Tempio Pausania, “I Have a dream”, oltre 50 anni da queste parole sempre più disattese.

Tempio Pausania, 12 nov.-2014-

I have a dream, ho davanti a me un sogno, disse nel celebre discorso a Washington Martin Luther King. Era il 28 agosto 1963, quasi 50 anni fa. Anch’io, che non sono nessuno, ho un sogno. D’altro canto chi di noi non ne ha? Tutti li abbiamo e tutti li coltiviamo, spesso diventano una speranza che le cose possano cambiare. Tutti noi sogniamo? Forse si! Qualcuno, come me e tanti di voi, sogna di più, conserva dentro di se quelle utopie che già sono diverse dal sogno avendone però la stessa radice, la speranza. Allora quale è la mia speranza?

Quella di vivere nel mondo migliore possibile sicuramente, un mondo di cose semplici e raggiungibili, quello di avere con me persone amiche che sappiano capire e magari sognare assieme a me. Quello di lottare per impedire che la nostra vita ci venga sottratta, che le nostre legittime aspirazioni vengano rispettate e portate avanti con la doverosa attenzione da chi gestisce la cosa pubblica che, non scordiamolo mai, non è la “loro cosa pubblica”…è la NOSTRA COSA PUBBLICA.

La mia speranza è poter vedere un giorno realizzati i progetti messi a punto per migliorare la nostra condizione sociale, perché non sono le idee che mancano. Chi promuove un’idea valida non riesce a realizzarla perché deve, ogni giorno della sua vita, scontrarsi con chi ha il dovere di promuovere, aiutare e concretizzare le idee altrui. Non credo di essere un qualunquista, ho le mie idee, giuste o sbagliate non spetta a me dirlo. Non accetto chi dice: tanto sono tutti uguali, destra, sinistra, centro. Io credo che possano venire cose buone da qualunque direzione. In fondo destra, sinistra sono parole strumentali che da sempre rappresentano una posizione su una sedia in un grande palcoscenico, direi meglio teatrino, che è il parlamento dove governano da troppo tempo le stesse persone, con le stesse idee e le stesse vecchie convinzioni. Ma a loro, secondo voi, importa qualcosa di noi? Ho forti dubbi a tal riguardo.

Io non voglio però accentrare il discorso sulla politica. Non ne faccio parte e non mi interessa farne parte, né ora né mai. Vorrei solo che essa, la politica, fosse considerata a margine di queste parole tenendo conto, però, che è sempre attraverso di essa che le speranze si riesce a coltivarle.

Io ho la speranza che questa città non si appaghi dei suoi trascorsi e della sua nobiltà storica che pure ha. Vorrei che avesse sempre le priorità essenziali della vita come punti e obiettivi. Quali sono? Che tutti possano avere una dignità, tradotta in moneta, la possibilità di mangiare tutti i giorni, di avere un letto e una casa dove vivere, che la famiglia possa contare su una scuola che garantisca istruzione e formazione ai nostri figli, che possa essere sempre assicurato un lavoro e non il tesserino per la disperazione, quella che vediamo tutti, ogni giorno, in noi o accanto a noi. Vorrei che la mia città avesse una cura maggiore delle proprie risorse ambientali, vorrei vedere alberi e parchi, compresi quelli gioco (che sono nati per volontà popolare grazie alla spinta di una donna e di una famiglia che al sociale  sta dedicando tutto il proprio tempo). Vorrei che fossero meno affollati i locali (non me ne vogliano i gestori di bar, ristoranti e quant’altro) e pieni di gente le biblioteche e i musei, laddove ancora si riesce a respirare qualcosa che sta venendo meno nella nostra società, la cultura e la conoscenza. Un popolo che conosce è un popolo che sa sempre fare le cose al meglio. Vorrei che ci amministra possa agevolarsi dell’aiuto di chi meglio ha saputo o potuto spendere la propria esistenza per sapere e l’ha messa a disposizione di chi invece non sa ma che ha le chiavi per mettere in pratica questa nuova, acquisita conoscenza.

Vorrei che questi giorni che ci conducono al Natale possano servire anche a questo. Riflettere, ragionare e proiettarci tutti, volenti e nolenti, verso l’utopia della speranza o se preferite verso la speranza. Vorrei ci fossero i ricchi ma anche che non ci siano i poveri perché nessuno deve invidiare chi più ha ma deve almeno avere la possibilità di vivere, con la medesima dignità. Vorrei le uguaglianze, senza distinzioni di colore di pelle o di religione, perché odio le diseguaglianze. Vorrei che si tollerasse e si riuscisse sempre a praticare il rispetto, non come un valore aggiunto, ma come un dovere.

Vorrei anche che questa lagna vi faccia sorridere e che di tutto questa pistolotto vi rimanga solo questa parte essenziale appena sentita.

Questo è un passaggio del discorso di Martin Luther King.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

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