesa dello stato e quindi sulla massimizzazione dell’occupazione erano in qualche modo responsabili dell’inflazione e dunque non servivano neanche per risolvere il problema occupazionale. In realtà l’inflazione a due cifre che si verificava in Italia negli 70 80 era un’inflazione dovuta a varie cause, la prima delle quali come detto precedentemente lo shock petrolifero dove i costi delle materie prime in particolare delle fonti energetiche aumentavano e di  conseguenza i costi venivano scaricati sul pubblico da chi si serviva di queste materie energetiche per effettuare la sua produzione. Dunque nulla a che vedere con il concetto di spesa per massimizzare l’occupazione. Ancora, altra causa dell’aumento dell’inflazione è il cosiddetto conflitto sociale, ossia se le rivendicazioni salariali aumentano  è possibile che le imprese vogliano scaricare questo aumento dei costi che devono ,se le forze sindacali sono preminenti sulla clientela e quindi aumentano i prezzi per difendere il proprio margine di profitto e questo naturalmente avveniva perché la forza sindacale faceva in modo anche che le richieste salariali dovessero essere prese in considerazione.  C’è un dato importante raccontato da un importante  economista italiano, Augusto Graziani cioè il seguente ; che prima dell’entrata nel sistema monetario europeo, lo SME, in qualche modo il sistema imprenditoriale italiano era favorevole al processo inflattivo e non lo ostacolava. Perché questo? Perché disponendo di un tasso di cambio flessibile e, essendo molte delle imprese italiane coinvolte in attività di esportazione, l’aumento dei prezzi che ne seguiva veniva scaricato sull’estero e veniva compensato da svalutazioni del cambio. Dunque in termini reali le imprese non andavano a perdere, ma accettavano di aumentare l’inflazione quindi di incrementare i prezzi per calmare in un certo senso il conflitto sociale e per fare in modo che questo conflitto  non andasse a danno del sistema  imprenditoriale. Casualmente racconta Graziani; il meccanismo cambia quando si entra nel sistema monetario europeo SME quando cioè non è più possibile scaricare gli effetti degli aumenti dei prezzi sul cambio quindi sul resto del mondo. A questo punto il sistema imprenditoriale italiano inizia a diventare molto restivo all’inflazione, cercando di combatterla in tutti i modi con la promozione di politiche deflattive, che poi soltanto oggi stiamo sperimentando con una grande violenza a cui siamo soggetti, politiche deflattive che devono abbattere la crescita dei prezzi , ma perche’? Perché in realtà non è più possibile  scaricare e compensare questo aumento dei prezzi sull’estero. Ecco che quindi i discorsi sull’inflazione vengono spesso orientati in funzione dell’interpretazione dell’inflazione che certi interessi  economici hanno, per esempio oggi dove abbiamo una banca centrale europea che ha l’unico obbiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi puntando ad un’inflazione molto bassa che è del 2%. Oggi questa cosa a chi conviene di fatto? Conviene a chi ha dei soldi fermi , cioè dei crediti e quindi conviene alla grande finanza il fatto di avere una bassa inflazione, perché una bassa inflazione o forse meglio una deflazione rende il potere di acquisto del denaro in se maggiore e quindi chi ha grandi disponibilità di denaro con la deflazione gode di un trasferimento di ricchezza. Non è un caso che già nel mondo industriale  quindi non finanziario ma strettamente produttivo si inizino ad intravedere  e a sentire dei discorsi che invece vorrebbero incrementare questa inflazione. Questo perché?  Vorrebbero un’inflazione più alta perché l’inflazione costituisce un trasferimento di ricchezze alle imprese. Ecco che, se il dato dell’inflazione può variare a seconda del periodo storico  e quindi se oggi l’inflazione in molti paesi è prossima allo zero mentre invece negli anni 80 superava il 10%, di per se ciò non vuol dire nulla per giudicare lo stato di salute di una economia, in quanto per giudicare lo stesso bisogna capire non soltanto a quanto crescono i prezzi ,che poi che questa è la definizione di inflazione cioè il ritmo con cui crescono i prezzi, ma bisogna capire se questo ritmo è almeno compensato da un ritmo crescente dei redditi, ed ecco che si deve parlare allora di piena occupazione. Quando si parla di debito pubblico dunque bisogna capire se ci troviamo in una condizione di governo che emetta la propria valuta o di un governo che ha ceduto questa sovranità. Bisogna capire che il dato numerico in se non porta una verità automatica perché bisogna sempre interpretare in una maniera qualitativa ed intelligente i dati.

 Fonte, tratto da un’intervista a Giacomo Bracci

Antonello Loriga

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