Tempio Pausania, Lu cantu di la ita, le radici del passato attraverso il canto, la poesia, la musica, l’arte e le parole. La contaminazione linguistica e le differenze che vengono superate quando si cerca la propria identità. In fondo la vita è uguale per tutti.

Tempio Pausania, 20 luglio 2014-
LO scenario della piazza Sant’Antonio, un pubblico attento e luci intriganti che lanciavano bagliori sulla facciata della chiesa, colorandola di rosso scuro. Gli ingredienti c’erano tutti, la poetica, la musica, il canto, le figure di Simone Sanna sulla scalinata, e poi le parole. Parole e canti studiati ad esaltare la nostra storia, le nostre radici antiche, il gallurese che si mischiava col logudorese e il campidanese, un senso comune e finale delle stagioni della vita che in fondo è uguale per tutti noi.
La metafora dell’esistenza nella scalinata dove le figure di Simone Sanna rappresentavano le fasi della vita coi colori diversi dell’abito che indossavano. Il color Oro dell’attesa e dell’infanzia, quando la speranza è intatta. L’amore vestito di Rosso, passionalità e l’eta adulta color Rame. La vecchiaia Nera come la malinconia e la tristezza della vita giunta alla fine. Poi il Bianco della morte e della Rinascita. Geniale Simone Sanna! Poi il coro Gabriel, sempre grandi interpreti del canto tradizionale. la musica di Giacomo Spano, Alessandro Uscidda e Roberto Maria Desiato, e le poesie recitate da Clara Farina, Bruno Vargiu, Lina Sias, Liborio Vacca, Domenica Azzena, e il giovanissimo Francesco Pisano che ha recitato a memoria la prima poesia, dandole un colore ed un’intensità che lascia ben sperare. I testi letti di Garrucciu e Beatrice Gallus eccellenti. Bravo il ragazzo e bravi tutti!
Insomma, era tutto affascinante e dovevo aspettarmi qualcosa che mi avrebbe prima o poi distolto gli occhi e le orecchie da quel magico torpore che mi assaliva. Torpore? Ho scritto così? No, volevo dire serenità. Poi ci ha pensato Eliano Cau, letterato di fama a riportarmi sulla terra e destare la mia idiosincrasia quando respiro la spocchia e la presunzione di chi continua a pensare che “loro” e “noi”. Il concetto di cultura, da lui sviscerato è sempre lo stesso. E’ convinto che esistono due categorie di persone, loro, gli intellettuali che cambieranno il mondo (e si è visto quante cose che hanno cambiato) e noi, umili scemi che dobbiamo pendere dalle loro labbra magiche e persuasive e convincerci che solo col loro aiuto possiamo cambiare il mondo. In tempiese, ho pensato: “Chistu è convintu proppiu!”. La separazione in categorie, caro Cau, è l’antitesi delle rivoluzioni culturali e ho bene in mente le parole di Giulio Cossu (giù il cappello!) che mi disse, durante una delle migliaia di premiazioni dei concorsi di poesia, “Se la suonano e se la cantano”, riferendosi alla mia sensazione di spocchia che trasudava in questi presunti letterati. Bene, chi scrive ha la mia ammirazione ma nessuno deve arrogarsi il diritto di pensare che “senza di me, il vuoto”. Ammiro Garrucciu perché di distanzia da queste lobbies di personaggi che dicono e credono di essere insostituibili. Continuate a scrivere, partecipate e vincete quintali di premi ma la cultura è altro concetto. Intanto è tutto cultura “La cultura è…da quando mi sveglio all’alba a quando mi addormento la sera” (Benito Urgu).
O forse Benito Urgu ha meno cultura di Cau? E allora tenetevi le vostre convinzioni e andate a proferire queste grandi parole laddove ancora trovate persone disposte ad ascoltare. Io non le accetto. E sono andato via dopo mezzora. A un alt’annu meddu!

Il video di 9 minuti coi canti del Coro Gabriel e Domenica Azzena che spiega la serata. La tiritera di Cau solo in parte, poi lo smartphone si è “spento” senza volerlo. O no?

Related Articles