Tempio Pausania, Etica del Lavoro, riflessioni di Lucio Verre.

Tempio Pausania, 11 luglio 2014-
Da oggi inizia la sua collaborazione al sito di Galluranews il Dottor Lucio Verre, laureato alla Facoltà di Pedagogia di Sassari e con un dottorato in Fondamenti e Metodi delle Scienze Sociali e del Servizio Sociale. conseguito presso il Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società sempre della Facoltà turritana.
Questo suo primo articolo tratta di etica del lavoro.

Mai come in questi anni, nel nostro paese e non solo, il tema del lavoro è stato messo al centro del dibattito politico e sociale. Il livello di disoccupazione “ufficiale” è altissimo e quello della disoccupazione giovanile ancora di più. Ancora più elevato è il numero di coloro che non lavorano e non sono iscritti alle liste di disoccupazione ai quali si dovrebbe aggiungere il numero delle persone che potrebbero potenzialmente lavorare e non lo hanno mai fatto.
Le cause sono state individuate nei fenomeni della globalizzazione, della speculazione finanziaria finanza, della ripartizione della ricchezza, nell’atteggiamento delle banche, ecc. Addirittura qualcuno ha proposto di addebitare alla popolazione la responsabilità della crisi perché avrebbe vissuto al di sopra delle proprie possibilità; in realtà siamo la popolazione europea che, come famiglie, si è meno indebitata; non così è accaduto alle istituzioni pubbliche e alle aziende private.
La complessità del sistema economico e delle dinamiche sociali non rendono facile la comprensione dei fenomeni e le azioni correttive che si devono attivare. Solo per fare degli esempi c’è chi propone di agevolare le aziende per riavviare la crescita senza la quale non ci può essere benessere; c’è chi vuole distribuire il reddito agevolando i lavoratori che riprenderebbero così a consumare; c’è chi propone di cogliere l’occasione per passare ad un sistema economico più solidale e meno basato sui consumi (decrescita) per salvaguardare la salute pubblica, l’ambiente e la felicità delle persone. Senza una conoscenza approfondita dei principi economici, politici e sociali, contenuti nelle teorie che stanno a monte delle proposte citate, non è facile capire cosa scegliere. Le persone sono sballottate emotivamente verso una o l’altra delle soluzioni proposte a seconda dell’oratore che, di volta in volta, cerca di persuadere, con abili argomentazioni esposte prevalentemente in alcuni programmi televisivi, la multiforme e spaesata platea.
Non vorrei, quindi, addentrarmi negli annosi dibattiti, dove la maggior parte di noi non ha alcun potere di decisione, per concentrarmi invece su un argomento legato al lavoro nel quale le nostre decisioni sono fondamentali per il benessere collettivo. Tutti noi, o almeno quelli che ancora un lavoro c’è l’hanno, aspettano con ansia il fine mese per entrare in possesso di quei pochi euro che ci permettono di sopravvivere; in verità c’è una minoranza di persone, sempre in rapporto di dipendenza, che invece percepiscono cospicue somme di denaro in cambio della loro competenza. E’ evidente che, nel nostro sistema economico, il denaro riveste una importanza fondamentale; esso ci consente di soddisfare i bisogni primari e, per alcuni, anche quelli secondari e “terziari”; lo stipendio fornisce dignità alle persone, attraverso l’autonomia decisionale, e equilibrio psichico, per il senso di identità che procura. Ma la concentrazione delle attività lavorative solo sulla possibilità di ottenere denaro ha fatto dimenticare il vero fine per il quale noi tutti lavoriamo.
Infatti si dice spesso che il denaro non deve essere un fine, ma solo il mezzo per raggiungere altri fini. Ma allora quali sono i fini del lavoro e del denaro conseguente? Io credo che dovremmo recuperare il “senso” del lavoro. Cioè dovremmo renderci conto che noi viviamo in società e nella nostra comunità per il benessere di tutti; viviamo in società perché “l’unione fa la forza” e lo sviluppo umano si è costruito, nel bene e nel male, attraverso gruppi di persone che si sono messe insieme per trarre vantaggi reciproci. Quando ognuno di noi va a lavorare la mattina, sia che faccia il muratore o il libero professionista, il medico o il fornaio, il pubblico dipendente o l’avvocato, dovrebbe ricordarsi che quello che sta facendo lo fa per gli altri, per dare un servizio e migliorare la vita degli appartenenti alla comunità, non per il solo denaro.
