Tempio Pausania, 30 lug. 2017-
Oristano ha il centro medico più specializzato nella riabilitazione psico motoria per i malati sardi. Esistono altri presidi, altrettanto validi, ma nel capoluogo della omonima provincia c’è quello, a detta degli addetti ai lavori, più funzionale e completo.
Per vicende personali, in questi tempi ho avuto modo di visitarlo ed apprezzarne la validità e la squisita umanità. Una prova che laddove si investe nella sanità, c’è di fatto un tornaconto di risultati. Chiaro che quel che conta in un presidio sanitario è la somma di vari fattori: in primo luogo l’efficienza e il personale sanitario, poi la struttura e la sua offerta e, cosa più importante di tutte, la valenza delle prestazioni in esso ottenibili.
Il Centro di Cura e Riabilitazione Santa Maria Bambina, della Fondazione Onlus Nostra Signora del Rimedio, è un’eccellenza nel campo della riabilitazione psico motoria. Un fiore all’occhiello, uno dei pochi, della Sanità Sarda per l’alto numero degli addetti e per la qualità dell’attrezzatura. Una settantina di posti letto, qui vengono da tutta l’isola, sempre al completo. Quattro o cinque sanitari paramedici al piano (sono due piani), per turno, stanze dedicate e di cui si occupano medici e infermieri in cui abbonda la gentilezza e la disponibilità. Deve essere così per forza, tali sono i risvolti psicologici dei malati e dei parenti che, senza orari fissi ma con ampia disponibilità dalla mattina alla tarda serata, vi si recano di continuo.
Storie che vedi e racconti, che ascolti, casi difficili, qualcuno impossibile, altri dove la speranza è attaccata ad un lumicino fioco, malati in uno stato vegetativo, altri con evidenti segni di impotenza fisica e psichica, tutti accomunati da qualcosa che ha a che fare col cervello o coi polmoni o con le gambe, col tronco, compromessi da incidenti, ictus, infarti.
” Ero paraplegico dal 2008 – mi dice “Giuseppe” di Ortueri – in seguito ad un incidente di macchina. A giugno ho avuto un ictus. Immediatamente sono stato soccorso e trasferito al San Francesco di Nuoro dove mi hanno “stappato” la vena del cervello che si era ostruita. Poi mi hanno portato qui”. Mi chiede una sigaretta, fumiamo assieme fuori dall’ospedale, mentre i 41 gradi di Oristano stordiscono e annebbiano la vista.
Giuseppe è attaccato al telefonino, mezzo con cui tiene i contatti con il suo mondo. Lo sguardo è triste, stanco di essere in un ospedale da tempo ma felice di avercela fatta. Il suo cervello non ha subito danni, parla sciolto e si ritiene uno fortunato!
Questa umanità “di mezzo”, che corre parallela all’altro mondo dove stiamo gli altri, è piena di malinconia ma sa esprimere valori impensabili, quelli che ti fanno amare la vita anche se condivisa con una carrozzina. La vita parallela che raramente devia dalla sua strada per intrecciare le altre strade, è piena di persone come Giuseppe, tristi ma che si reputano fortunate, per esserci ancora. Mi ringrazia per la sigaretta e poi mi saluta. “fa troppo caldo fuori, rientro al fresco”.
Penso, come ogni volta che conosco nuove realtà di difficile socialità, quanto possiamo ricevere da frettolose conoscenze, e quante ne ricordo nel mio passato. Tante, e tutte sono impresse a fuoco, quasi si fossero mischiate al punto da non saper distinguere dove finiva quella degli altri ed iniziasse la mia. Un malinconico coacervo di attimi e di racconti ascoltati, inframmezzati dai miei racconti agli altri.
Lascio il centro ripensando a tutto quello che ruota attorno a questa struttura, ai parenti che arrivano carichi di buste e speranze, agli infermieri che sfoderano sorrisi e dinamismo, alla televisione accesa nella stanza di Nic che narrava della Ferrari e del suo successo a Budapest. Lui è assente, ancora non dice niente, né esprime speranza.
Attraverso il corridoio, prima dell’uscita sono appesi alle pareti i ricordi di chi ce l’ha fatta, i ringraziamenti scritti a mano in italiano stentato, le foto e gli articoli di giornale che hanno documentato qualche caso che è andato oltre la speranza. In tanti sono rientrati alla vita “quasi” normale, in moltissimi non ce l’hanno fatta, tutti però ci hanno creduto e ci credono.
La sanità che funziona passa da qui, la speranza è altra cosa ma se una ce ne deve essere, deve disporre di questi presidi.
L’asfalto rovente della strada, Giuseppe, un sorriso strappato a Nic, la Ferrari che vince, le foto appese al muro prima dell’uscita, tutto mi torna alla mente, confuso e dolente.
Ho ricordi poco allegri di quel centro dove anni fa vi morì una cara amica, ma anche lei aveva speranza, anche lei conobbe forse un Giuseppe o la gentilezza dei sanitari e quelle foto appese fuori nel corridoio.
Chissà se un giorno l’infamia di chi gestisce la sanità in Sardegna, possa essere rimossa, in modo tale da capire che un ospedale pubblico, in qualsiasi collocazione geografica si trovi, non è fatto di numeri e bilanci ma racconta storie di sofferenza e di disagio come quelle di questo di Oristano dove esiste la medesima speranza ma non la stessa possibilità di poterla alimentare.
Antonio Masoni