Tempio Pausania, 27 nov. 2017-
Una folla commossa, partecipe, plaudente al passaggio del feretro, il commiato di un gran bravo ragazzo, uomo di sani principi e specchiato come le lacrime che hanno pianto le tante persone presenti al suo funerale. Roberto Musu, 37 anni, un diploma da geometra lasciato nel cassetto, un passato affatto male di calciatore che ha militato nelle categorie semiprofessionistiche, un lavoro da educatore nel Centro Umanitario della Caritas di Olbia, è stato ricordato così stasera nella cattedrale di San Pietro. Le parole del parroco Don Antonio Tamponi ne hanno tracciato un profilo di grande umanità, dedito al lavoro come pochi e innamorato della vita, della famiglia, delle persone che gli erano accanto.
Roberto dal 2014 era stato assunto dal Centro Diocesano della Caritas col quale però collaborava anche da prima. Circa 6 anni che era dedito a questo lavoro che sarebbe meglio definire missione. Il suo coordinatore ad Olbia, Tore Pinna, ne ricorda la “riservatezza e il grande amore per quel lavoro che ci mette ogni giorno dinanzi alla sofferenza, al disagio, alle disabilità”.
Sempre il primo a prestarsi ai fuori orario, quando era necessario. Questo è il lavoro quando la passione ne gestisce le modalità, quando prevale l’istinto naturale e la vocazione per chi sta peggio di noi.
” Roberto, aveva capito che non si trattava solo di lavorare ma di servire, la sua era una professione che richiede dedizione e amore”, ha detto il parroco Don Tamponi, cercando di mettere in luce le doti certo non comuni di un ragazzo che aveva avuto modo di conoscere bene perché il Centro di Olbia è direttamente gestito dalla Chiesa.
“Mi chiese una volta – ha detto ancora il parroco- se quel suo lavoro lo poteva considerare sicuro, legittimamente preoccupato per le difficoltà dei nostri giorni ad avere una occupazione stabile e garantita. Sa, ora ho famiglia, un figlio, vorrei essere certo. Gli risposi di stare tranquillo, che non era mai stato in discussione, “per noi sei prezioso e non sarai mai sostituito”.
Tale è stata la traccia che nella sua breve ma intensa vita la lasciato Roberto che ieri in camera mortuaria erano presenti i genitori di uno sfortunato paziente della struttura olbiese, rimasti per tutta la giornata a vegliarlo, increduli e preoccupati per il legame forte che aveva creato col loro figlio al quale non potevano dire “Roberto non c’è più”. Nella chiesa si alza forte la commozione sincera, come non essere partecipi di un dolore che quasi all’improvviso diventa dolore unanime, tutti sembrano aver perso quel ragazzo, in tutti subentra sottile la riflessione sulla caducità della esistenza, incomprensibile come questa morte, come una condanna per chi resta ad essere meno egoisti, più partecipi delle sofferenze vere, una dura lezione di umanità impartita dall’esempio di una breve vita spesa per gli altri.
Una casa comprata da poco, un figlio, di soli 2 anni, una moglie adorabile, Agostina, che conosco da anni, una madre che lo ha cresciuto da sola, con l’ausilio dei nonni, un fratello Marcello, lo zio e padrino Angelo, di cui è stata letta anche una toccante testimonianza finale, un dedalo armonioso di unità familiare e reciproco amore, Roberto è cresciuto avendo attorno saldi riferimenti, un ramo che prende la linfa da una pianta sana e robusta.
“Roberto amava l’amore, odiava i conflitti e anche nel lavoro questi principi li aveva usati. Voleva una vita lineare, senza intoppi, per questo chi lo conosceva bene ne rammenta la serietà ma anche la saggezza. Era naturale, per lui, attrarre negli altri l’affettività che non viene per caso ma viene per educazione, dalla madre che ha saputo legare con questa l’intera famiglia. Questo Roberto sentiva per la famiglia e per gli altri. Per essere amati bisogna essere significativi, non cattivi e lui era un buono e sapeva farsi amare. Era un sorriso sul mondo, un sorriso che dice, un pezzo di pane interiore. L’amore non è un bene che si acquista, spetta solo a chi sa conquistarselo, con la fatica, la dedizione agli altri, per il quale non occorre il ministero cartaceo della laurea ma basta avercelo scritto nel cuore. Roberto era colui che, in assenza della macchina per trasportare qualcuno, metteva la propria macchina, mettendo a rischio il suo lavoro e l’assicurazione” ha infine detto il parroco.
Il tempo sembra fermarsi quando muore qualcuno, per gli altri ricomincia presto, per la famiglia ci vorrà tanto ancora. Elaborare un lutto è duro, costa sacrifici, non basta premere il tasto “cancella”, bisogna affrontare la realtà accettandola, immergersi in una fase dolorosa ma necessaria, vivere perché è giusto poter avere dei ricordi di chi ci ha lasciato, i momenti insostituibili di una presenza che ha illuminato la nostra vita seppure per un breve periodo, far si che l’esserci ancora non debba mai essere dilaniato dai mutevoli ricordi di chi abbiamo perso ma dal suo esempio, dal sorriso, dalla sua serenità e gioia.
Una vita breve ma spesa bene, Roberto ha lasciato una traccia profonda in tutti, sia in quelli che lo conoscevano e sia in quelli che ne hanno, come me, solo sentito parlare. Tanto mi basta, per scrivere questo sincero e partecipe scritto per me stesso e per chi leggerà.
Forza a chi resta, tanta e tanta. Un abbraccio ad Agostina, Maria Grazia, Marcello, Angelo, Angela, Wilma, al piccolo Emanuel, agli zii e zie, cugini, alla nonna e a tutti i parenti ed amici.
Antonio Masoni