Il perché dell’importanza di un atteggiamento lavorativo differente è sotto gli occhi di tutti. Se il pensiero del guadagno sovrasta le nostre azioni, chi lavora cercherà di ottenere maggior denaro possibile e, per un certo periodo, riuscirà nel suo intento a scapito di tutti gli altri; la comunità avrà prodotti e servizi sempre peggiori, persone sempre più stressate per le troppe preoccupazioni, aumento sfrenato della competizione a discapito della qualità, ricorso sempre maggiore a sistemi illeciti di guadagno, abbassamento generale della qualità della vita. Si crea un sistema di degrado sociale di cui le crisi economiche sono ciò che appare in evidenza.
Sono convinto che ritrovare l’orgoglio per il proprio lavoro, il piacere di vedere che ciò che facciamo viene apprezzato dagli altri e che il lavoro degli altri e utile alla nostra vita perché non dobbiamo attenderci sempre una “fregatura dietro l’angolo”, sia il modo migliore di innescare un circolo virtuoso in cui il nostro “vantaggio” consiste nel ritorno che la comunità ci trasmette non solo in termini monetari, ma di gratificazione del nostro essere persone.
A chi non crede che le gratificazioni morali diano felicità, consiglio di provare. La nascita di nuove amicizie, di relazioni sociali cordiali e corrette, l’affetto di chi ci circonda ricevuto anche in momenti difficili, superano di gran lunga la gratificazione economica. Con il denaro, infatti, io posso soddisfare bisogni di vario genere, ma che hanno un grande difetto: una volta raggiunti non danno più soddisfazione; per esempio se riesco a comprare la macchina dei miei sogni, nei primi tempi sarò felice e emozionato nel guidarla, ma successivamente mi abituerò e alla fine la felicità nel guidare quella macchina si ridurrà al massimo nel vedere il desiderio negli occhi dei passanti. I beni raggiungibili con il solo denaro sono stati studiati a fondo nelle loro conseguenze. Le persone interrogate hanno espresso giudizi di vario genere, ma la conclusione è stata sempre la stessa, tanto che tali beni sono stati definiti “di posizione” cioè che esauriscono la loro valenza positiva nel brevissimo periodo, successivo al loro raggiungimento, e non contribuiscono alla costruzione della felicità, ma anzi sono causa di sempre maggiore insoddisfazione.
Per lavorare con orgoglio è necessario riscoprire una componente dispersa delle facoltà umane: la vocazione. Per fare bene il proprio lavoro è necessaria la passione che deriva dal piacere di ciò che si fa; si deve e si può avere passione, solo seguendo le proprie inclinazioni e ascoltando “la chiamata” che ci fa percepire quali sono le attività in cui riusciamo meglio. Su questo tema si apre lo scenario sui sistemi educativi e di istruzione che non vorrei trattare in questo scritto, ma che sono fondamentali per recuperare una società dei valori.
E’ anche evidente che una società costruita sui modelli competitivi, per i motivi sopra espressi, dopo aver generato inizialmente effetti positivi, esaurisce la sua forza e diventa solo uno spreco di energie; quando la competitività non lascia più spazi a grandi miglioramenti, perché con il tempo il margine di miglioramento si assottiglia, rimane solo la competizione sul prezzo che si abbassa a scapito della qualità. La cooperazione è molto più fruttuosa perché mette insieme le energie disponibili se si adotta un’etica del lavoro come quella descritta.
E’ indispensabile, inizialmente, adottare comportamenti che non si adeguino al “tanto lo fanno tutti”, ma è necessario capire che il cambiamento virtuoso passa attraverso le nostre scelte quotidiane di comportamento sociale.
In conclusione mi sento di affermare che possiamo fare molto per migliorare la società e la comunità dove viviamo incominciando a recuperare gli antichi valori basati sull’orgoglio dei prodotti del nostro lavoro, qualsiasi essi siano. Non dimentichiamo il denaro, ma lasciamolo come conseguenza del nostro fare virtuoso, anche quando ci sembrerà di essere dei “Don Chisciotte”.
Lucio Verre

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