Tempio Pausania, Giuseppe Sotgiu, una vita spesa contro l’accidia e l’indifferenza. Video intervista in due parti di un Tempiese DOC.

Tempio Pausania, 17 agosto 2014-

L’accidia, termine che nel greco classico, designa la negligenza, l’indifferenza, la mancanza di cure e di interesse per una cosa. Designa inoltre l’abbattimento, lo scoraggiamento, la prostrazione, la stanchezza, la noia e la depressione dell’uomo di fronte alla vita.
Questa, secondo il dizionario, è la definizione di uno dei sette peccati capitali. Questa è la sola spiegazione che mi induce a ritenere Giuseppe Sotgiu un tenace e caparbio lottatore contro questo peccato. Già, l’accidia è l’avversario che si è trovato davanti nella sua lunga vita di operatore culturale alla ricerca di spazi vitali per Tempio e per il suo possibile sviluppo. 

Giuseppe Sotgiu, 67 anni, una vita nel canto, un’altra nella ricerca e nella tutela e conservazione di un immenso e mai valorizzato patrimonio storico di una grande tempiese, Gavino Gabriel. Passato di amministratore, porta con se le cicatrici di una giornata tragica per la città, quel 28 luglio 1983 nel quale Tempio vide morire alcuni suoi figli. E lui stesso fu colpito, vivo per miracolo come gli altri sopravvissuti a quell’inferno.

L’ho voluto sentire per raccontare alcune delle vicende della sua vita e capire, anche se devo dire che col tempo ho colmato queste incomprensioni, il perché fosse una meteora nel letargo di questa città. Una città che ha spento le sue luci più vive e brillanti, quelle che a ragione venivano chiamate “i riferimenti culturali della città”, tra cui Gavino Gabriel.

Luci che però esistono, nella memoria, negli scritti, nel patrimonio custodito da Sotgiu, quello di Gavino Gabriel, artista, poeta, scrittore, musicista che Tempio ricorda solo perché due cori ne portano il nome.

Gli occhi di Giuseppe più volte, durante il nostro incontro,  si sono inumiditi. La commozione nel parlare di certi argomenti, forse gli anni spesi a lottare senza risultati, le incomprensioni, l’indifferenza, le accuse nei suoi confronti quasi fosse un uomo intrattabile, contrario alla città, hanno riacceso le sue speranze. Non vorrei apparire a tutti i costi come l’unico che gli ha lasciato sempre la porta semiaperta, tanti altri lo hanno fatto e meglio di me, apprezzandone la perseveranza e le capacità indiscusse. Però, negli ultimi tempi capire che un tempiese DOC come lui si senta un estraneo, veramente mi lasciava senza parole. Vedere le decine di progetti su quel tavolo, tutti ben definiti, prospetti di spese e potenzialità incredibili che avrebbero dato non solo ossigeno a questa città ma gli avrebbero fatto spiccare il volo, fa male, molto male. Il suo accoramento diventa immediatamente il mio, la sua lotta contro gli accidiosi è la stessa che provo e proverò a mettere in pratica io.

Ripensando a Giuseppe mi veniva in mente una riflessione che fu fatta su Giorgio Gaber quando, dopo la morte, si provò a definirne la grandezza. Di Gaber si disse che era contro tutti i partiti, contro il sistema (già in questo premonitore), che cantava l’indifferenza della società, il qualunquismo, ma che nelle sue canzoni c’era implicito “il volo”, cioè qualcosa che si libera nel vento e va a posarsi dove troverà ascolto e accoglienza degna. La speranza di Giuseppe, in considerazione di questo pensiero, è che un posto dove finalmente poter esprimere ciò che veramente è il suo “operare quotidiano per la sua città” lo deve trovare.

Vi propongo ora i due filmati. Il primo è una chiacchierata su svariati argomenti mentre l’altra è accentrato sulla figura di Gabriel e sui numerosi ed importanti progetti di Giuseppe e dell’Accademia Gavino Gabriel che non hanno mai visto la luce.

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