Tempio Pausania, la mia esperienza in un centro ACAT, Centro di Aiuto contro le tossicodipendenze. Per capire cosa sia e per meglio spiegarne la funzione.

Tempio Pausania, 13 ago. 2015-

Voglio raccontarvi una mia personale esperienza in un Centro ACAT, un sussidio di sole parole per chi patisce le pene delle tossicodipendenze in generale.

Dieci anni fa, preso da un mio impeto per capire meglio il mondo della tossicodipendenza, cercai e frequentai un centro di aiuto contro le tossicodipendenze, alcol e droghe. Ne trovai uno a Olbia che si riuniva ogni lunedì sera di ogni settimana dell’anno.

Certe cose non nascono a caso e per me fu una forma di aiuto, visto all’inizio solo come solidarietà, nei confronti di un amico che era dedito all’uso di alcol e droghe, seppure saltuariamente. Più che altro fu un istinto naturale che vive dentro di me quello di provare a capire le cose dal di dentro e non tanto per ciò che io avrei potuto fare o dire in suddette riunioni. La cosa migliore che uno possa fare, in questi casi, è “ascoltare”. Ciò che si è perso con l’evoluzione o involuzione della coscienza sociale.

Per far questo, ho sottratto il mio tempo ad altro, ma mai una sola volta ho pensato che fosse stato perso. Entri in conflitto con te stesso e con ciò che hai sempre creduto, ti sbatti e ti arrovelli con una miriade di “perché”, provi a stare al passo con chi frequenta questi centri e, almeno all’inizio, ti senti proprio un pesce fuor d’acqua. Si, perché io non bevo e non mi drogo, cosa ci faccio qui? Invece era giusto esserci perché solo chi conosce può sapere e solo chi sa può meglio determinare la propria vita e, forse, essere anche d’aiuto agli altri. 

Come funziona un Centro Acat o Cat?

Intanto la gestione è sempre legata ad un coordinamento sanitario che, in questo caso, era a Sassari. Il centro di Sassari contro le Tossicodipendenze aveva sempre la sua ingerenza nell’attività associativa di ogni gruppo della provincia, quindi anche su quello di Olbia. I lavori venivano diretti da un ex alcolista, un uomo che ricordo molto bene e di cui ometto il nome, che per me è stato un riferimento incredibile nel farmi capire cosa scatta nella testa di un alcolista in trattamento, proprio come i casi che settimanalmente, si presentavano alla sede di Olbia. Non era colto, non aveva un italiano corretto, ma tale e tanta era la sua forza persuasiva che l’uditorio era quasi rapito dalla sua voce e dalle parole, pronunciate con forza ma sempre con un sorriso.

Una tavola rotonda, tutti seduti attorno al coordinatore. Una seduta di gruppo. Inizia a parlare il coordinatore e, a turno, successivamente parla ciascuno dei convenuti. Ascoltavo le storie di ognuno di loro, le facevo mie. Persone che avevano perso tutto, lavoro, casa, moglie e figli. La causa? Sempre e solo una: l’alcol o la droga. Un diario del gruppo veniva compilato da chi doveva, sempre a turno, redigere il verbale della seduta. Si scriveva mentre altri parlavano. Una volta, dopo qualche mese, lo feci anche io.

“Sono 1200 giorni che non bevo”, ” “con oggi 700 giorni che non mi buco“, queste le  cose che si sentivano. Alle riunioni erano presenti anche familiari di persone coinvolte nel problema. I giorni che erano passati dall’ultima volta, da quell’ultimo bicchiere, quella data impressa sul foglio ma sopratutto nella mente di tutti loro. Ognuna di quelle storie era madre o figlia di altre storie. Non era una sola storia ma si intrecciava con quella della famiglia, degli amici e del mondo che quelle persone frequentavano.

Ebbi l’azzardo, una sera, di parlare di economia del vino. Smisi subito perché non si deve parlare di qualcosa che ha rovinato la loro vita. Nemmeno un Ferrero Rocher era ammesso. L’alcol era tabù. Non si poteva nemmeno accennare ad una minima concessione. Tutto era proibito. Era questo il sistema, inutile discuterne.

Le tentazioni venivano raccontate però con naturalezza. Chi, a casa, aveva tutto chiuso a morte nei mobili, liquori e altro, e chi non usciva più per paura di incontri sbagliati che li riportassero indietro da quel “calendario” che era diventato la vita. Ogni giorno una conquista, ogni giorno un risultato positivo. Ricordo anche molte risate fatte per episodi gustosi che capitavano in quelle storie.

Ho ascoltato il grido di dolore di chi aveva perduto la moglie, andatasene via coi figli perché impossibile convivere a lungo con un etilista. Chi, invece, col lavoro di artigiano, piccole cose, stava cercando di riprendersi in mano la propria di vita. Un’esperienza indimenticabile, tra l’altro possibile per chiunque, etilisti e non. Ogni tanto si proponevano gite e ci si riuniva con altri centri simili della Sardegna per convegni, anche pranzi, insomma forme di condivisione delle esperienze e dei propri risultati raggiunti. Quanto orgoglio quando un ex tossico (eroinomane) disse che ormai erano 1000 giorni, quasi tre anni, che era uscito dal tunnel!. Scattò immediatamente un fragoroso applauso che mi fece piangere. Già, le lacrime che qualcuno non sa più versare per storie di vita ordinaria. Ma quello era un risultato straordinario e andava festeggiato, Ci facemmo tutti attorno a lui e di colpo uscirono fuori paste (senza liquore!) e succhi d’arancia. Giusto brindare con un succo d’arancia a chi stava riprendendosi la propria vita.

E quando quel signore che era stato lasciato da moglie e figli,  ci disse che c’era stata una telefonata tra lui e lei. Forse, disse, ho ancora una speranza. Ci facemmo tutti attorno a lui che singhiozzava e lo incoraggiammo a crederci ancora in un ricongiungimento. Lui ci stava provando a rimettere in piedi la propria vita e quel ruolo di padre che sentiva perduto per sempre.

Queste e tante altre le storie che restano impresse come un tatuaggio nella mia memoria, come momenti di esaltazione dell’essere uomini o donne riconciliatisi all’esistenza.

Lasciai il Centro quando il mio amico era fortunatamente uscito dalle sue storiacce. Fu un momento difficile per me. Ormai ero abituato a quelle persone. Ero uno di loro. Mi volevano bene io ne volevo loro.  Non mi fu possibile continuare l’esperienza perché il mio tempo non me lo permise più. Avevo già in mente una forma di sostegno al centro come impegno personale di volontario ma il tempo non lo permetteva. Ora so che ne esiste uno a Tempio e questa cosa mi sembra eccezionale.

Tra le tante pagine di vita che ciascuno di noi può raccontare al prossimo, mi piace dirvi dell’ACAT, un servizio parasanitario ma collegato al Centro contro le tossicodipendenze. Mi piace che sappiate che, pur essendo astemio e esente da qualsiasi droga, per un anno sono stato  etilista e  drogato, proprio come quegli amici del Centro. 

Per conoscere un problema, bisogna viverlo in prima persona. Altrimenti è facile dire qualsiasi cosa per sentirsi migliori o peggiori degli altri.

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